2020-12-24
Le mascherine servivano. Il ministero lo sapeva ma ha fatto finta di nulla
La necessità di utilizzare le protezioni era già indicata da un documento Oms del 2018 recepito da Roma nel 2019. Ma fino a marzo agli italiani è stato sconsigliato d'indossarle.Ipotesi di frode in commercio: i dispositivi, dati nelle scuole, non sarebbero a norma.Lo speciale contiene due articoli.Da qualche tempo, ormai, le mascherine sono il feticcio del nuovo culto sanitario. Guai a chi le abbassa, ancora più guai a chi non le indossa, mai più senza nemmeno dentro casa. Eppure, ripensandoci, non sono poi così lontani i giorni in cui illustri scienziati, governanti e medici assortiti ripetevano che la protezione facciale non era affatto necessaria.Ancora il 25 febbraio del 2020, il sito del ministero della Salute - in una pagina ora rimossa - informava: «L'Organizzazione mondiale della sanità raccomanda di indossare anche una mascherina solo se sospetti di aver contratto il nuovo coronavirus e presenti sintomi quali tosse o starnuti, oppure se ti prendi cura di una persona con sospetta infezione da nuovo coronavirus». E aggiungeva, a rafforzare il concetto: «La mascherina non è necessaria per la popolazione generale in assenza di sintomi di malattie respiratorie».Sempre il 25 febbraio, durante una conferenza stampa, il superconsulente del ministro Speranza, Walter Ricciardi, ribadiva: «Le mascherine alle persone sane non servono. Servono per proteggere le persone malate e servono per proteggere il personale sanitario». Andrea Mandelli, presidente della Federazione degli Ordini dei farmacisti italiani, faceva eco: «Bastano le misure di igiene (lavare le mani) ed evitare i contatti ravvicinati, come per l'influenza, mentre le mascherine sono necessarie a chi è già malato per evitare di diffondere i patogeni». Il ritornello è stato ripetuto fino ai primi giorni di marzo. «La mascherina serve in circostanze specifiche e in situazioni in cui è opportuno usarla. Se si va su un mezzo pubblico trovo importante mettersi la mascherina perché comunque non si possono garantire le distanze», diceva l'autorevole infettivologo Massimo Galli a Myrta Merlino l'11 marzo. Più o meno nello stesso periodo, da Fabio Fazio, Roberto Burioni dichiarava: «Inizialmente credevamo che dovessero portarle solo i contagiati, per non infettare gli altri, e il personale sanitario che si trova a contatto con chi ha il virus», ha spiegato. «L'esperienza di questi giorni, tuttavia, consiglia di utilizzarle sempre in quanto molte persone sono positive al Covid-19 ma sono asintomatiche, quindi non possiamo sapere se siamo contagiati. Pertanto è utile usare questa precauzione per tutte le persone che ci stanno intorno quando siamo fuori dalla nostra abitazione».Insomma, prima ci hanno detto che non servivano, poi sono diventate l'oggetto identificativo del bravo italiano ligio alle regole. Accade però una cosa curiosa. Quando si ricorda a un virologo o a un esponente della maggioranza che cosa veniva detto sulle mascherine fino a marzo, tutti rispondono allo stesso modo: «Allora non sapevamo che servissero, poi abbiamo acquisito informazioni e abbiamo scoperto che erano utili». Bellissima frase, molto utile a cavarsi dagli impicci. Peccato che sia falsa. Che le mascherine andassero usate in presenza di altre persone e in luoghi affollati lo si sapeva da subito. Anzi, da prima ancora che il Covid arrivasse. I nostri governanti e i vari luminari al servizio del ministero erano tenuti a sapere. E se avessimo avuto un piano pandemico aggiornato lo avremmo saputo anche noi.Siamo in grado di dimostrare che sull'utilizzo delle mascherine c'erano certezze almeno dal 2018. Dall'Oms arrivarono indicazioni in questo senso, e gli esperti italiani ne erano a conoscenza.Vediamo di spiegare. Come abbiamo raccontato nei giorni scorsi, l'11 aprile del 2019 il ministero della Salute convocò Regioni, associazioni e Istituti vari per iniziare (in clamoroso ritardo) i lavori di aggiornamento del piano pandemico, che era fermo al 2006. Nel giro di qualche mese, fu prodotta una bozza di piano, un documento intitolato Piano nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale. A pagina 35 del testo c'è una tabella che indica gli «interventi non farmacologici» da attuarsi in caso di epidemia. Si tratta di «misure che le persone e le comunità possono adottare per rallentare la diffusione della malattia». Queste misure sono «la prima linea di difesa nelle pandemie influenzali e un elemento critico di preparazione alla pandemia». Tali misure sono divise per grado di «severità» della malattia: qualsiasi, moderata, alta, straordinaria. Nel caso di un grado di severità alto, oltre all'igiene delle mani, alla pulizia di superfici oggetti, all'isolamento dei soggetti malati e alle raccomandazioni sui viaggi, viene disposto anche l'utilizzo «di mascherine per la popolazione».Il documento in questione è stato aggiornato nel febbraio del 2020, e infatti contiene un riferimento (uno solo in 59 pagine) al Covid. Sappiamo però che era già pronto, esattamente uguale, alla fine del 2019. A confermarcelo è stato un alto dirigente del ministero della Salute. E non è tutto.La tabella presente a pagina 35, quella in cui si dice che le mascherine sono necessarie per tutta la popolazione, è ripresa pari pari da un documento dell'Oms (che viene citato esplicitamente nel testo italiano) intitolato Non-pharmaceutical public health measures for mitigating the risk and impact of epidemic and pandemic influenza. Sul documento dell'Oms la data c'è, ed è scritta chiara: 2019. L'anno prima che il Covid arrivasse.Di più. Facendo qualche ricerca, abbiamo scoperto che la bozza italiana chiamata Piano nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale è la traduzione praticamente letterale di un altro documento dell'Oms, intitolato A checklist for pandemic influenza risk and impact management. Non è un piano pandemico, ma una sorta di Bignami che indica agli Stati (che un piano devono già averlo) che cosa occorre verificare affinché il protocollo sia applicato correttamente. Bene, a pagina 36 del documento c'è un capitoletto dedicato proprio agli «interventi non farmacologici». Tra gli interventi indicati come «essential» troviamo: «Restare a casa in caso di malattia, isolamento volontario, etichetta respiratoria, igiene delle mani, utilizzo maschere facciali in contesti comunitari, riduzione dei contatti sociali». Sapete quando è stato scritto tutto ciò? Nel 2018. Riepilogando. Esistono ben due documenti (in realtà sono di più ma fermiamoci a questi) dell'Oms che parlano esplicitamente di utilizzo di mascherine per la popolazione, e risalgono al 2018 e al 2019. Il ministero della Salute ne era a conoscenza, tanto che entrambi questi documenti vengono utilizzati come base (anzi, vengono tradotti letteralmente e copiati) per la formulazione di una bozza di piano pandemico la cui lavorazione è iniziata nell'aprile del 2019. Che cosa dimostra tutto ciò? Che gli esperti sapevano o comunque che dovevano sapere. L'elenco dei componenti del gruppo di lavoro che ha elaborato il documento del governo italiano è sterminato. Troviamo anche nomi celebri, tra cui quelli di Massimo Galli, Giovanni Rezza, Francesco Maraglino, Claudio D'Amario. Alcuni di loro, oggi, fanno parte del Cts. Certo, qualcuno di loro potrebbe obiettare: nei documenti dell'Oms l'uso della mascherina viene consigliato quando la severità della malattia è «alta». Posto che l'Italia, non avendo il piano pandemico, non ha mai fatto riferimento ad alcun grado di severità, possiamo comunque usare la logica. Gli esperti ci hanno ripetuto fino ai primi di marzo che le mascherine non servivano per tutti. Eppure intere Regioni avevano già chiuso a fine febbraio. Agli inizi di marzo è arrivato il lockdown totale. Dunque possiamo affermare che la severità della malattia fosse già «alta» a fine febbraio. E allora perché non ci hanno detto di usare le mascherine? Perché non hanno iniziato a procurarsele subito, visto che l'Oms suggeriva che ce ne sarebbe stato probabilmente bisogno? «Non sapevamo», ci dicono oggi. Ma non è vero: potevano e dovevano sapere. Era tutto scritto, nel 2018 e nel 2019. Anni in cui l'Italia avrebbe dovuto avere un piano pandemico aggiornato che prevedesse anche l'acquisto di mascherine. Peccato che il piano non ci fosse.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/le-mascherine-servivano-il-ministero-lo-sapeva-ma-ha-fatto-finta-di-nulla-2649633668.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="e-quelle-prodotte-da-fca-finiscono-sotto-inchiesta" data-post-id="2649633668" data-published-at="1608765783" data-use-pagination="False"> E quelle prodotte da Fca finiscono sotto inchiesta Frode in commercio. Dopo le polemiche arriva l'ipotesi di reato a seguito dell'inchiesta aperta dalla procura di Torino sulle mascherine prodotte da Fca e distribuite nelle scuole di tutta Italia con il marchio «Presidenza del Consiglio». Tutto è cominciato dopo che la Guardia di finanza ha ricevuto e inoltrato un esposto, che è finito sulla scrivania del procuratore aggiunto Enrica Gabetta, firmato da una donna di Torino «preoccupata per il figlio» avendo sospettato che la mascherina data al minorenne a scuola, potesse essere poco sicura. Infatti sia la consistenza, molto diversa dalle comuni mascherine chirurgiche e dalle Fpp2, che il loro l'odore, avevano fatto supporre alla donna che il dispositivo di protezione non fosse proprio a regola d'arte visto che provocava anche qualche malessere. Peraltro c'erano state già polemiche per con un lotto di mascherine consegnate dal commissario straordinario per il Covid-19 Domenico Arcuri all'istituto Saluzzo-Plana in provincia di Alessandria. Il dirigente scolastico, attraverso una circolare interna, aveva chiesto agli studenti di non indossare i dpi distribuiti giornalmente dalla scuola a causa della loro «puzza». In particolare un forte odore di solvente che si sprigionava già all'apertura della confezione. «Un odore come di pneumatico» aveva sottolineato il preside mentre la mamma preoccupata aveva denunciato «Una puzza mista tra petrolio e gomma, un odore da vomito». E mentre il dirigente scolastico per evitare qualsiasi tipo di problema ha distribuito prontamente altre mascherine di differenti produttori, la donna ha preferito denunciare alle fiamme gialle il fatto increscioso. Nel frattempo l'ex Fiat ha sempre sostenuto di non aver fatto altro che mettere a disposizione la propria forza lavoro per assemblare dispositivi di protezione con macchinari forniti dal commissario Arcuri («prodotti da terzi») e «materie prime stabilite dalle autorità nazionali» anche se, prima di preside e genitori di studenti, i suoi stessi operai avevano denunciato, pubblicamente o attraverso comunicati sindacali ed esposti, «cattivi odori», reazioni allergiche, irritazioni. Da qui l'indagine di Striscia la notizia che ha dimostrato come le mascherine di Stato non fossero conformi alle linee guida. Infatti, il programma satirico di Canale 5 ha commissionato le analisi su due campioni di mascherine che avrebbero dimostrato «una capacità di filtrazione rispettivamente del 67% e del 77%, decisamente inferiore quindi al 95% previsto dalla legge». Inoltre il programma ha raccolto anche le lamentele dei 127 piccoli imprenditori che a maggio erano stati scelti dallo Stato per la produzione delle mascherine, anche grazie al finanziamento al 75% a fondo perduto di Invitalia, e che invece sono rimasti con i dispositivi di sicurezza invenduti perché la produzione Fca ha coperto interamente il fabbisogno nazionale. Insomma, il fascicolo, per ora, resta senza indagati ma una ipotesi di reato c'è: frode in commercio.
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