2022-02-16
Le idee dissonanti sono censurate in nome del presunto bene comune
Da due anni assistiamo al bando delle informazioni contrarie alla narrazione dominante su virus e vaccini, bollate come «fake news». Il bavaglio è stato giustificato in nome della salute pubblica. Ma resta un inganno.Nel secondo libro della Repubblica il personaggio Socrate, portavoce di Platone, distingue la pura menzogna, di cui soffre l’anima quando è ingannata sulla natura delle cose, dalla menzogna che si manifesta nelle parole, definita come «una copia dello stato in cui versa l’anima e un’immagine che nasce in un secondo tempo». A complicare la distinzione c’è il fatto che per Platone «la natura delle cose» è la loro natura ideale, quel che le cose dovrebbero essere, non quel che banalmente sono: il mondo empirico, spaziotemporale nel quale viviamo, è un’illusione, una pallida approssimazione alla realtà delle idee, cui dobbiamo fare di tutto per adeguarci. In molti casi, dunque, ciò che le cose empiricamente, banalmente sono, dovrà essere negato, nel nome di tale superiore realtà: «E quella [menzogna] che si manifesta nelle parole? Quando e a chi è tanto utile da non meritare odio? Non lo diventa forse, come un farmaco, a scopo dissuasorio, quando i nemici e quelli che consideriamo amici cercano di compiere un’azione malvagia per un attacco di follia o per stoltezza?». Mentire a parole, insomma, può essere una salutare medicina a fin di bene, o al fine di evitare il male, e quindi esprimere una verità più alta, la verità «pura» che riflette la natura delle cose. L’inevitabile passo successivo viene compiuto nel libro terzo, dove Socrate dichiara prerogativa dei governanti «mentire per ingannare i nemici o i concittadini nell’interesse della città». In particolare, dichiara giusto raccontare ai cittadini storie fantasiose (e false) sulla loro origine per giustificare piani di ingegneria sociale. Per un certo periodo, molti anni fa, alternai La Repubblica con l’Etica nicomachea nei miei corsi introduttivi di filosofia morale, ma con la prima, arrivato a questo punto, sentivo di perdere il contatto con gli studenti: per quanto mi sforzassi di rendere plausibile il testo, trovavano repellente l’idea di essere menati per il naso «a fin di bene». Fatti i conti con la mia frustrazione, decisi allora di limitarmi ad Aristotele. Dopo tutto, nel quarto libro della Metafisica il filosofo scrive, semplicemente: «Dire di ciò che è che non è, o di ciò che non è che è, è falso; dire di ciò che è che è, o di ciò che non è che non è, è vero». Verità a parole, insomma, che bisogna fare di tutto per mantenere coerente con i fatti empirici, con ciò che chiunque può percepire, perché, leggiamo nel decimo libro dell’Etica, «quando le teorie sono in disaccordo con i fatti constatati, vengono considerate con disprezzo» e, «quando le teorie sono veritiere, sono utilissime non solo per il sapere, ma anche per la vita». Qualche giorno fa ho visto uno spezzone della televisione di regime (in rete; non posseggo un televisore) in cui uno sciagurato «dissidente» il quale, chissà per quale oscuro motivo, aveva accettato di scendere nell’arena con i leoni per farsi sbranare informava il pubblico che una persona di sua conoscenza aveva avuto un ictus poco dopo la somministrazione del vaccino. Apriti cielo! La conduttrice, isterica, lo interrompeva e lo redarguiva, predicando che a un’affermazione del genere potevano seguire effetti pericolosissimi per gli spettatori. E, in quanto pericolosa, l’affermazione era anche falsa: una falsa notizia o, come si dice in Italia, una fake news. Non falsa a parole, perché letteralmente era vera (e lo sciagurato ne era testimone), ma falsa nello spirito, nell’essenza, nel senso più elevato della realtà. Non credo che la conduttrice stesse dichiarando la sua affinità con Platone. Anzi, siccome aveva l’aria di reiterare una lezione che le era stata pazientemente inculcata, non credo che la dichiarassero i suoi saggi istruttori. Ma la pena per chi non conosce la storia è ripeterla: il volgare teatrino cui assistevo era una brutta, bruttissima copia del dialogo fra Socrate e Glaucone nel capolavoro dell’antico maestro. Il 22 gennaio 2017 la tirapiedi di Trump, Kellyanne Conway, nel programma NBC Meet the Press, al giornalista Chuck Todd che la intervistava e le chiedeva perché l’addetto stampa del presidente Sean Spicer avesse comunicato dati falsi sul numero di persone presenti alla cerimonia dell’inaugurazione, rispose che Spicer stava basandosi su «fatti alternativi», e Todd ebbe facile gioco a replicare che «i fatti alternativi non sono fatti, sono falsità». (Lo scambio, di chiaro carattere orwelliano, fece balzare 1984 al vertice della classifica di libri venduti). Bei tempi, per i media progressisti, quando potevano campare di rendita su avversari di questo calibro! Tempi, anche, tragicamente lontani: ora sono quegli stessi media a diffondere fatti alternativi. A piegare la verità «manifestata a parole» alle esigenze del (presunto) bene comune, e bollare come false notizie i fatti che mettono a rischio quel bene. Ho detto che le mie frustrazioni con La Repubblica risalgono a molti anni fa. Gli studenti che allora esprimevano il loro disappunto sono oggi persone di mezza età. Di quelli che frequentano adesso lo stesso campus non so che pensare: circolano bendati fino agli occhi, anche se nessuno glielo impone, e si scansano quando passi. Forse troverebbero quei passi dei libri secondo e terzo del tutto ragionevoli.
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)