2018-09-30
Le super pensioni di chi ci vuole scippare la pensione
Gli stessi organismi internazionali che difendono la Fornero e l'uscita a 67 anni concedono ritiri anticipati e maxi assegni ai propri dipendenti.«L'Italia non smantelli le riforme già fatte a partire da quella delle pensioni voluta dal ministro Elsa Fornero»: questo era, in sintesi, il monito di alcuni giorni fa a noi riservato dall'economista dell'Ocse Laurence Boone. Non è una novità. Quella di lanciare moniti da parte di questi autorevoli organismi sovranazionali contro governi democraticamente eletti è un'abitudine duratura. Soprattutto quando l'oggetto del contendere sono le pensioni. Quelle degli italiani. Basta far scorrere indietro la macchina del tempo.Ad esempio fermandosi allo scorso aprile, quando la Commissione Ue lamentava nel suo Rapporto Pensionistico 2018 come «nonostante l'elevata spesa pensionistica italiana, la sicurezza per le persone di età avanzata non è uniforme nel Paese e se il sistema pensionistico svolge efficacemente la funzione di mantenimento del reddito, la protezione contro la povertà è inadeguata». Veniva quasi da pensare che le riforme sopportate dagli italiani in tutti questi anni non fossero abbastanza.Oppure andando a planare nel settembre 2014. Il Fondo monetario internazionale parlava come al solito di spending review. La sua fissazione istituzionale. È uno «strumento importante», ma ovviamente non basta perché «ulteriori risparmi saranno difficili senza affrontare l'elevata spesa per le pensioni». Ovviamente la «più alta nell'area euro (...) perché rappresenta il 30% del totale della spesa». Ma la madre di tutti i moniti - sempre a proposito di pensioni - è quello della Banca centrale europea. «Caro primo ministro», così iniziava la lettera strettamente riservata, che la Bce allora guidata dal francese Jean Claude Trichet inviava a Silvio Berlusconi. Era il 5 agosto 2011. Una missiva che riportava pure la firma di Mario Draghi, futuro governatore della Bce. L'Italia era al centro di una tempesta finanziaria perfetta che di lì a pochi mesi avrebbe visto schizzare i rendimenti dei titoli di Stato a dieci anni a oltre il 7%. Oggi siamo intorno al 2,9%. Era una «crisi di credibilità», dicevano gli esperti. Le allegre abitudini sessuali del nostro primo ministro, per non si sa bene quale imperscrutabile motivo, spingevano le banche estere a svendere i nostri Btp. Prezzi che scendevano a rotta di collo e rendimenti che di conseguenza esplodevano. La Bce dettava le sue condizioni. Per l'Italia occorreva «con urgenza (...) rafforzare la reputazione della sua firma sovrana e il suo impegno alla sostenibilità del bilancio e alle riforme strutturali». Immancabili queste ultime. Sono un po' come il nero che sfina e si abbina con tutto. Uno dei passaggi essenziali di questa lettera si soffermava ovviamente sulle pensioni. «È possibile intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico, rendendo più rigorosi i criteri di idoneità per le pensioni di anzianità e riportando l'età del ritiro delle donne nel settore privato rapidamente in linea con quella stabilita per il settore pubblico, così ottenendo dei risparmi già nel 2012». Era l'input che tutti temevano, e in fondo si aspettavano. Il cuore della manovra del successivo premier Mario Monti si sarebbe infatti incardinata proprio sull'inasprimento nei criteri di accesso ai trattamenti pensionistici e sul vertiginoso aumento delle imposte sugli immobili (sulla casa in particolare). A cosa questo sia servito, la storia ce lo ha poi dimostrato. A luglio 2012, dieci mesi dopo la legge Fornero, il differenziale fra il rendimento dei nostri Btp a dieci anni e gli omologhi Bund tedeschi (il famigerato spread) era ancora superiore al 5%. Toccò quindi all'altro Mario intervenire. Quel Draghi che, succeduto a Trichet nella guida dell'Eurotower, pronunciò quelle ormai storiche parole: «Per garantire la salvezza dell'euro faremo tutto quanto sarà necessario. E credetemi: sarà abbastanza». La Bce da quel momento in poi avrebbe quindi emesso tutta la moneta che sarebbe stata necessaria (essendo questa una sua prerogativa istituzionale) per acquistare titoli di Stato (fra cui i nostri Btp) facendo aumentare i prezzi e abbassare di conseguenza i rendimenti. Per l'esattezza 2.500 miliardi di euro, di cui oltre 300 miliardi di Btp. Lo spread scese, ma l'età pensionabile salì comunque, perché la riforma Fornero era stata approvata. In pensione a 67 anni e con il metodo contributivo. Ma la riforma delle pensioni era veramente così urgente e soprattutto necessaria? Sul finire del 2011, ovvero poche settimane prima dell'attuazione della riforme «lacrime e sangue» del governo Monti (le prime della Fornero il secondo degli italiani), l'economista tedesco Bernd Raffelhüschen dell'università di Friburgo, docente ed esperto di evoluzione demografica nonché presidente della fondazione tedesca Stiftung Marktwirtschaft (Economia di mercato), elogiava l'Italia e bacchettava Berlino.Lo studio della fondazione, pubblicato a fine 2011, stilava una dettagliata classifica della sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche dei 12 Stati fondatori dell'euro (esclusi dunque i cinque ultimi arrivati: Slovenia, Slovacchia, Estonia, Cipro e Malta). Il titolo del relativo comunicato stampa la diceva già lunga: Italia urrà, Lussemburgo puah. La classifica prendeva in considerazione non solo il debito che la fondazione chiamava «esplicito» (per intendersi il «classico» debito pubblico, oggi superiore al 130% del nostro Pil), ma anche il cosiddetto debito implicito. Ovvero il debito che lo Stato deve pagare per erogare le future prestazioni previdenziali, sanitarie e assistenziali secondo quanto previsto dalla legislazione vigente, nell'ipotesi che resti invariata in futuro. Basandosi sui dati del 2010, l'economista tedesco evidenziava già allora come il debito totale dell'Italia (esplicito più implicito) fosse il più sostenibile di tutta l'eurozona, essendo pari al 146% del Pil contro il 192,6% della Germania.Ma di questa cosa nessuno si occupò in Italia ad eccezione del sito Linkiesta.it. La riforma Fornero fu infatti approvata e attuata in tutta fretta all'insegna del titolo a caratteri cubitali «Fate presto» con cui Il Sole 24 Ore allora invitava a sostituire il governo Berlusconi con quello di Mario Monti. E chi nel frattempo aveva negoziato un'uscita anticipata dal lavoro contando di andare in pensione a 62 e 63 anni si ritrovava nella per niente comoda posizione di non sapere come sbarcare il lunario per almeno cinque anni. I cosiddetti «esodati» su cui successivamente e progressivamente molti governi hanno cercato di mettere delle toppe. Tutti problemi che l'allora ministro Fornero non si pose, come del resto la stessa Bce. E perché mai questi ultimi, così come i funzionari di Ocse, Fmi e Ue avrebbero infatti dovuto farsi troppe domande? I primi a darsi e a darci una risposta sono stati gli analisti di Scenarieconomici.it, che si sono presi la briga di spulciare cosa prevedono i contratti di lavoro di queste istituzioni a proposito di pensioni dei loro dipendenti. La Verità ha rielaborato e sintetizzato nei quattro box della pagina le risultanze delle inchieste in proposito, curate da Fabio Lugano e Luca Mussati.Sicuri di volere andare avanti con la lettura?