2020-05-20
Le sezioni unite della Cassazione confermano la truffa delle banche sui derivati
True
Il 12 maggio è uscita la sentenza che libera il comune di Cattolica da tre contratti con la Bnl stipulati nel 2003. Alfredo Robledo, ex pm a Milano, fu il primo a indagare. «I principi di diritto stabiliti in questa sentenza sono certamente validi anche nella situazione attuale per i contratti ancora in corso».Sono passati quasi 12 anni da quando la Guardia di finanza di Milano sull'ordine dell'ex pm Alfredo Robledo perquisiva gli uffici di Ubs, Deutsche Bank, Jp Morgan e l'irlandese Depfa per una truffa da centinaia di milioni di euro ai danni del Comune di Milano. Quell'inchiesta, che ruotava intorno a un'obbligazione da 1,69 miliardi di euro tra il 2005 e il 2007, finì con una condanna in primo grado e un'assoluzione in appello. Non si arrivò al terzo grado di giudizio perché la procura generale non fece ricorso. Una sentenza di condanna avrebbe potuto essere di aiuto alle centinaia di amministrazioni pubbliche che erano finite raggirate negli anni rampanti della finanza di Wall Street, quando il sistema economico mondiale collassò lasciando una crisi economica simile a quella del 1929. In tanti, tra comuni e regioni, avrebbero potuto rivalersi subito contro gli istituti di credito. Palazzo Marino riuscì almeno a ottenere una transazione durante il processo di primo grado nella misura di 455 milioni di euro. Nel 2013 la normativa è cambiata, ora non si possono più stipulare. Ma in tanti sono ancora in attesa di giudizio o ancora legati al cappio delle banche. Robledo finì anche sul New York Times, con un virgolettato dove ricordò l'importanza del «principio fondamentale della trasparenza da parte delle banche nei contratti con le pubbliche amministrazioni». Di acqua ne è passata molta sotto i ponti. L'ex procuratore aggiunto, dopo la storica battaglia contro l'ex capo Edmondo Bruti Liberati, ora ha cambiato lavoro. E' diventato presidente della Sangalli, un'azienda che opera nel settore dell'ecologia. L'impianto di quell'inchiesta del 2008 era corretto. A dimostrarlo è una sentenza delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione del 12 maggio 2020, dove viene riconosciuto al Comune di Cattolica il diritto di liberarsi di tre derivati stipulati con la Bnl tra il 2003 e il 2004: sarebbero dovuti durare fino al 2025. «L'Italia è una bomba sui derivati, siamo seduti su miliardi euro pronti a scoppiare» ricorda Robledo alla Verità. «I principi di diritto stabiliti in questa sentenza sono certamente validi anche nella situazione attuale per i contratti ancora in corso. Se le amministrazioni locali se ne accorgessero potrebbero fare valere le loro ragioni. Perché se i comuni avessero compreso all'epoca quello che stavano firmando, non lo avrebbero fatto: sono atti incompatibili rispetto ai principi contabili pubblici». La sentenza della Cassazione è molto chiara. E mette in fila in 25 pagine come per anni gli istituti di credito non abbiano tenuto un comportamento trasparente nei confronti degli enti locali a cui hanno venduto strumenti finanziari. All'epoca molti comuni rimasero a secco di liquidità anche per gli obblighi del rispetto del patto di stabilità. Non potevano sforare. Per avere denaro in cassa, in particolare per le spese correnti, tante amministrazioni si rivolsero alle banche. In questo modo stipulavano derivati per ottenere l'upfront, cioè una somma denaro. Ma come ricorda la Cassazione, essenziale in questo tipo di contratti era la «professionalità dei soggetti coinvolti». Questo tipo di derivato, infatti, «é espressione di una logica probabilistica, non avendo ad oggetto un'entità specificamente ed esattamente determinata» e c'è la necessità che vengano fornite tutte le informazioni a riguardo. In sostanza servono consulenti all'altezza, in grado di calcolare i reali rischi finanziari. Fattori essenziali che mancavano al comune di Milano. In quanto «il potere contrattuale degli enti locali incontrava sicuri limiti», anche perché «il derivato per essere ammissibile, doveva essere economicamente conveniente essendo vietato concludere derivati speculativi». Difficile per l'ente locale milanese che si era rivolto proprio al personale degli stessi istituti per stipulare quel contratto.«Il valore di quello Swap era molto alto» ricorda ancora Robledo. «Le banche, a mio giudizio, all'epoca avevano tratto in inganno il comune di Milano. Non avevano indicato il valore effettivo del mark to market, dal momento che il contratto non era alla pari. Nascosero anche i costi impliciti e fecero il calcolo delle probabilità secondo la loro convenienza». Non solo, continua Robledo. «Il contratto era in inglese e il funzionario del comune da me interrogato mi disse che nessuno di loro conosceva la normativa inglese, in base alla quale furono sottoscritti i contratti. In pratica non disponevano degli strumenti adatti per comprendere il valore effettivo del derivato». Le sezioni unite il 12 maggio scrivono proprio questo rispetto agli accordi tra il comune di Cattolica con la Bnl, perché «in nessuno dei contratti figurava la determinazione del valore attuale degli stessi al momento della stipulazione (il mark to market), che un'attenta e condivisibile giurisprudenza di merito riteneva «elemento essenziale». La sentenza determina anche la funzione della clausola upfront, che costituisce «proprio per la sua natura aleatoria, una forma di indebitamento per l'ente pubblico, attuale o potenziale». Per di più, aggiungono i giudici, «che se lo swap stipulato dalle parti non è alla pari, con riferimento alle condizioni corrispettive iniziali», è censurabile. Del resto il riequilibrio del valore paritario poteva essere effettuato anche «con il pagamento» appunto dell'upfront che costituisce un «indebitamento ai fini della normativa di contabilità pubblica». Il contratto deve sempre essere alla pari in partenza, perché nessuno nella pratica finanziaria ne stipulerebbe uno svantaggioso. Le banche erano tenute «a fornire raccomandazioni ai propri assistiti». In caso contrario «senza il consenso dell'investitore (non professionale), gli atti compiuti non possono avere efficacia, a prescindere «dal fatto che la condotta dell'agente sia qualificata in termini di inadempimento o di nullità, con conseguente risarcimento del danno».