
Con la stretta di mano tra il dittatore del Nord e il presidente del Sud, inizia una nuova distensione nell'area. Trattato di pace entro l'anno e proposito congiunto di arrivare alla denuclearizzazione dell'intera penisola.Disgelo storico tra le due Coree. Ieri, il presidente sudcoreano, Moon Jae In, e il leader nordcoreano, Kim Jong Un, si sono incontrati al trentottesimo parallelo, avviando ufficialmente una inedita fase di distensione che dovrebbe mettere la parola fine a uno degli ultimi scampoli della guerra fredda. I leader si sono stretti la mano e hanno attraversato reciprocamente il rispettivo confine. Secondo quanto riportato da fonti locali, i due avrebbero avuto «discussioni serie e franche sui modi per arrivare alla denuclearizzazione della penisola coreana, per stabilire una pace permanente e per sviluppare le relazioni Sud-Nord». In particolare, due sembrano al momento essere i principali risultati in via di raggiungimento. Innanzitutto, entro il 2018, dovrebbe essere siglato un trattato di pace tra le due Coree, che sostituirà l'armistizio in vigore dal 1953: non dimentichiamo infatti che dal termine della guerra di Corea i due Stati sono ancora formalmente in conflitto. In secondo luogo, l'altro risultato risiede nel proposito congiunto di arrivare alla denuclearizzazione dell'intera penisola coreana. Addirittura Kim avrebbe scherzosamente assicurato Moon Jae In di non avere più intenzione di rovinargli il sonno di primo mattino con il lancio di missili. A suggello dell'intesa, Moon Jae In e Kim Jong Un hanno piantato un pino a sud del confine di Panmunjom, scoprendo una roccia su cui sono scolpiti i nomi dei leader, con la frase «qui piantiamo pace e prosperità». Infine, è stata concordata una visita ufficiale di Moon Jae In a Pyongyang entro il prossimo autunno. In tutto questo, il presidente americano, Donald Trump, esulta. «La guerra coreana finirà! Gli Stati Uniti, e tutto il suo grande popolo, dovrebbero essere molto fieri di ciò che sta avendo luogo adesso in Corea!» ha scritto su Twitter. Per poi aggiungere: «Dopo un anno di furiosi lanci di missili e test nucleari, ha avuto luogo uno storico incontro tra Nord e Sud Corea. Stanno succedendo cose buone, ma solo il tempo potrà dirlo». Del resto, non è un mistero che la Casa Bianca consideri questa distensione un obiettivo fondamentale per la propria politica estera. Dopo mesi di escalation a suon di missili e parole grosse, Trump e Kim Jong Un hanno avviato un graduale percorso di disgelo. Tanto che, entro il prossimo giugno, i due leader dovrebbero addirittura incontrarsi. In questo senso, il nuovo segretario di Stato americano, Mike Pompeo, è da settimane al lavoro per l'organizzazione dell'evento: proprio lui, un tempo accanito falco interventista, ha dovuto alla fine piegarsi alla Realpolitik del presidente, favorendo quel processo di distensione, già avviato dal suo predecessore al Dipartimento di Stato, Rex Tillerson. Non a caso, la scorsa Pasqua, Pompeo si è segretamente recato a Pyongyang, dove ha incontrato Kim. La linea che sembra dunque seguire Trump sulla questione nordcoreana è molto vicina alle dottrine realiste di quell'Henry Kissinger che, negli anni Settanta, aprì alla Cina di Mao e all'Unione Sovietica di Breznev: non sarà un caso, d'altronde, che l'anziano segretario di Stato di Richard Nixon si sia detto recentemente favorevole al dialogo di Washington con Kim. In questo senso, come accennato, la Casa Bianca mira a conseguire un successo diplomatico soprattutto in vista delle elezioni di metà mandato del prossimo novembre (nonostante si tratterà, prevedibilmente, di una competizione destinata più sui temi economici). Certo: la strada non è esattamente in discesa. Un fattore di cui lo stesso Trump, d'altronde, risulta più che consapevole. Storicamente la Corea del Nord non ha difatti mai mostrato troppa affidabilità in termini di accordi internazionali. Si pensi solo che, nel 1994, l'amministrazione Clinton siglò un'intesa con Pyongyang, che avviasse un deciso cambiamento della sua politica nucleare. Tuttavia, già subito dopo pochissimi anni, si comprese che la Corea del Nord violasse quell'accordo: un accordo che, nel giro di poco tempo, divenne di fatto carta straccia. Clinton provò a ravvivarlo in extremis: nel 2000, mandò infatti il suo segretario di Stato, Madeleine Albright, a Pyongyang per riannodare i fili. Ma con scarsissimi risultati. Alla luce di questi inquietanti precedenti, è chiaro che l'amministrazione Trump si stia muovendo con i proverbiali piedi di piombo. Non solo infatti la buonafede di Kim è ancora tutta da dimostrare. Ma bisognerà poi anche capire a che cosa dovrà preludere il futuro incontro tra i due leader. Eppure, nonostante questi problemi oggettivi, non si può negare che la strategia adottata dalla Casa Bianca qualche risultato lo stia già dando. Innanzitutto, con questa mossa, Trump sembra riuscito a rinsaldare il tradizionale asse con la Corea del Sud, dopo mesi di rapporti a dir poco tesi con Moon Jae In (soprattutto sul fronte della politica commerciale). Senza poi trascurare che il disgelo americano verso Pyongyang segnali al contempo un miglioramento dei rapporti geopolitici con la Cina (che della Corea del Nord è il principale partner commerciale). In secondo luogo, almeno al momento, le ipotesi di apocalissi nucleare (fino a qualche mese fa non esattamente improbabili) sembrano - almeno al momento - ridotte al lumicino. Nella questione coreana, insomma, Trump sembrerebbe aver optato per un pragmatismo, che ha il chiaro obiettivo di lasciarsi alle spalle le dinamiche (ormai obsolete) della guerra fredda. Solo il tempo ci dirà tuttavia se l'attuale presidente americano sarà realmente in grado di spedire, una volta per sempre, le logiche da dottor Stranamore finalmente in soffitta.
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