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2021-11-30
Le mascherine all’aperto feticcio di tutti i sindaci. Ma sono totalmente inutili
Giuseppe Sala (Pier Marco Tacca/Getty Images)
«La mascherina all’aperto ha la stessa probabilità di prevenire il Covid quanto quella di mettersi delle orecchie da coniglio al supermercato tra le 16 e le 17»: parola di Piero Stanig, professore dell’Università Bocconi che ha così commentato l’iniziativa di alcuni comuni italiani di ripristinare le mascherine all’aperto. Iniziativa sollecitata dal ministro della Salute Roberto Speranza, che la ha definita una «misura fondamentale di cautela contro il virus», incoraggiandone l’adozione nelle città italiane. E ripresa con straordinario zelo dai sindaci di tutto l’arco costituzionale, a cominciare da quello di Bari, e presidente dell’Anci, Antonio Decaro (Pd), che ha chiesto al governo, a nome dei suoi colleghi, di valutare l’opportunità di renderla obbligatoria in tutta Italia dal 6 dicembre al 15 gennaio. Alcuni suoi colleghi si sono portati avanti, emettendo già venerdì le ordinanze: compatto il Pd con Beppe Sala a Milano, Giorgio Gori a Bergamo, Mattia Lepore a Bologna, Emilio Del Bono a Brescia, Matteo Ricci a Pesaro, Gianluca Galimberti a Cremona e gli indipendenti Sergio Giordani (Padova), Fulvio Centoz (Aosta), Stefania Bonaldi (Crema), Valerio Zoggia (Jesolo), Giorgio Del Ghingaro (Viareggio) ed Esterino Montino, eminenza grigia del Pd, a Fiumicino. Al fascino della superstizione cede anche il centrodestra: sì, dal 4 dicembre, alle mascherine all’aperto a Verona, guidata da Federico Sboarina di Fratelli d’Italia. Approvate anche a Treviso dal leghista Mario Conte, a Vicenza da Francesco Rucco, a Monza dal sindaco di Forza Italia Dario Allevi, a Como dall’indipendente Mario Landriscina, e in tutto il Friuli Venezia-Giulia, governato da Massimiliano Fedriga della Lega. Domani si decide per Cagliari, guidata da Paolo Truzzu di Fratelli d’Italia. Anche Roma e il resto del Lazio sono pronti a tornare all’obbligo all’aperto, e nella stessa direzione si sta muovendo il sindaco di Firenze Dario Nardella. Il governatore della Regione Lazio Nicola Zingaretti ha addirittura fatto appello alle forze di polizia (sic) «al fine di garantire ovunque il rispetto delle regole di sicurezza per la salute pubblica».
Ma la mascherina all’aperto è davvero un principio di «salute pubblica» come sostengono le istituzioni, a cominciare da Roberto Speranza? «Se un ministro della Salute avesse fatto davvero queste dichiarazioni sarebbe una cosa molto triste», ha scritto sulla sua pagina Facebook il direttore del dipartimento di Patologia alla Emory University di Atlanta Guido Silvestri, «perché dimostrerebbe che siamo ancora nella fase in cui si ricorre al “pensiero magico” e ai riti propoziatori per combattere la pandemia». Per il virologo Silvestri, che ha lavorato nel laboratorio di Anthony Fauci e da sempre spinge per green pass e vaccinazioni di massa, «sarebbe ancor più triste se i miei colleghi ad ampia visibilità mediatica dessero il loro endorsement a queste affermazioni ascientifiche solo perché si deve fare “qualcosa” contro il panico mediatico da quarta ondata (o, peggio ancora, perché un ministro bisogna tenerselo buono)».
L’uso delle mascherine è stato studiato in lungo e in largo, ed esistono diversi studi internazionali che ne mettono in dubbio l’efficacia già al chiuso. Ma non se ne può parlare: l’anno scorso, Facebook ha bollato un articolo degli autorevoli scienziati Carl Heneghan e Tom Jefferson del Center for Ebm di Oxford, come «fake news», e il caso è finito davanti al Parlamento inglese. In Francia, per mesi si è discusso sull’uso della mascherina durante il parto, chiamando in causa la teoria dell’imprinting tra mamma e neonato, impossibile da stabilire con una mascherina sul volto. Sull’uso all’esterno, la totale ascientificità è ancora più netta: non esiste infatti alcuno studio che certifichi una benché minima utilità del provvedimento. Uno studio randomizzato danese ha confermato che le mascherine chirurgiche fuori casa non hanno ridotto il tasso di infezione da Sars Cov-2.
La mascherina all’aperto, insomma, semplicemente non serve. Per questo motivo diversi scienziati ne hanno contestato l’imposizione particolarmente ai bambini e agli studenti a scuola, dove talvolta continua ad essere richiesta anche durante l’ora di ginnastica. «Ma non vi rendete conto che dopo che hanno avuto il coraggio di rendere obbligatoria la mascherina quando si è in due non conviventi in moto, con tanto di casco, ormai qualsiasi assurdità potrà essere resa obbligatoria?», dice Emilio Mordini, psicoanalista e coordinatore scientifico di numerosi progetti di ricerca su vaccinazioni ed epidemie presso la Commissione europea. In mezzo a tanta ascientificità, non c’è da stupirsi se si toccano estremi opposti, come quello del governatore del Texas che le ha vietate.
Se un cittadino si sente più protetto nell’indossare la mascherina visitando un mercatino di Natale, deve essere libero di farlo. Secondo Silvestri, «va benissimo usarle se non è possibile distanziarsi». Ma multare una persona «perché va a fare una passeggiata per conto suo al mare o al parco senza mascherina sarebbe una vessazione stupida, oltre che un insulto alla scienza».
Più che Capodanno sarà Caporetto. Hotel semivuoti, vacanze in bilico
Più del cittì conta il Covid. Visto dalle Marche, di cui è testimonial Roberto Mancini allenatore del Nazionale, più che Capodanno s’annuncia Caporetto. Le prenotazioni – ha rilevato il Corriere Adriatico – sono crollate dell’80%; Agnese Finoia, gestisce Piceno 2.0, ha reso noto che in due giorni «interi gruppi di italiani hanno disdetto» per la paura dei contagi, per le troppe difficoltà create dal super green pass. L’operazione «salviamo il Natale» con cui si giustificano restrizioni e allarmi per ora è un mezzo fallimento. A Roma c’è un crollo delle prenotazioni del 20% «ma va sempre peggio», avverte Tommaso Tanzilli direttore di Federalberghi nella Capitale «e con i prezzi in caduta, molte imprese lavorano sottocosto, prevedo che a inizio anno ci saranno migliaia di licenziamenti». Su 1200 hotel a Roma 350 non hanno riaperto da due anni e ce ne sono almeno altrettanti in vendita. Una ricerca di Confturismo-Confcommercio-Swg che si è svolta tra il 15 e il 19 novembre ha rilevato che a fronte di una stima iniziale di 25 milioni di italiani pronti a fare vacanze nel periodo natalizio già 2,5 hanno disdetto, altri 8,5 milioni sono pronti a farlo o a ridurre itinerario e periodo, altri 12 restano intenzionati a partire, ma più della metà per andare dai parenti il che significa una spesa ridottissima. Tra enfatizzazione dei contagi, restrizioni, città vietate senza mascherine si rischia di mandare in fumo circa 5 miliardi di euro. Che la situazione sia critica lo si evince da due dati: a fine anno scade la cassa integrazione per gli alberghi e ci sono alle viste decine di migliaia di licenziamenti col settore che chiede nuovi interventi al governo mentre tutto il comparto è travolto dalle scadenze fiscali; manca almeno l’80% del turismo straniero. Alberto Corti, responsabile turismo di Confcommercio, sostiene che non arriveranno i nostri clienti abituali: tedeschi, austriaci e svizzeri. Il bilancio di fine anno si chiuderà con cento milioni di presenze in meno negli alberghi che peraltro ora devono fronteggiare costi crescenti e l’azzeramento del turismo intercontinentale. Di chi è la colpa? Gli operatori dell’Alto Adige dove ci sono almeno dieci località sciistiche in zona rossa, il che fa prevedere che le vacanze sulla neve partiranno col piede sbagliato, puntano il dito contro i no vax. Però Valeria Ghezzi – che preside l’associazione degli impianti a fune – teme un stagione in slalom tra i paletti anti Covid. «Certo è», nota la Ghezzi «che un altro inverno senza turisti sarebbe la fine». Il super green pass e il molto insistere sui contagi sta determinando un nuovo crack per i ristoratori. Paolo Bianchini del Mio sostiene che hanno oggi una pioggia di disdette per i pranzi aziendali di auguri e temono che il periodo Natale-Capodanno, il più redditizio, sia un mezzo flop a causa delle restrizioni. Domani a Roma diverse categorie di operatori hanno deciso sit-in di protesta. I più arrabbiati sono gli agenti di viaggio aderenti all’Astoi. Ce l’hanno col ministro della Salute Roberto Speranza per l’invito agli italiani a fare vacanze domestiche. In una nota l’Astoi rileva di aver perso 11 miliardi di fatturato: «Porteremo i libri contabili al ministro Giancarlo Giorgetti, sarà il governo a farsi carico del fallimento di 13.000 aziende e di 80.000 disoccupati». Per il ministro del Turismo Massimo Garavaglia però «il settore è in ripresa, ma mancano dai 200 ai 300.000 addetti specializzati». Per la verità pare che manchino milioni di turisti. Forse anche sul rimbalzo del Pil bisognerà rifare i conti. Gli operatori avvisano con Luca Patanè presidente di Confturismo: «Prevale l’incertezza, servono indicazioni chiare e immediate». Perché l’allarmismo ammazza il turismo; chissà se ne vale la pena per «vendere» qualche vaccino in più?
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Ordinanze da destra e sinistra per ripristinare l’obbligo dopo l’appello di Roberto Speranza. Gli esperti: non servono a nulla. Ma Nicola Zingaretti chiede alle forze di polizia più controlli.Più che Capodanno sarà Caporetto. Hotel semivuoti, vacanze in bilico. Raffica di disdette, a rischio la partenza di 12 milioni di italiani. Turismo in ginocchio.Lo speciale comprende due articoli. «La mascherina all’aperto ha la stessa probabilità di prevenire il Covid quanto quella di mettersi delle orecchie da coniglio al supermercato tra le 16 e le 17»: parola di Piero Stanig, professore dell’Università Bocconi che ha così commentato l’iniziativa di alcuni comuni italiani di ripristinare le mascherine all’aperto. Iniziativa sollecitata dal ministro della Salute Roberto Speranza, che la ha definita una «misura fondamentale di cautela contro il virus», incoraggiandone l’adozione nelle città italiane. E ripresa con straordinario zelo dai sindaci di tutto l’arco costituzionale, a cominciare da quello di Bari, e presidente dell’Anci, Antonio Decaro (Pd), che ha chiesto al governo, a nome dei suoi colleghi, di valutare l’opportunità di renderla obbligatoria in tutta Italia dal 6 dicembre al 15 gennaio. Alcuni suoi colleghi si sono portati avanti, emettendo già venerdì le ordinanze: compatto il Pd con Beppe Sala a Milano, Giorgio Gori a Bergamo, Mattia Lepore a Bologna, Emilio Del Bono a Brescia, Matteo Ricci a Pesaro, Gianluca Galimberti a Cremona e gli indipendenti Sergio Giordani (Padova), Fulvio Centoz (Aosta), Stefania Bonaldi (Crema), Valerio Zoggia (Jesolo), Giorgio Del Ghingaro (Viareggio) ed Esterino Montino, eminenza grigia del Pd, a Fiumicino. Al fascino della superstizione cede anche il centrodestra: sì, dal 4 dicembre, alle mascherine all’aperto a Verona, guidata da Federico Sboarina di Fratelli d’Italia. Approvate anche a Treviso dal leghista Mario Conte, a Vicenza da Francesco Rucco, a Monza dal sindaco di Forza Italia Dario Allevi, a Como dall’indipendente Mario Landriscina, e in tutto il Friuli Venezia-Giulia, governato da Massimiliano Fedriga della Lega. Domani si decide per Cagliari, guidata da Paolo Truzzu di Fratelli d’Italia. Anche Roma e il resto del Lazio sono pronti a tornare all’obbligo all’aperto, e nella stessa direzione si sta muovendo il sindaco di Firenze Dario Nardella. Il governatore della Regione Lazio Nicola Zingaretti ha addirittura fatto appello alle forze di polizia (sic) «al fine di garantire ovunque il rispetto delle regole di sicurezza per la salute pubblica».Ma la mascherina all’aperto è davvero un principio di «salute pubblica» come sostengono le istituzioni, a cominciare da Roberto Speranza? «Se un ministro della Salute avesse fatto davvero queste dichiarazioni sarebbe una cosa molto triste», ha scritto sulla sua pagina Facebook il direttore del dipartimento di Patologia alla Emory University di Atlanta Guido Silvestri, «perché dimostrerebbe che siamo ancora nella fase in cui si ricorre al “pensiero magico” e ai riti propoziatori per combattere la pandemia». Per il virologo Silvestri, che ha lavorato nel laboratorio di Anthony Fauci e da sempre spinge per green pass e vaccinazioni di massa, «sarebbe ancor più triste se i miei colleghi ad ampia visibilità mediatica dessero il loro endorsement a queste affermazioni ascientifiche solo perché si deve fare “qualcosa” contro il panico mediatico da quarta ondata (o, peggio ancora, perché un ministro bisogna tenerselo buono)».L’uso delle mascherine è stato studiato in lungo e in largo, ed esistono diversi studi internazionali che ne mettono in dubbio l’efficacia già al chiuso. Ma non se ne può parlare: l’anno scorso, Facebook ha bollato un articolo degli autorevoli scienziati Carl Heneghan e Tom Jefferson del Center for Ebm di Oxford, come «fake news», e il caso è finito davanti al Parlamento inglese. In Francia, per mesi si è discusso sull’uso della mascherina durante il parto, chiamando in causa la teoria dell’imprinting tra mamma e neonato, impossibile da stabilire con una mascherina sul volto. Sull’uso all’esterno, la totale ascientificità è ancora più netta: non esiste infatti alcuno studio che certifichi una benché minima utilità del provvedimento. Uno studio randomizzato danese ha confermato che le mascherine chirurgiche fuori casa non hanno ridotto il tasso di infezione da Sars Cov-2.La mascherina all’aperto, insomma, semplicemente non serve. Per questo motivo diversi scienziati ne hanno contestato l’imposizione particolarmente ai bambini e agli studenti a scuola, dove talvolta continua ad essere richiesta anche durante l’ora di ginnastica. «Ma non vi rendete conto che dopo che hanno avuto il coraggio di rendere obbligatoria la mascherina quando si è in due non conviventi in moto, con tanto di casco, ormai qualsiasi assurdità potrà essere resa obbligatoria?», dice Emilio Mordini, psicoanalista e coordinatore scientifico di numerosi progetti di ricerca su vaccinazioni ed epidemie presso la Commissione europea. In mezzo a tanta ascientificità, non c’è da stupirsi se si toccano estremi opposti, come quello del governatore del Texas che le ha vietate.Se un cittadino si sente più protetto nell’indossare la mascherina visitando un mercatino di Natale, deve essere libero di farlo. Secondo Silvestri, «va benissimo usarle se non è possibile distanziarsi». Ma multare una persona «perché va a fare una passeggiata per conto suo al mare o al parco senza mascherina sarebbe una vessazione stupida, oltre che un insulto alla scienza».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/le-mascherine-allaperto-feticcio-di-tutti-i-sindaci-ma-sono-totalmente-inutili-2655882498.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="piu-che-capodanno-sara-caporetto-hotel-semivuoti-vacanze-in-bilico" data-post-id="2655882498" data-published-at="1638216887" data-use-pagination="False"> Più che Capodanno sarà Caporetto. Hotel semivuoti, vacanze in bilico Più del cittì conta il Covid. Visto dalle Marche, di cui è testimonial Roberto Mancini allenatore del Nazionale, più che Capodanno s’annuncia Caporetto. Le prenotazioni – ha rilevato il Corriere Adriatico – sono crollate dell’80%; Agnese Finoia, gestisce Piceno 2.0, ha reso noto che in due giorni «interi gruppi di italiani hanno disdetto» per la paura dei contagi, per le troppe difficoltà create dal super green pass. L’operazione «salviamo il Natale» con cui si giustificano restrizioni e allarmi per ora è un mezzo fallimento. A Roma c’è un crollo delle prenotazioni del 20% «ma va sempre peggio», avverte Tommaso Tanzilli direttore di Federalberghi nella Capitale «e con i prezzi in caduta, molte imprese lavorano sottocosto, prevedo che a inizio anno ci saranno migliaia di licenziamenti». Su 1200 hotel a Roma 350 non hanno riaperto da due anni e ce ne sono almeno altrettanti in vendita. Una ricerca di Confturismo-Confcommercio-Swg che si è svolta tra il 15 e il 19 novembre ha rilevato che a fronte di una stima iniziale di 25 milioni di italiani pronti a fare vacanze nel periodo natalizio già 2,5 hanno disdetto, altri 8,5 milioni sono pronti a farlo o a ridurre itinerario e periodo, altri 12 restano intenzionati a partire, ma più della metà per andare dai parenti il che significa una spesa ridottissima. Tra enfatizzazione dei contagi, restrizioni, città vietate senza mascherine si rischia di mandare in fumo circa 5 miliardi di euro. Che la situazione sia critica lo si evince da due dati: a fine anno scade la cassa integrazione per gli alberghi e ci sono alle viste decine di migliaia di licenziamenti col settore che chiede nuovi interventi al governo mentre tutto il comparto è travolto dalle scadenze fiscali; manca almeno l’80% del turismo straniero. Alberto Corti, responsabile turismo di Confcommercio, sostiene che non arriveranno i nostri clienti abituali: tedeschi, austriaci e svizzeri. Il bilancio di fine anno si chiuderà con cento milioni di presenze in meno negli alberghi che peraltro ora devono fronteggiare costi crescenti e l’azzeramento del turismo intercontinentale. Di chi è la colpa? Gli operatori dell’Alto Adige dove ci sono almeno dieci località sciistiche in zona rossa, il che fa prevedere che le vacanze sulla neve partiranno col piede sbagliato, puntano il dito contro i no vax. Però Valeria Ghezzi – che preside l’associazione degli impianti a fune – teme un stagione in slalom tra i paletti anti Covid. «Certo è», nota la Ghezzi «che un altro inverno senza turisti sarebbe la fine». Il super green pass e il molto insistere sui contagi sta determinando un nuovo crack per i ristoratori. Paolo Bianchini del Mio sostiene che hanno oggi una pioggia di disdette per i pranzi aziendali di auguri e temono che il periodo Natale-Capodanno, il più redditizio, sia un mezzo flop a causa delle restrizioni. Domani a Roma diverse categorie di operatori hanno deciso sit-in di protesta. I più arrabbiati sono gli agenti di viaggio aderenti all’Astoi. Ce l’hanno col ministro della Salute Roberto Speranza per l’invito agli italiani a fare vacanze domestiche. In una nota l’Astoi rileva di aver perso 11 miliardi di fatturato: «Porteremo i libri contabili al ministro Giancarlo Giorgetti, sarà il governo a farsi carico del fallimento di 13.000 aziende e di 80.000 disoccupati». Per il ministro del Turismo Massimo Garavaglia però «il settore è in ripresa, ma mancano dai 200 ai 300.000 addetti specializzati». Per la verità pare che manchino milioni di turisti. Forse anche sul rimbalzo del Pil bisognerà rifare i conti. Gli operatori avvisano con Luca Patanè presidente di Confturismo: «Prevale l’incertezza, servono indicazioni chiare e immediate». Perché l’allarmismo ammazza il turismo; chissà se ne vale la pena per «vendere» qualche vaccino in più?
Monterosa ski
Dopo un’estate da record, con presenze in crescita del 2% e incassi saliti del 3%, il sipario si alza ora su Monterosa Ski. In scena uno dei comprensori più autentici dell’arco alpino, da vivere fino al 19 aprile (neve permettendo) con e senza gli sci ai piedi, tra discese impeccabili, panorami che tolgono il fiato e quella calda accoglienza che da sempre distingue questo spicchio di territorio che si muove tra Valle d’Aosta e Piemonte, abbracciando le valli di Ayas e Gressoney e la Valsesia.
Protagoniste assolute dell’inverno al via, le novità.
A Gressoney-Saint-Jean il baby snow park Sonne è fresco di rinnovo e pronto ad accogliere i piccoli sciatori con aree gioco più ampie, un nuovo tapis roulant per prolungare il divertimento delle discese su sci, slittini e gommoni, e una serie di percorsi con gonfiabili a tema Walser per celebrare le tradizioni della valle. Poco più in alto, a Gressoney-La-Trinité, vede la luce la nuova pista di slittino Murmeltier, progetto ambizioso che ruota attorno a 550 metri di discesa serviti dalla seggiovia Moos, illuminazione notturna, innevamento garantito e la possibilità di scivolare anche sotto le stelle, ogni mercoledì e sabato sera.
Da questa stagione, poi, entra pienamente in funzione la tecnologia bluetooth low energy, che consente di usare lo skipass digitale dallo smartphone, senza passare dalla biglietteria. Basta tenerlo in tasca per accedere agli impianti, riducendo così plastica e attese e promuovendo una montagna più smart e sostenibile, dove la tecnologia è al servizio dell’esperienza.
Sul fronte di costi e promozioni, fioccano agevolazioni e formule pensate per andare incontro a tutte le tasche e per far fronte alle imprevedibili condizioni meteorologiche. A partire da sci gratuito per bambini sotto gli otto anni, a sconti del 30 e del 20 per cento rispettivamente per i ragazzi tra gli 8 e i 16 anni e i giovani tra i 16 e i 24 anni , per arrivare a voucher multiuso per i rimborsi skipass in caso di chiusura degli impianti . «Siamo più che soddisfatti di poter ribadire la solidità di una destinazione che sta affrontando le sfide di questi anni con lungimiranza. Su tutte, l’imprevedibilità delle condizioni meteo che ci condiziona in modo determinante e ci spinge a migliorare le performance delle infrastrutture e delle modalità di rimborso, come nel caso dei voucher», dice Giorgio Munari, amministratore delegato di Monterosa Spa.
Introdotti con successo l’inverno scorso, i voucher permettono ai titolari di skipass giornalieri o plurigiornalieri, in caso di chiusure parziali o totali del comprensorio, di avere crediti spendibili in acquisti non solo di nuovi skipass e biglietti per impianti, ma anche in attività e shopping presso partner d’eccellenza, che vanno dal Forte di Bard alle Terme di Champoluc, fino all’avveniristica Skyway Monte Bianco, passando per ristoranti di charme e botteghe artigiane.
Altra grande novità della stagione, questa volta dal respiro internazionale, l’ingresso di Monterosa Ski nel circuito Ikon pass, piattaforma americana che raccoglie oltre 60 destinazioni sciistiche nel mondo.
«Non si tratta solo di un’inclusione simbolica», commenta Munari, «ma di entrare concretamente nei radar di sciatori di Stati Uniti, Canada, Giappone o Australia che, già abituati a muoversi tra mete sciistiche di fama mondiale, avranno ora la possibilità di scoprire anche il nostro comprensorio». Comprensorio che ha tanto da offrire.
Sotto lo sguardo dei maestosi 4.000 del Rosa, sfilano discese sfidanti anche per i più esperti sul carosello principale Monterosa Ski 3 Valli - 29 impianti per 52 piste fino a 2.971 metri di quota - e percorsi più soft, adatti a principianti e bambini, nella ski area satellite di Antagnod, Brusson, Gressoney-Saint-Jean, Champorcher e Alpe di Mera; fuoripista da urlo nel regno imbiancato di Monterosa freeride paradise e tracciati di sci alpinismo d’eccezione - Monterosa Ski è il primo comprensorio di sci alpinismo in Italia. Il tutto accompagnato da panorami e paesaggi strepitosi e da un’accoglienza made in Italy che conquista a colpi di stile e atmosfere genuine. Info: www.monterosaski.eu.
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Dal foyer della Prima domina il nero scelto da vip e istituzioni. Tra abiti couture, la presenza di Pierfrancesco Favino, Mahmood, Achille Lauro e Barbara Berlusconi - appena nominata nel cda - spiccano le assenze ufficiali. Record d’incassi per Šostakovič.
Non c’è dubbio che un’opera dirompente e sensuale, che vede tradimenti e assassinii, censurata per la sua audacia e celebrata per la sua altissima qualità musicale come Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmítrij Šostakóvič, abbia influenzato la scelta di stile delle signore presenti.
«Quando preparo gli abiti delle mie clienti per la Prima della Scala, tengo sempre conto del tema dell’opera», spiega Lella Curiel, sessanta prime al suo attivo e stilista per antonomasia della serata più importante del Piermarini. Così ogni volta la Prima diventa un grande esperimento sociale, di eleganza ma anche di mise inopportune. Da sempre, la platea ingioiellata e in smoking, si divide tra chi è qui per la musica e chi per mostrarsi mentre finge di essere qui intendendosene. Sul piazzale, lo show comincia ben prima del do di petto. Le signore scendono dalle auto con la stessa espressione di chi affronta un red carpet improvvisato: un occhio al gradino e uno ai fotografi. Sono tiratissime, ma anche i loro accompagnatori non sono da meno, alcuni dei quali con abiti talmente aderenti che sembrano più un atto di fede che un capo sartoriale.
È il festival del «chi c’è», «chi manca» ma tutti partecipano con disinvoltura allo spettacolo parallelo: quello dei saluti affettuosi, che durano esattamente il tempo di contare quanti carati ha l’altro. Mancano sì il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio, il presidente del Senato e il presidente della Camera ma gli aficionados della Prima, e anche tanti altri, ci sono tutti visto che è stato raggiunto il record di biglietti venduti, quasi 3 milioni di euro d’incasso.
Sul palco d'onore, con il sindaco Beppe Sala e Chiara Bazoli (in nero Armani rischiarato da un corpetto in paillettes), il ministro della Cultura Alessandro Giuli, l’applaudita senatrice a vita Liliana Segre, il presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana accompagnato dalla figlia Cristina (elegantissima in nero di Dior), il presidente della Corte Costituzionale Giovanni Amoroso, i vicepresidenti di Camera e Senato Anna Ascani e Gian Marco Centinaio e il prefetto di Milano Claudio Sgaraglia. Nero imperante, quindi, nero di pizzo, di velluto, di chiffon ma sempre nero. Con un tocco di rosso come per l’abito di Maria Grazia compagna di Giuseppe Marotta («è un vestito di sartoria, non è firmato da nessun stilista»), con dettagli verdi scelti da Diana Bracco («sono molto rigorosa»). Tutto nero l’abito/cappotto di Andrée Ruth Shammah («metto sempre questo per la Prima con i gioielli colorati di mia mamma»). E così quello di Fabiana Giacomotti molto scollato sulla schiena («è di Balenciaga, l’ultima collezione di Demna»).
Ma esce dal coro Barbara Berlusconi, la più fotografata, in un prezioso abito di Armani dalle varie sfumature, dall’argento al rosso al blu («ho scelto questo abito che avevo già indossato per celebrarlo»), accompagnata da Lorenzo Guerrieri. Fresca di nomina nel cda della Scala (voluta da Fontana), si è soffermata con i giornalisti. «La scelta di Šostakovič - afferma - conferma che la Scala non è solo un luogo di memoria: è anche un teatro che ha il coraggio di proporre opere che fanno pensare, che interrogano il pubblico, lo sfidano, e che raccontano la complessità del nostro tempo. La Lady è un titolo "ruvido", forte, volutamente impegnativo, che non cerca il consenso facile. È un'opera intensa, profonda, scomoda, ma anche attualissima per i temi che propone». E aggiunge: «Mio padre amava l'opera e ho avuto il piacere di accompagnarlo parecchi anni fa a una Prima. Questo ruolo nel cda l'ho preso con grande impegno per aiutare la Scala a proseguire nel suo straordinario lavoro». Altra componente del cda, Melania Rizzoli, in nero vintage dell’amica Chiara Boni, arrivata con il figlio Alberto Rizzoli. In nero Ivana Jelinic, ad di Enit, agenzia nazionale del Turismo. In blu firmato Antonio Riva, Giulia Crespi moglie di Angelo, direttore della Pinacoteca di Brera. In beige Ilaria Borletti Buitoni con un completo confezionato dalla sarta su un suo disegno. Letteralmente accerchiati da giornalisti, fotografi e telecamere Pierfrancesco Favino con la moglie Anna Ferzetti, Mahmood in Versace («mi sento regale») e Achille Lauro che dice quanto sia importante che l’opera arrivi ai giovani. Debutto lirico per Giorgio Pasotti mentre è una conferma per Giovanna Salza in Armani e ospite abituale è l’artista Francesco Vezzoli.
Poi, in 500, alla cena di gala firmata dallo chef 2 stelle Michelin nella storica Società del Giardino Davide Oldani. E così la Prima resta quel miracolo annuale in cui tutti, almeno per una sera, riescono a essere la versione più scintillante (e leggermente autoironica) di sé stessi.
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Guido Guidesi (Imagoeconomica)
Le Zis si propongono come aree geografiche o distretti tematici in cui imprese, startup e centri di ricerca possano operare in sinergia per stimolare l’innovazione, generare nuova occupazione qualificata, attrarre capitali, formare competenze avanzate e trattenere talenti. Nelle intenzioni della Regione, le nuove zone dovranno funzionare come poli stabili, riconosciuti e specializzati, ciascuno legato alle vocazioni produttive del proprio territorio. I progetti potranno riguardare settori differenti: manifattura avanzata, digitalizzazione, life science, agritech, energia, materiali innovativi, cultura tecnologica e altre filiere considerate strategiche.
La procedura di attivazione delle Zis è così articolata. La Fase 1, tramite manifestazione di interesse, permette ai soggetti coinvolti di presentare un Masterplan, documento preliminare in cui vengono indicati settore di specializzazione, composizione del partenariato, governance, spazi disponibili o da realizzare, laboratori, servizi tecnologici e prospetto di sostenibilità. La proposta dovrà inoltre includere la lettera di endorsement della Provincia competente. Ogni Provincia potrà ospitare fino a due Zis, senza limiti invece per le candidature interprovinciali. La dotazione economica disponibile per questa fase è pari a 1 milione di euro: il contributo regionale finanzia fino al 50% delle spese di consulenza per la stesura dei documenti necessari alla Fase 2, fino a un massimo di 100.000 euro per progetto.
La Fase 2 è riservata ai progetti ammessi dopo la valutazione iniziale. Con l’accompagnamento della Regione, i proponenti elaboreranno il Piano strategico definitivo, che dovrà disegnare una visione a lungo termine con orizzonte al 2050. Il programma di sviluppo indicherà le azioni operative: attrazione di nuove imprese e startup innovative, apertura o potenziamento di laboratori, creazione di infrastrutture digitali, percorsi formativi ad alta specializzazione, incubatori e servizi condivisi. Sarà inoltre definito un modello economico sostenibile e un sistema di monitoraggio basato su indicatori misurabili per valutare impatti occupazionali, tecnologici e competitivi.
I soggetti autorizzati alla presentazione delle candidature sono raggruppamenti pubblico-privati con imprese o startup come capofila. Possono partecipare enti pubblici, Comuni, Province, camere di commercio, università, centri di ricerca, enti formativi, fondazioni, associazioni e organizzazioni del terzo settore. Regione Lombardia avrà il ruolo di coordinatore e facilitatore. All’interno della direzione generale sviluppo economico sarà istituita una struttura dedicata al supporto dei territori: un presidio tecnico incaricato di orientare, assistere e valorizzare le progettualità, monitorando l’attuazione e la coerenza con gli obiettivi strategici.
Nel corso della presentazione istituzionale, l’assessore allo Sviluppo economico, Guido Guidesi, ha dichiarato: «Cambiamo per innovare. Le Zis saranno il connettore dei valori aggiunti di cui già disponiamo e che metteremo a sistema, ecosistemi settoriali che innovano in squadra tra aziende, ricerca, formazione, istituzioni e credito. Guardiamo al futuro difendendo il nostro sistema produttivo con l’obiettivo di consegnare opportunità ai giovani». Da Confindustria Lombardia è arrivata una valutazione positiva. Il presidente Giuseppe Pasini ha affermato: «Attraverso le Zis si intensifica il lavoro a favore delle imprese e dei territori. Apprezziamo la capacità di visione e la volontà di puntare sui giovani».
Ogni territorio svilupperà la propria specializzazione, puntando su filiere già forti o sulla creazione di nuovi segmenti tecnologici. Il percorso non prevede limiti settoriali ma richiede sostenibilità economica e capacità di generare ricadute occupazionali misurabili.
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