2020-07-08
Legge e famiglia: guai in casa Cirinnà. Arrestati per usura fratello e nipote
In manette 28 persone, fra cui i due parenti della parlamentare del Pd. Erano parte di un giro di strozzini in cui ci sono anche clan della camorra. Lei prende le distanze: «Le responsabilità penali sono personali». Il fratello e il nipote della parlamentare del Partito democratico e icona politica del mondo Lgbt Monica Cirinnà, avrebbero preteso un tasso superiore al 120% annuo su un prestito da 138.500 euro erogato in quattro rate. Il figlio Riccardo riscuoteva, il papà Claudio incassava. Il gip di Roma li ha privati entrambi della libertà: il babbo in carcere, il rampollo ai domiciliari. L'inchiesta - condotta dalla Squadra mobile - è quella che ieri ha assestato un duro schiaffo al boss della camorra Michele Senese e ai suoi sgherri romani con l'esecuzione di 28 misure cautelari. L'accusa per i Cirinnà è pesante, ma non riguarda direttamente reati di stampo mafioso. Papà Claudio, che nel 2015 era stato coinvolto in una indagine sul traffico di carburante, oltre che per l'ipotesi di usura è finito nei guai anche per minaccia, autoriciclaggio e intestazione fittizia di beni. Aveva fatto risultare come proprietario di una Bmw M3, a leggere l'accusa, un'altra persona, per «eludere l'applicazione di misure di prevenzione a carattere patrimoniale». In realtà con quella fuoriserie con targa tedesca se ne andava lui in giro per Roma. Con i Senese i Cirinnà non avevano rapporti. Ma, sostiene l'accusa, avevano qualcosa in comune: la vittima. L'uomo strozzato, che gestiva un'azienda di noleggio limousine in disgrazia, «era sottoposto», scrivono gli investigatori, «anche alle indebite attenzioni del clan». In uno dei capi d'imputazione, il numero 60, la Procura accusa Claudio Cirinnà di essersi presentato a casa della vittima, dopo averlo minacciato più volte a telefono, «passando alle vie di fatto». Che vengono descritte così: «Nel gennaio 2016, nonostante si trovasse in stato di latitanza, si presentava nell'abitazione dell'uomo intimandogli la consegna di 60.000 euro, minacciandolo che in caso contrario avrebbe dato corso ad atti di violenza nei suoi confronti o verso i suoi familiari». Ora è più facile comprendere il significato del cartello che mostrò la parlamentare dem, quello con su scritto «Dio, patria e famiglia, che vita di merda». La Cirinnà ha affidato alle agenzie di stampa un suo personale pensiero, facendo riferimento a suo fratello Claudio: «So pochissimo della sua vita travagliata, benché abbia sempre cercato di aiutarlo a mettere sulla giusta via la propria esistenza. Il fatto che avesse accolto in casa nostro padre novantenne mi aveva fatto sperare in un ravvedimento. Se così non fosse ne sarei addolorata e profondamente delusa. Mi auguro che la sua posizione venga chiarita al più presto. Per quanto mi riguarda considero la responsabilità penale personale, così come personale è il dolore che provo in questo momento. Chiedo pertanto che venga rispettato assieme all'intimità della mia famiglia». Ovviamente la parlamentare non c'entra nulla con i guai giudiziari di suo fratello e del nipote. La rilevanza pubblica dell'accusa, però, ha impedito che la storiaccia restasse nell'intimità. Soprattutto perché gli interessi di Claudio Cirinnà, a un certo punto della ricostruzione dei magistrati, si sono scontrati con quelli dei Senese.Perché la vittima, che si sarebbe sentita costretta a versare su carte di credito di un istituto lettone la rateizzazione stabilita da papà Cirinnà, si è rivolta, tramite un venditore di auto, ai napoletani. Da Vincenzo Senese, il primogenito della dinastia, arrestato in un resort di lusso nel Salento (una struttura da 5.000 euro a settimana della marina di Ugento), per esempio, l'uomo si era fatto prestare 50.000 euro in due tranche, con la scusa di voler avviare un'attività economica in nero da procacciatore di comparse e figuranti per il cinema. I soldi, in realtà, hanno ricostruito gli investigatori, gli sarebbero serviti per saldare altri debiti. Messo alle corde, infatti, parlò di Cirinnà anche col rampollo dei Senese, che si sarebbe reso disponibile a dargli una mano, mettendolo in contatto con tale Mimmo. Gli investigatori l'hanno identificato in Domenico Brancaccio da Aversa, classe 1981. Mimmo avrebbe dovuto mediare con Cirinnà su una rata da 5.000 euro. Nell'ordinanza sui Senese il gip dedica, quindi, non poche pagine alla faccenda Cirinnà, intervallate, per come si è incrociata, agli approfondimenti investigativi sui Senese. Si è scoperto, per esempio, che Michele Senese, detto o' Pazzo, detenuto nel carcere di Catanzaro (dove sta scontando una condanna quale mandante dell'omicidio del boss della Maranella Giuseppe Carlino), si scambiava le scarpe con i familiari che andavano a trovarlo in carcere e nelle sue nascondeva dei pizzini per mandare messaggi ai suoi uomini. Così, anche da detenuto, sarebbe riuscito a coordinare e a gestire le attività illecite della famiglia stabilendo la strategia criminale. I fondi dei Senese hanno quindi fatto il giro d'Italia: tra Latina, Frosinone e Verona. Anche a Milano, nel settore dell'abbigliamento di lusso. E in Svizzera, dove con 1 milione di euro sono state ricapitalizzate attività imprenditoriali.
La Global Sumud Flotilla. Nel riquadro, la giornalista Francesca Del Vecchio (Ansa)
Vladimir Putin e Donald Trump (Ansa)