2023-11-19
Le virtù del tartufo, tesoro sotterraneo e contorno di pregio dei nostri piatti
È un fungo spontaneo rarissimo, presente in versione bianca o nera I cui esemplari più rinomati sono rispettivamente ad Alba e a Norcia.La ricetta per le tagliatelle secondo lo chef Curtis Stone. La pasta si può preparare fino a 8 ore prima. In una padella larga va aggiunto il burro.Lo speciale comprende due articoli.Da ventiquattro anni, al Castello Grinzane Cavour, si svolge l’asta mondiale del tartufo bianco. Il 12 novembre, in occasione dell’ultima edizione, si è registrata l’ennesima vendita record: un tartufo di 1004 grammi di peso è stato battuto a ben 130.000 euro, somma che sarà interamente devoluta a Mother’s Choice, associazione che si occupa di bambini e adolescenti in difficoltà. Se lo è aggiudicato un imprenditore di Hong Kong. Del resto il tartufo è, tra le eccellenze alimentari italiane, una delle più apprezzate nel mondo. Non siamo grandi soltanto a vendere i tartufi che abbiamo la fortuna di veder nascere nei nostri terreni, ma anche a cavarli. Dal 16 dicembre 2021 (fra poco, dunque, se ne festeggia la ricorrenza) la cerca e cavatura del tartufo in Italia è stata inserita nella lista rappresentativa del patrimonio culturale dell’umanità. Facciamo subito un po’ di chiarezza. Il tartufo sta sottoterra come una patata, ma non è un tubero. Si tratta di un fungo spontaneo, che contrariamente ai propri simili cresce sotto terra anziché in superficie. Il tartufo è il corpo fruttifero di funghi che appartengono al dominio Eukaryota, regno Fungi, divisione Ascomycota. A questa divisione appartengono il 75% delle specie di funghi e tra quelle più conosciute ci sono anche i tartufi. Il genere che contempla più tartufi è il Tuber, ma a donare all’uomo tartufi ci sono altri circa 100 generi. La classe dei tartufi è la Pezizomycetes e l’ordine Pezizales (con eccezioni). Il tartufo è sotterraneo perché cresce vicino alle radici degli alberi: esso è un fungo micorrizico. La micorriza, nome che deriva da parole greco-antiche che vogliono dire «fungo» e «radice», è una forma di simbiosi tra funghi e radici di piante, i primi ottengono composti di carbonio, le piante assorbono meglio acqua e nutrienti dalle radici. Esempi classici di micorriza sono tartufo e quercia, porcino e castagno, ma anche orchidea e alcuni funghi. Le simbiosi micorrizie si creano spontaneamente, ma si possono anche stimolare. Si considerano tartufi anche le terfezie, detti anche tartufi del deserto, perché si sviluppano in aree desertiche e semidesertiche mediterranee. Il corpo del tartufo si chiama carpoforo e ha forma globosa, cioè a globo, la sua superficie esterna, che si chiama peridio, può essere liscia oppure verrucosa, l’interno, che si chiama gleba, è tipicamente marmorizzato e poi ci sono le spore, che possono essere sub-globose o ellissoidali, reticolate oppure spinose. Il tartufo si presta a una bella metafora, proprio in virtù delle sue spore. Se in molti casi la pianta cerca di difendere il frutto, il seme e in generale la pianta perché si propaghi ancora, il tartufo «ragiona» diversamente. Esso si può riprodurre in due modi: quando un tartufo maturo e non raccolto resta nel terreno e marcendo si destruttura liberando le sue spore che attecchiscono lì vicino; quando viene mangiato da animali detti micofagi, non solo maiali o cinghiali ma anche tassi e topi, che poi diffondono le spore in altro luogo. Le spore non sono propriamente semi: le venature che si vedono nella gleba sono i confini degli alveoli, negli alveoli si trovano gli aschi, strutture che contengono le spore. Una volta liberata, la spora germina e dà vita a un nuovo micelio che si unirà agli apici di radici appena usciti e quindi istituirà una nuova micorrizia. La dispersione delle spore da parte animale si chiama disseminazione zoocora. E il forte odore serve proprio ad attrarre l’animale perché scavi e liberi il tartufo permettendo anche alle spore di disperdersi e propagare la specie. Il tartufo esiste in due macroversioni, bianco o nero. La più pregiata varietà bianca è il Tuber magnatum Pico (comunemente detto tartufo bianco d’Alba), la più pregiata varietà nera è il Tuber melanosporum Vittadini (comunemente detto tartufo nero pregiato di Norcia). Ma non solo Alba e Norcia e dintorni sono produttori di tartufi: si trovano un po' in tutta Italia, sebbene questi precisi punti regionali dello Stivale siano le tartufaie più rinomate. Di tartufi giustamente costosi. A prescindere dal colore, il tartufo è già un frutto della terra spontaneo di grande rarità, rarità che, sul mercato, si traduce in una connotazione di alimento molto pregiato, inoltre spontaneo, selvatico, e perciò, dicevamo, giustamente costoso, anche perché la domanda supera sempre l’offerta. Tra i due tipi, poi, è considerato ancora più pregiato il tartufo bianco. La norma atta a regolamentare la cerca e la cavatura del nostro promulgata nel 1985 stabilisce che la raccolta dei tartufi è libera nei boschi e nei terreni non coltivati, che non si possono commercializzare tartufi immaturi, che la raccolta nelle tartufaie coltivate e controllate è diritto dei conduttori, che non si può raccogliere zappando, sarchiando e arando, si può solo usare (per evitare di danneggiare o uccidere il fungo) il vanghetto anche detto vanghella, solo per completare lo scavo iniziato dal cane, unico animale di ausilio della raccolta, non si può usare il maiale per cercare e scavare perché provoca danni ambientali. Gli animali micofagi sono tanti, lo è anche il cinghiale, per esempio, ma solo il cane è l’ideale sodale del raccoglitore di tartufi (che deve avere il tesserino di raccoglitore) perché non tenta di mangiare il tartufo che ha trovato, non si usano razze particolari, a parte il lagotto romagnolo che presenta un’affinità elettiva con la cerca del tartufo, ma il cane in questione deve essere addestrato all’attività. Infine, l’articolo 2 spiega che si possono raccogliere e commercializzare soltanto nove specie di tartufi: «I tartufi destinati al consumo da freschi devono appartenere ad uno dei seguenti generi e specie, rimanendo vietato il commercio di qualsiasi altro tipo: 1) Tuber magnatum Pico, detto volgarmente tartufo bianco; 2) Tuber melanosporum Vitt., detto volgarmente tartufo nero pregiato; 3) Tuber brumale var. moschatum De Ferry, detto volgarmente tartufo moscato; 4) Tuber aestivum Vitt., detto volgarmente tartufo d’estate o scorzone; 5) Tuber uncinatum Chatin, detto volgarmente tartufo uncinato; 6) Tuber brumale Vitt., detto volgarmente tartufo nero d’inverno o trifola nera; 7) Tuber Borchii Vitt. o Tuber albidum Pico, detto volgarmente bianchetto o marzuolo; 8) Tuber macrosporum Vitt., detto volgarmente tartufo nero liscio; 9) Tuber mesentericum Vitt., detto volgarmente tartufo nero ordinario. Le altre specie possono essere leggermente tossiche - non esistono specie di tartufo velenose o fortemente tossiche - e quindi non possono essere commercializzate. Odore e sapore di tutte queste meraviglie della natura creano un valzer di incantamento che estasia molti. Ma il tartufo è anche, fuor di lirismo, materia, mettiamola così, di bruto stomaco. Di tartufo mangiamo piccole quantità e certamente non si può valutare come se stessimo parlando di altri funghi, che consumiamo in quantità assai maggiore a fare da contorno vero e proprio, più che da condimento, come fa il nostro. Nemmeno possiamo valutarlo come facciamo con carne, pesce o cereali. Il suo impatto percentuale nella dieta giornaliera (posto di mangiarlo tutti i giorni, evenienza improbabile) e nel semplice piatto è decisamente minimo. Però c’è. Il tartufo è ricco di antiossidanti, contrasta i radicali liberi e contiene sali minerali e vitamine, ma in dosi esigue: pensate che in 100 g di tartufo bianco troviamo 1 mg di vitamina C, ma nessuno mangia da solo, in un pasto, 100 g di tartufo. Per questo suo consumo di grammatura tipica del condimento, il tartufo può, al limite sommare i suoi milligrammi a quelli del resto del pasto o dell’alimentazione giornaliera. Consideriamo anche quando si consuma crudo, affettato sulle pietanze, quindi mantiene integro ognuno di quei mg che presenta. Il tartufo bianco è consumato generalmente crudo, il tartufo nero crudo come cotto e la cottura non lo sciupa. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/le-virtu-del-tartufo-tesoro-sotterraneo-e-contorno-di-pregio-dei-nostri-piatti-2666309722.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-ricetta-per-le-tagliatelle-secondo-lo-chef-curtis-stone" data-post-id="2666309722" data-published-at="1700423422" data-use-pagination="False"> La ricetta per le tagliatelle secondo lo chef Curtis Stone Dal libro Le stagioni del tartufo, Slow Food Editore e Urbani Tartufi, elegante e pregiato come l’alimento cui è dedicato, ecco la ricetta delle tagliatelle tartufo e burro di Curtis Stone, chef di Los Angeles. Le tagliatelle si possono preparare fino a 8 ore prima e conservare a temperatura ambiente. Pesate, e mettetele da parte. Disponete 550 g di farina di grano tenero 00 a fontana su un piano di lavoro pulito. Fate un buco al centro. Aggiungete 4 uova grandi intere (circa 220 g), 6 tuorli d’uovo grandi (circa 100 g) e 10 g di olio d’oliva nel pozzetto che avete formato. Con una forchetta incorporate lentamente gli ingredienti umidi con gli ingredienti secchi, e impastate per circa 15 minuti, fino a quando non sentirete che il glutine si è sviluppato. Avvolgete l’impasto in pellicola trasparente e fatelo riposare in frigorifero per un’ora. In seguito, spolverate di farina il pezzo di pasta e schiacciatelo con la mano per formare un rettangolo. Passatelo nella macchina per la pasta, con la regolazione più ampia. Piegatelo in terzi e ripetete la laminazione e la piegatura quattro volte, spolverandolo ogni volta di farina prima di passarlo nella macchina. Questo aiuta a renderlo più elastico. A questo punto riducete lo spazio tra i rulli con una regolazione alla volta, fino a raggiungere la tacca uno e mezzo (se usate una macchina Imperia). Alla fine, l’impasto avrà uno spessore di circa 1,5 millimetri. Stendete le sfoglie su un piano di lavoro infarinato e tagliatele a una lunghezza di 40 centimetri. Usando un coltello affilato o un accessorio specifico, ricavatene strisce larghe un centimetro. Foderate delle teglie con carta forno e spolverizzatele leggermente di farina. Stendete le tagliatelle in uno strato uniforme e copritele con un altro foglio di carta forno. Ripetete con un altro strato e ricoprite. Lasciate riposare in un luogo fresco e asciutto fino al momento di cuocere. Per una porzione. In una pentola capiente con acqua bollente salata, lessate 50 g di tagliatelle (circa 15 pezzi) per uno o due minuti, o fino a quando saranno appena cotte. Nel frattempo, in una padella larga e pesante, a fuoco basso, mettete il burro al tartufo, ottenuto tenendo 50 g di burro a cubetti nello stesso contenitore del tartufo, a temperatura ambiente, 50 ml di brodo di pollo caldo (o l’acqua di cottura della pasta o brodo vegetale se siete vegetariani), 2 g di tartufo a scaglie. Scolate la pasta e versatela in padella. Mescolate per emulsionare. Aggiungete altro brodo di pollo se necessario, per ottenere una consistenza sugosa. Condite a piacere con sale. Sistemate sul piatto e servite subito, coprendo con tartufi tagliati a lamelle (usate tartufi bianchi o neri, a seconda della disponibilità, interi) direttamente in tavola.
Jose Mourinho (Getty Images)