2025-02-19
I leader europei sanno solo piangere ma per contare serve saper decidere
In una situazione internazionale grave come quella di oggi, un (potenziale) attore importante come l’Europa si riunisce per mostrare forza e determinazione, non si riunisce, come due giorni fa a Parigi, per mostrare debolezza, indecisione, indeterminazione e, soprattutto, a ranghi ridotti: pochi e, anche per questo, pochissimo rilevanti.Tra l’altro, come è stato osservato, una riunione convocata da un presidente della Repubblica che non riesce a tenere insieme neanche il suo Parlamento se non con lo sputo e un cancelliere tedesco che, fra non molte ore, andrà alle elezioni che perderà clamorosamente. L’asse franco-tedesco non è più l’asso nella manica dell’Europa, ma l’Europa, semmai, sono capaci a piantarla in asso come hanno fatto varie volte (vedi la transizione green).Sono stati giorni di piagnisteo insopportabile. I rappresentanti dell’Europa, o di alcuni Paesi europei, sembravano bambini esclusi dal giochino perché arrivati tardi: «Vogliamo esserci anche noi», «Perché non ci coinvolgete?», «Perché escludete l’Europa dai tavoli dove si decide delle sorti del mondo che riguardano anche l’Europa?». Roba da vergognarsi. Il piagnisteo, anche nel consorzio umano, è consentito ai bambini e, infatti, l’Europa è rimasta bambina. Anzi, per non offendere nessuno è rimast* bambin*. Ci fa perfin senso scriverlo.Torniamo alla questione. Perché dei soggetti politici internazionali hanno deciso di non coinvolgere l’Europa nei dialoghi tra Putin e Trump (non è vero che gli Usa non stanno parlando con l’Ucraina, che sarà coinvolta, ovviamente) e tra gli Usa e l’Arabia Saudita (dove ovviamente si parlerà anche della situazione di Gaza e Israele)? Perché, come diceva Henry Kissinger, che qualcosa in più della Von der Leyen ci capiva in politica estera, «ho difficoltà a telefonare all’Europa perché non so che numero fare», e aveva ragione. Purtroppo, quello che era vero decine di anni fa è vero oggi. L’Europa è un’unione monetaria malamente costruita da Prodi & company e niente più. Alcuni dicono che però durante il Covid è intervenuta. Ci mancherebbe altro che non lo avesse fatto ma, anche lì, lo ha fatto tardivamente e malamente. Ma non è questa l’occasione per discuterne. Torniamo alla domanda di prima. Chi avrebbero dovuto convocare? Il presidente della Commissione europea, la nostra cara Ursula von der Leyen che, come Macron, per tenere insieme la Commissione ha bisogno di colate di colla molto resistente ad ogni riunione? Chi va dove si devono decidere cose importanti deve poter trattare a nome di tutti quelli che rappresenta (quindi, eventualmente, sarebbe meglio il presidente di turno dell’Unione europea), tornare a casa dopo la riunione, convocare i suoi alleati (gli Stati membri) e decidere in fretta. Ecco: tutte queste caratteristiche l’Europa non ce le ha. E non ce le ha perché in questi anni non le ha volute raggiungere. Basti pensare alla questione della difesa comune, che va avanti da vent’anni, e a quella della politica estera comune che va avanti da pari tempo. E perché mai io dovrei convocare al tavolo, mentre sto parlando di qualcosa di decisivo con un altro, qualcuno che so che viene al tavolo, ascolta, discute, torna a casa e poi, forse, alle calende greche, mi darà una risposta? Come detto sopra, la politica estera è fatta di decisioni, forza e relativa velocità. Se no sono chiacchiere inutili e spesso dannose perché più che cercare una soluzione alimentano la confusione, più che porre punti fermi finiscono per far diventare i problemi ancora più grandi. Di confusione in giro per il mondo ce n’è già abbastanza. Non serve un’Europa che l’aumenti.Lo scriviamo con un senso di rabbia e scoraggiamento insieme: rabbia perché siamo, come Europa, una potenza economica che può competere con la Russia e con l’America e che è indispensabile a chiunque voglia commerciare nel mondo; scoraggiamento perché siamo stracolmi, vicini allo scoppio, dai discorsi che abbiamo incamerato, dalle promesse disattese, dagli europeismi di facciata che hanno sempre mascherato, in modo più o meno subdolo, gli interessi di singoli Paesi, a partire da quei due che ora si trovano in ginocchio: la Francia e la Germania. La foto di quel tavolo con tanto di tovaglia bianca preparato all’Eliseo, con la Von der Leyen che si volta a favore di macchina fotografica, desta una tristezza pari a quella che, di fronte ai problemi gravi, desta l’impotenza. E, purtroppo, è una sensazione realistica. Sono passati anni nei quali l’Europa, a parte le sanzioni alla Russia e le armi all’Ucraina, non ha saputo far sedere al tavolo nessuno. Ci è riuscito persino Erdogan, o almeno ci ha provato, ma l’Europa lo ha snobbato (o forse è lui che ha snobbato l’Europa). Sono passati decenni in cui l’Europa si è lasciata scappare di mano l’opportunità di fare dell’Africa un interlocutore commerciale e un’operazione umanitaria di dimensioni adeguate volta al rispetto dei diritti umani. Sono passati decenni senza che l’Europa sia riuscita a mettersi in mezzo fra Israele e i palestinesi. Qualche volta lo hanno fatto gli Stati Uniti. Ora l’Europa vorrebbe fare domani ciò che andava preparato almeno nel decennio precedente. Speriamo che si prepari, finalmente, a riformarsi in modo da essere pronta almeno per il decennio futuro. Perché, nel frattempo, non nomina un presidente del Consiglio di uno Stato membro, che ha buoni rapporti con gli Usa, come interlocutore? Così come fa un presidente della Repubblica italiana quando deve formare un governo, cioè conferendogli un incarico esplorativo, quindi a tempo, per provare a inserirsi – sia pure tardivamente – nei colloqui in corso? Ha detto, la Schlein, la cosa più sbagliata in assoluto e cioè che la Meloni deve scegliere fra Trump e l’Europa. Invece deve fare, per quanto può, la medesima Meloni, il contrario: adoperarsi per far dialogare gli Usa di Trump e l’Europa stessa.
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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