- La responsabile della linea femminile dello storico gruppo di famiglia, Genea Lardini: «Nel guardaroba non possono mancare gonne lunghe e abiti eleganti»
- Fondazione Cologni e Starhotels aiutano il made in Italy. I pezzi dei nostri artigiani saranno esposti negli alberghi della catena, in modo da offrire ai «piccoli» un palcoscenico d'eccellenza.
La responsabile della linea femminile dello storico gruppo di famiglia, Genea Lardini: «Nel guardaroba non possono mancare gonne lunghe e abiti eleganti»Fondazione Cologni e Starhotels aiutano il made in Italy. I pezzi dei nostri artigiani saranno esposti negli alberghi della catena, in modo da offrire ai «piccoli» un palcoscenico d'eccellenza.Lo speciale comprende due articoli.Gonna alla caviglia, blusa morbida, bandana piratesca, a coprire la fronte, che ancora di più esalta due occhi intensi e profondi. Genea Lardini è lontana anni luce dal modo di vestire classico che ha imparato a conoscere fin da bambina, lei che nasce in una famiglia di imprenditori nel campo dell'abbigliamento maschile. Papà Luigi ha fondato la Lardini nel 1978 con i fratelli Andrea e Lorena e oggi il marchio di Filottrano (Ancona), gettonatissimo tra volti televisivi che esibiscono orgogliosi il fiore a quattro petali nel revers, rappresenta il meglio della tradizione sartoriale, quel made in Italy che si distingue per amore della qualità. Genea è il lato rosa, la designer della collezione donna, l'altra faccia della medaglia in tutti sensi. È quella che fermano per chiedere lumi sul suo modo di vestire, rivoluzionario e fuori dagli schemi. Che si sia stufata del convenzionale? Può darsi, sta di fatto che ha preso un'altra strada in fatto di moda. E segue le sue idee senza tentennamenti, riuscendo a spostare il baricentro della moda maschile a quella femminile.Viste le sue origini, per lei è stato obbligatorio occuparsi di moda?«Non sono mai stata spinta dalla famiglia verso nessuna scelta. Vengo dal mondo dell'arte, ho fatto l'Accademia a Firenze dieci anni fa e dipingendo ho scoperto il lato decorativo e da lì sono partita: è stata la scusa per intraprendere la strada della moda. In sé il decorativismo non è visto in modo positivo, ma mi è interessato capirne l'applicazione. Ho toccato con mano il bello della moda e dell'arte, due aspetti, due esperienze che potevano avere dei punti d'incontro». Qual è la sua specializzazione come artista?«La pittura, dipingo. Ma non mi definisco né un'artista né una stilista, non amo le etichette. Sto facendo il biennio, specialistica a Brera. Oggi con un'altra testa affronto diversamente anche questa parte della mia vita, riprendo in mano ciò che mi interessa veramente, seguo i corsi di pittura, in particolare contemporanea». Cosa le dà la moda, da dove trae l'ispirazione e la sua creatività?«L'ispirazione, come nell'arte, è un po' inspiegabile, parte dalla pancia, sono impulsi che vengono sia dall'interno sia dal luogo in cui ti trovi. Quando vivevo a Londra gli stimoli erano diversi rispetto a ora, direi maggiori, e vedevo le cose più avanti di quello che erano veramente. Ho frequentato la Central Saint Martins dove ho approfondito diversi corsi. Le tendenze partono da dentro. Faccio collage di immagini e pittorici prima di partire con la collezione e determino, in questo modo, le basi, i materiali, le texture, i colori, le stampe. Creo le mie silhouette, le mie scelte, i miei abbinamenti, lo styling ancor prima della collezione». Come è il suo stile?«La mia moda è retrò, ha un'impostazione etica. Sono vecchio stampo come persona e questo s'irradia in tutte le manifestazioni della vita. Il modo in cui interpreti le cose cambia tutto. Ma non posso snaturarmi. Sono eccentrica e non potrei essere in un altro modo. Nessuna posa, tutto naturale. Mi vesto solo per me stessa. Sono Genea, Lardini è mio padre».Lei ha disegnato cappotti con le stecche di balena o le gonne a ruota in tessuti pesanti, veri pezzi da collezione. E le giacche? Sono il must del vostro marchio.«La giacca è una costrizione ma la interpreto, perché la giacca è fondamentale nel nostro mondo. Le giacche, in un certo periodo storico, hanno rappresentato anche la forza delle donne. La moda, ora, ha alienato tutto, la donna continua a combattere ma la giacca non è più un emblema di potere. Oggi una donna è libera di portare una giacca o una sottoveste e restare sempre sé stessa».La sottoveste è un indumento ormai in disuso.«Dovremmo recuperare le sottovesti, emblema di femminilità dall'alone romantico che risolvono momenti d'impasse. E sono ancora delle vere icone di stile. Sono perfette sotto una giacca da portare come canotta e consentono agli abiti di cadere meglio, dato che scivolano sulla seta. Amo i pizzi e anche il fatto che si intravedano. Per non scoprire troppo le forme la sottoveste è la chiave perché ha una funzione. Purtroppo è sparita. La sottoveste risolve sempre tutto. Il Dna dell'azienda resta, tengo conto dell'identità di Lardini, del mercato, di quello che si aspettano da me, ma le mie collezioni devono avere una chiara personalità. Altrimenti restano all'ombra della linea maschile. Tre prodotti, tre giacche, gli stessi tessuti dell'uomo, allora vesti solo la signora che accompagna il marito. Un'assurdità. Amo la moda che distingue, non quella che veste tutte uguali». Cosa non può mancare nell'armadio femminile?«Le donne devono portare gonne, meglio se lunghe, abiti eleganti. Decisamente l'over, che è molto più raffinato, allo strizzato. Non sono stata mai fittata o semi nuda, è troppo giovane come impostazione e non è elegante. La donna deve vestire a strati e utilizzare tutto ciò che ha nel suo guardaroba. Anche per la prossima primavera estate la storia d'amore rimane il fil rouge delle collezioni. C'è sempre il lato sentimentale e romantico tra balze e giacche interpretate in tessuti maschili come il principe di Galles. Questo nella mia visione della donna».Cosa c'è nel futuro?«Penso che stiamo affrontando un periodo di cambiamenti anche da un punto di vista del mercato. L'approccio commerciale è diverso e stiamo tornando indietro rivalutando i rapporti personali nonostante un mondo veloce dove tutto viene veicolato attraverso i social. Bisogna frequentare certi ambienti e personaggi, devi essere bravo a vendere e a venderti, ma non ce la faccio. Non sopporto le cose finte. Piuttosto mando tutti a quel paese». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/le-donne-riscoprano-la-sottoveste-e-i-pizzi-da-far-solo-intravedere-2641283713.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="fondazione-cologni-e-starhotels-aiutano-il-made-in-italy" data-post-id="2641283713" data-published-at="1762434235" data-use-pagination="False"> Fondazione Cologni e Starhotels aiutano il made in Italy Da una parte la Fondazione Cologni, dall'altra Starhotels. Insieme per dar vita a La Grande bellezza-The dream factory, la nuova iniziativa di mecenatismo contemporaneo di Starhotels, impegnata nella tutela e nella promozione del grande patrimonio nazionale di talento e creatività. Al Rosa grand di Milano è esposta Starhotels collezione (visitabile fino al 31 gennaio), una raffinata mostra di opere di alcuni maestri d'arte milanesi. L'hotel è così diventato teatro d'eccezione dell'alto artigianato italiano. Il progetto voluto da Elisabetta Fabri, presidente del gruppo Starhotels, si avvale, oltre che della Fondazione Cologni (istituzione privata no profit nata a Milano nel 1995 per volontà di Franco Cologni, le cui iniziative sono finalizzate a un «nuovo Rinascimento» dei mestieri d'arte), del supporto di importanti istituzioni attive nella tutela dell'artigianato italiano d'eccellenza, come l'Associazione Oma - Osservatorio dei mestieri d'arte di Firenze e il Gruppo editoriale. «Come imprenditrice nel campo di un'ospitalità che vive grazie alle creazioni del genio italiano», spiega Elisabetta Fabri, «avverto il forte desiderio di prestare sostegno in termini di opportunità e valorizzazione agli attori meno noti e celebrati, ma fondamentali, nella creazione della nostra “Grande bellezza". Nell'universo dei nostri alberghi si potrà scoprire, apprezzare e anche acquistare una gamma di prodotti di alto artigianato dal design contemporaneo creati appositamente per noi. I nostri alberghi diventeranno ambasciatori dell'italianità non solo nell'enogastronomia e nello stile, ma anche nel dare visibilità alla capacità creativa dei nostri maestri artigiani grazie a una diretta fruizione dell'oggetto». Con questa iniziativa Starhotels si pone l'obiettivo di dare voce, spazio e opportunità concrete ai maestri e alle imprese dell'artigianato italiano, offrendo loro un palcoscenico straordinario, non solo di visibilità e comunicazione, ma soprattutto di sviluppo di commesse e quindi di lavoro, raccogliendo il prezioso testimone di quel mecenatismo illuminato che nella storia ha protetto e fatto fiorire l'arte e l'alto artigianato italiani. Il programma prevede nell'arco del prossimo biennio tre macro aree di attività: la realizzazione di linee di prodotto a marchio Starhotels dirette creativamente dall'art director e designer Sara Ricciardi e realizzate con diverse aziende artigiane e micro imprese di eccellenza; il coinvolgimento di maestranze artigiane qualificate nelle ristrutturazioni degli hotel della catena; l'organizzazione di eventi, mostre e laboratori presso gli Starhotels. Il percorso prevede inoltre l'assegnazione di un premio tematico destinato ai talenti dell'artigianato italiano con una premiazione prevista a settembre 2020 all'interno della mostra veneziana Homo faber. I temi del concorso, che avrà cadenza biennale, saranno sempre scelti nell'ambito dell'ospitalità e saranno riferiti ad ambienti del contesto alberghiero e a specifiche categorie del design (illuminazione, decorazione di interni, complementi di arredo). La prima edizione è incentrata sul tema Una fonte di luce: i candidati sono invitati a presentare opere inedite e originali di artigianato artistico da loro realizzate e ispirate alla luce.
Mario Venditti (Ansa)
Dopo lo scoop di «Panorama», per l’ex procuratore di Pavia è normale annunciare al gip la stesura di «misure coercitive», poi sparite con l’istanza di archiviazione. Giovanni Bombardieri, Raffaele Cantone, Nicola Gratteri e Antonio Rinaudo lo sconfessano.
L’ex procuratore aggiunto di Pavia, Mario Venditti, è inciampato nei ricordi. Infatti, non corrisponde al vero quanto da lui affermato a proposito di quella che appare come un’inversione a «u» sulla posizione di Andrea Sempio, per cui aveva prima annunciato «misure coercitive» e, subito dopo, aveva chiesto l’archiviazione. Ieri, l’ex magistrato ha definito una prassi scrivere in un’istanza di ritardato deposito delle intercettazioni (in questo caso, quelle che riguardavano Andrea Sempio e famiglia) che la motivazione alla base della richiesta sia il fatto che «devono essere ancora completate le richieste di misura coercitiva». Ma non è così. Anche perché, nel caso di specie, ci troviamo di fronte a un annuncio al giudice per le indagini preliminari di arresti imminenti che non arriveranno mai.
Alessia Pifferi (Ansa)
Cancellata l’aggravante dei futili motivi e concesse le attenuanti generiche ad Alessia Pifferi: condanna ridotta a soli 24 anni.
L’ergastolo? È passato di moda. Anche se una madre lascia morire di stenti la sua bambina di un anno e mezzo per andare a divertirsi. Lo ha gridato alla lettura della sentenza d’appello Viviana Pifferi, la prima accusatrice della sorella, Alessia Pifferi, che ieri ha schivato il carcere a vita. Di certo l’afflizione più grave, e che non l’abbandonerà finché campa, per Alessia Pifferi è se si è resa conto di quello che ha fatto: ha abbandonato la figlia di 18 mesi - a vederla nelle foto pare una bambola e il pensiero di ciò che le ha fatto la madre diventa insostenibile - lasciandola morire di fame e di sete straziata dalle piaghe del pannolino. Nel corso dei due processi - in quello di primo grado che si è svolto un anno fa la donna era stata condannata al carcere a vita - si è appurato che la bambina ha cercato di mangiare il pannolino prima di spirare.
Toga (iStock). Nel riquadro, Roberto Crepaldi
La toga progressista: «Voterò no, ma sono in disaccordo con il Comitato e i suoi slogan. Separare le carriere non mi scandalizza. Il rischio sono i pubblici ministeri fuori controllo. Serviva un Csm diviso in due sezioni».
È un giudice, lo anticipiamo ai lettori, contrario alla riforma della giustizia approvata definitivamente dal Parlamento e voluta dal governo, ma lo è per motivi diametralmente opposti rispetto ai numerosi pm che in questo periodo stanno gridando al golpe. Roberto Crepaldi ritiene, infatti, che l’unico rischio della legge sia quello di dare troppo potere ai pubblici ministeri.
Magistrato dal 2014 (è nato nel 1985), è giudice per le indagini preliminari a Milano dal 2019. Professore a contratto all’Università degli studi di Milano e docente in numerosi master, è stato componente della Giunta di Milano dell’Associazione nazionale magistrati dal 2023 al 2025, dove è stato eletto come indipendente nella lista delle toghe progressiste di Area.
Antonella Sberna (Totaleu)
Lo ha dichiarato la vicepresidente del Parlamento Ue Antonella Sberna, in un'intervista a margine dell'evento «Facing the Talent Gap, creating the conditions for every talent to shine», in occasione della Gender Equality Week svoltasi al Parlamento europeo di Bruxelles.






