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2021-11-30
Le mascherine all’aperto feticcio di tutti i sindaci. Ma sono totalmente inutili
Giuseppe Sala (Pier Marco Tacca/Getty Images)
«La mascherina all’aperto ha la stessa probabilità di prevenire il Covid quanto quella di mettersi delle orecchie da coniglio al supermercato tra le 16 e le 17»: parola di Piero Stanig, professore dell’Università Bocconi che ha così commentato l’iniziativa di alcuni comuni italiani di ripristinare le mascherine all’aperto. Iniziativa sollecitata dal ministro della Salute Roberto Speranza, che la ha definita una «misura fondamentale di cautela contro il virus», incoraggiandone l’adozione nelle città italiane. E ripresa con straordinario zelo dai sindaci di tutto l’arco costituzionale, a cominciare da quello di Bari, e presidente dell’Anci, Antonio Decaro (Pd), che ha chiesto al governo, a nome dei suoi colleghi, di valutare l’opportunità di renderla obbligatoria in tutta Italia dal 6 dicembre al 15 gennaio. Alcuni suoi colleghi si sono portati avanti, emettendo già venerdì le ordinanze: compatto il Pd con Beppe Sala a Milano, Giorgio Gori a Bergamo, Mattia Lepore a Bologna, Emilio Del Bono a Brescia, Matteo Ricci a Pesaro, Gianluca Galimberti a Cremona e gli indipendenti Sergio Giordani (Padova), Fulvio Centoz (Aosta), Stefania Bonaldi (Crema), Valerio Zoggia (Jesolo), Giorgio Del Ghingaro (Viareggio) ed Esterino Montino, eminenza grigia del Pd, a Fiumicino. Al fascino della superstizione cede anche il centrodestra: sì, dal 4 dicembre, alle mascherine all’aperto a Verona, guidata da Federico Sboarina di Fratelli d’Italia. Approvate anche a Treviso dal leghista Mario Conte, a Vicenza da Francesco Rucco, a Monza dal sindaco di Forza Italia Dario Allevi, a Como dall’indipendente Mario Landriscina, e in tutto il Friuli Venezia-Giulia, governato da Massimiliano Fedriga della Lega. Domani si decide per Cagliari, guidata da Paolo Truzzu di Fratelli d’Italia. Anche Roma e il resto del Lazio sono pronti a tornare all’obbligo all’aperto, e nella stessa direzione si sta muovendo il sindaco di Firenze Dario Nardella. Il governatore della Regione Lazio Nicola Zingaretti ha addirittura fatto appello alle forze di polizia (sic) «al fine di garantire ovunque il rispetto delle regole di sicurezza per la salute pubblica».
Ma la mascherina all’aperto è davvero un principio di «salute pubblica» come sostengono le istituzioni, a cominciare da Roberto Speranza? «Se un ministro della Salute avesse fatto davvero queste dichiarazioni sarebbe una cosa molto triste», ha scritto sulla sua pagina Facebook il direttore del dipartimento di Patologia alla Emory University di Atlanta Guido Silvestri, «perché dimostrerebbe che siamo ancora nella fase in cui si ricorre al “pensiero magico” e ai riti propoziatori per combattere la pandemia». Per il virologo Silvestri, che ha lavorato nel laboratorio di Anthony Fauci e da sempre spinge per green pass e vaccinazioni di massa, «sarebbe ancor più triste se i miei colleghi ad ampia visibilità mediatica dessero il loro endorsement a queste affermazioni ascientifiche solo perché si deve fare “qualcosa” contro il panico mediatico da quarta ondata (o, peggio ancora, perché un ministro bisogna tenerselo buono)».
L’uso delle mascherine è stato studiato in lungo e in largo, ed esistono diversi studi internazionali che ne mettono in dubbio l’efficacia già al chiuso. Ma non se ne può parlare: l’anno scorso, Facebook ha bollato un articolo degli autorevoli scienziati Carl Heneghan e Tom Jefferson del Center for Ebm di Oxford, come «fake news», e il caso è finito davanti al Parlamento inglese. In Francia, per mesi si è discusso sull’uso della mascherina durante il parto, chiamando in causa la teoria dell’imprinting tra mamma e neonato, impossibile da stabilire con una mascherina sul volto. Sull’uso all’esterno, la totale ascientificità è ancora più netta: non esiste infatti alcuno studio che certifichi una benché minima utilità del provvedimento. Uno studio randomizzato danese ha confermato che le mascherine chirurgiche fuori casa non hanno ridotto il tasso di infezione da Sars Cov-2.
La mascherina all’aperto, insomma, semplicemente non serve. Per questo motivo diversi scienziati ne hanno contestato l’imposizione particolarmente ai bambini e agli studenti a scuola, dove talvolta continua ad essere richiesta anche durante l’ora di ginnastica. «Ma non vi rendete conto che dopo che hanno avuto il coraggio di rendere obbligatoria la mascherina quando si è in due non conviventi in moto, con tanto di casco, ormai qualsiasi assurdità potrà essere resa obbligatoria?», dice Emilio Mordini, psicoanalista e coordinatore scientifico di numerosi progetti di ricerca su vaccinazioni ed epidemie presso la Commissione europea. In mezzo a tanta ascientificità, non c’è da stupirsi se si toccano estremi opposti, come quello del governatore del Texas che le ha vietate.
Se un cittadino si sente più protetto nell’indossare la mascherina visitando un mercatino di Natale, deve essere libero di farlo. Secondo Silvestri, «va benissimo usarle se non è possibile distanziarsi». Ma multare una persona «perché va a fare una passeggiata per conto suo al mare o al parco senza mascherina sarebbe una vessazione stupida, oltre che un insulto alla scienza».
Più che Capodanno sarà Caporetto. Hotel semivuoti, vacanze in bilico
Più del cittì conta il Covid. Visto dalle Marche, di cui è testimonial Roberto Mancini allenatore del Nazionale, più che Capodanno s’annuncia Caporetto. Le prenotazioni – ha rilevato il Corriere Adriatico – sono crollate dell’80%; Agnese Finoia, gestisce Piceno 2.0, ha reso noto che in due giorni «interi gruppi di italiani hanno disdetto» per la paura dei contagi, per le troppe difficoltà create dal super green pass. L’operazione «salviamo il Natale» con cui si giustificano restrizioni e allarmi per ora è un mezzo fallimento. A Roma c’è un crollo delle prenotazioni del 20% «ma va sempre peggio», avverte Tommaso Tanzilli direttore di Federalberghi nella Capitale «e con i prezzi in caduta, molte imprese lavorano sottocosto, prevedo che a inizio anno ci saranno migliaia di licenziamenti». Su 1200 hotel a Roma 350 non hanno riaperto da due anni e ce ne sono almeno altrettanti in vendita. Una ricerca di Confturismo-Confcommercio-Swg che si è svolta tra il 15 e il 19 novembre ha rilevato che a fronte di una stima iniziale di 25 milioni di italiani pronti a fare vacanze nel periodo natalizio già 2,5 hanno disdetto, altri 8,5 milioni sono pronti a farlo o a ridurre itinerario e periodo, altri 12 restano intenzionati a partire, ma più della metà per andare dai parenti il che significa una spesa ridottissima. Tra enfatizzazione dei contagi, restrizioni, città vietate senza mascherine si rischia di mandare in fumo circa 5 miliardi di euro. Che la situazione sia critica lo si evince da due dati: a fine anno scade la cassa integrazione per gli alberghi e ci sono alle viste decine di migliaia di licenziamenti col settore che chiede nuovi interventi al governo mentre tutto il comparto è travolto dalle scadenze fiscali; manca almeno l’80% del turismo straniero. Alberto Corti, responsabile turismo di Confcommercio, sostiene che non arriveranno i nostri clienti abituali: tedeschi, austriaci e svizzeri. Il bilancio di fine anno si chiuderà con cento milioni di presenze in meno negli alberghi che peraltro ora devono fronteggiare costi crescenti e l’azzeramento del turismo intercontinentale. Di chi è la colpa? Gli operatori dell’Alto Adige dove ci sono almeno dieci località sciistiche in zona rossa, il che fa prevedere che le vacanze sulla neve partiranno col piede sbagliato, puntano il dito contro i no vax. Però Valeria Ghezzi – che preside l’associazione degli impianti a fune – teme un stagione in slalom tra i paletti anti Covid. «Certo è», nota la Ghezzi «che un altro inverno senza turisti sarebbe la fine». Il super green pass e il molto insistere sui contagi sta determinando un nuovo crack per i ristoratori. Paolo Bianchini del Mio sostiene che hanno oggi una pioggia di disdette per i pranzi aziendali di auguri e temono che il periodo Natale-Capodanno, il più redditizio, sia un mezzo flop a causa delle restrizioni. Domani a Roma diverse categorie di operatori hanno deciso sit-in di protesta. I più arrabbiati sono gli agenti di viaggio aderenti all’Astoi. Ce l’hanno col ministro della Salute Roberto Speranza per l’invito agli italiani a fare vacanze domestiche. In una nota l’Astoi rileva di aver perso 11 miliardi di fatturato: «Porteremo i libri contabili al ministro Giancarlo Giorgetti, sarà il governo a farsi carico del fallimento di 13.000 aziende e di 80.000 disoccupati». Per il ministro del Turismo Massimo Garavaglia però «il settore è in ripresa, ma mancano dai 200 ai 300.000 addetti specializzati». Per la verità pare che manchino milioni di turisti. Forse anche sul rimbalzo del Pil bisognerà rifare i conti. Gli operatori avvisano con Luca Patanè presidente di Confturismo: «Prevale l’incertezza, servono indicazioni chiare e immediate». Perché l’allarmismo ammazza il turismo; chissà se ne vale la pena per «vendere» qualche vaccino in più?
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Ordinanze da destra e sinistra per ripristinare l’obbligo dopo l’appello di Roberto Speranza. Gli esperti: non servono a nulla. Ma Nicola Zingaretti chiede alle forze di polizia più controlli.Più che Capodanno sarà Caporetto. Hotel semivuoti, vacanze in bilico. Raffica di disdette, a rischio la partenza di 12 milioni di italiani. Turismo in ginocchio.Lo speciale comprende due articoli. «La mascherina all’aperto ha la stessa probabilità di prevenire il Covid quanto quella di mettersi delle orecchie da coniglio al supermercato tra le 16 e le 17»: parola di Piero Stanig, professore dell’Università Bocconi che ha così commentato l’iniziativa di alcuni comuni italiani di ripristinare le mascherine all’aperto. Iniziativa sollecitata dal ministro della Salute Roberto Speranza, che la ha definita una «misura fondamentale di cautela contro il virus», incoraggiandone l’adozione nelle città italiane. E ripresa con straordinario zelo dai sindaci di tutto l’arco costituzionale, a cominciare da quello di Bari, e presidente dell’Anci, Antonio Decaro (Pd), che ha chiesto al governo, a nome dei suoi colleghi, di valutare l’opportunità di renderla obbligatoria in tutta Italia dal 6 dicembre al 15 gennaio. Alcuni suoi colleghi si sono portati avanti, emettendo già venerdì le ordinanze: compatto il Pd con Beppe Sala a Milano, Giorgio Gori a Bergamo, Mattia Lepore a Bologna, Emilio Del Bono a Brescia, Matteo Ricci a Pesaro, Gianluca Galimberti a Cremona e gli indipendenti Sergio Giordani (Padova), Fulvio Centoz (Aosta), Stefania Bonaldi (Crema), Valerio Zoggia (Jesolo), Giorgio Del Ghingaro (Viareggio) ed Esterino Montino, eminenza grigia del Pd, a Fiumicino. Al fascino della superstizione cede anche il centrodestra: sì, dal 4 dicembre, alle mascherine all’aperto a Verona, guidata da Federico Sboarina di Fratelli d’Italia. Approvate anche a Treviso dal leghista Mario Conte, a Vicenza da Francesco Rucco, a Monza dal sindaco di Forza Italia Dario Allevi, a Como dall’indipendente Mario Landriscina, e in tutto il Friuli Venezia-Giulia, governato da Massimiliano Fedriga della Lega. Domani si decide per Cagliari, guidata da Paolo Truzzu di Fratelli d’Italia. Anche Roma e il resto del Lazio sono pronti a tornare all’obbligo all’aperto, e nella stessa direzione si sta muovendo il sindaco di Firenze Dario Nardella. Il governatore della Regione Lazio Nicola Zingaretti ha addirittura fatto appello alle forze di polizia (sic) «al fine di garantire ovunque il rispetto delle regole di sicurezza per la salute pubblica».Ma la mascherina all’aperto è davvero un principio di «salute pubblica» come sostengono le istituzioni, a cominciare da Roberto Speranza? «Se un ministro della Salute avesse fatto davvero queste dichiarazioni sarebbe una cosa molto triste», ha scritto sulla sua pagina Facebook il direttore del dipartimento di Patologia alla Emory University di Atlanta Guido Silvestri, «perché dimostrerebbe che siamo ancora nella fase in cui si ricorre al “pensiero magico” e ai riti propoziatori per combattere la pandemia». Per il virologo Silvestri, che ha lavorato nel laboratorio di Anthony Fauci e da sempre spinge per green pass e vaccinazioni di massa, «sarebbe ancor più triste se i miei colleghi ad ampia visibilità mediatica dessero il loro endorsement a queste affermazioni ascientifiche solo perché si deve fare “qualcosa” contro il panico mediatico da quarta ondata (o, peggio ancora, perché un ministro bisogna tenerselo buono)».L’uso delle mascherine è stato studiato in lungo e in largo, ed esistono diversi studi internazionali che ne mettono in dubbio l’efficacia già al chiuso. Ma non se ne può parlare: l’anno scorso, Facebook ha bollato un articolo degli autorevoli scienziati Carl Heneghan e Tom Jefferson del Center for Ebm di Oxford, come «fake news», e il caso è finito davanti al Parlamento inglese. In Francia, per mesi si è discusso sull’uso della mascherina durante il parto, chiamando in causa la teoria dell’imprinting tra mamma e neonato, impossibile da stabilire con una mascherina sul volto. Sull’uso all’esterno, la totale ascientificità è ancora più netta: non esiste infatti alcuno studio che certifichi una benché minima utilità del provvedimento. Uno studio randomizzato danese ha confermato che le mascherine chirurgiche fuori casa non hanno ridotto il tasso di infezione da Sars Cov-2.La mascherina all’aperto, insomma, semplicemente non serve. Per questo motivo diversi scienziati ne hanno contestato l’imposizione particolarmente ai bambini e agli studenti a scuola, dove talvolta continua ad essere richiesta anche durante l’ora di ginnastica. «Ma non vi rendete conto che dopo che hanno avuto il coraggio di rendere obbligatoria la mascherina quando si è in due non conviventi in moto, con tanto di casco, ormai qualsiasi assurdità potrà essere resa obbligatoria?», dice Emilio Mordini, psicoanalista e coordinatore scientifico di numerosi progetti di ricerca su vaccinazioni ed epidemie presso la Commissione europea. In mezzo a tanta ascientificità, non c’è da stupirsi se si toccano estremi opposti, come quello del governatore del Texas che le ha vietate.Se un cittadino si sente più protetto nell’indossare la mascherina visitando un mercatino di Natale, deve essere libero di farlo. Secondo Silvestri, «va benissimo usarle se non è possibile distanziarsi». Ma multare una persona «perché va a fare una passeggiata per conto suo al mare o al parco senza mascherina sarebbe una vessazione stupida, oltre che un insulto alla scienza».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/le-mascherine-allaperto-feticcio-di-tutti-i-sindaci-ma-sono-totalmente-inutili-2655882498.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="piu-che-capodanno-sara-caporetto-hotel-semivuoti-vacanze-in-bilico" data-post-id="2655882498" data-published-at="1638216887" data-use-pagination="False"> Più che Capodanno sarà Caporetto. Hotel semivuoti, vacanze in bilico Più del cittì conta il Covid. Visto dalle Marche, di cui è testimonial Roberto Mancini allenatore del Nazionale, più che Capodanno s’annuncia Caporetto. Le prenotazioni – ha rilevato il Corriere Adriatico – sono crollate dell’80%; Agnese Finoia, gestisce Piceno 2.0, ha reso noto che in due giorni «interi gruppi di italiani hanno disdetto» per la paura dei contagi, per le troppe difficoltà create dal super green pass. L’operazione «salviamo il Natale» con cui si giustificano restrizioni e allarmi per ora è un mezzo fallimento. A Roma c’è un crollo delle prenotazioni del 20% «ma va sempre peggio», avverte Tommaso Tanzilli direttore di Federalberghi nella Capitale «e con i prezzi in caduta, molte imprese lavorano sottocosto, prevedo che a inizio anno ci saranno migliaia di licenziamenti». Su 1200 hotel a Roma 350 non hanno riaperto da due anni e ce ne sono almeno altrettanti in vendita. Una ricerca di Confturismo-Confcommercio-Swg che si è svolta tra il 15 e il 19 novembre ha rilevato che a fronte di una stima iniziale di 25 milioni di italiani pronti a fare vacanze nel periodo natalizio già 2,5 hanno disdetto, altri 8,5 milioni sono pronti a farlo o a ridurre itinerario e periodo, altri 12 restano intenzionati a partire, ma più della metà per andare dai parenti il che significa una spesa ridottissima. Tra enfatizzazione dei contagi, restrizioni, città vietate senza mascherine si rischia di mandare in fumo circa 5 miliardi di euro. Che la situazione sia critica lo si evince da due dati: a fine anno scade la cassa integrazione per gli alberghi e ci sono alle viste decine di migliaia di licenziamenti col settore che chiede nuovi interventi al governo mentre tutto il comparto è travolto dalle scadenze fiscali; manca almeno l’80% del turismo straniero. Alberto Corti, responsabile turismo di Confcommercio, sostiene che non arriveranno i nostri clienti abituali: tedeschi, austriaci e svizzeri. Il bilancio di fine anno si chiuderà con cento milioni di presenze in meno negli alberghi che peraltro ora devono fronteggiare costi crescenti e l’azzeramento del turismo intercontinentale. Di chi è la colpa? Gli operatori dell’Alto Adige dove ci sono almeno dieci località sciistiche in zona rossa, il che fa prevedere che le vacanze sulla neve partiranno col piede sbagliato, puntano il dito contro i no vax. Però Valeria Ghezzi – che preside l’associazione degli impianti a fune – teme un stagione in slalom tra i paletti anti Covid. «Certo è», nota la Ghezzi «che un altro inverno senza turisti sarebbe la fine». Il super green pass e il molto insistere sui contagi sta determinando un nuovo crack per i ristoratori. Paolo Bianchini del Mio sostiene che hanno oggi una pioggia di disdette per i pranzi aziendali di auguri e temono che il periodo Natale-Capodanno, il più redditizio, sia un mezzo flop a causa delle restrizioni. Domani a Roma diverse categorie di operatori hanno deciso sit-in di protesta. I più arrabbiati sono gli agenti di viaggio aderenti all’Astoi. Ce l’hanno col ministro della Salute Roberto Speranza per l’invito agli italiani a fare vacanze domestiche. In una nota l’Astoi rileva di aver perso 11 miliardi di fatturato: «Porteremo i libri contabili al ministro Giancarlo Giorgetti, sarà il governo a farsi carico del fallimento di 13.000 aziende e di 80.000 disoccupati». Per il ministro del Turismo Massimo Garavaglia però «il settore è in ripresa, ma mancano dai 200 ai 300.000 addetti specializzati». Per la verità pare che manchino milioni di turisti. Forse anche sul rimbalzo del Pil bisognerà rifare i conti. Gli operatori avvisano con Luca Patanè presidente di Confturismo: «Prevale l’incertezza, servono indicazioni chiare e immediate». Perché l’allarmismo ammazza il turismo; chissà se ne vale la pena per «vendere» qualche vaccino in più?
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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