2019-05-22
Lauda visse due volte e vinse anche sé stesso
Il devastante incidente del 1976 gli insegnò a guardare in faccia le paure e a compiere scelte lucide, senza più rischiare la pelle. Tre volte campione del mondo, due con la Rossa. Quando passò all'Alfa Romeo, Enzo Ferrari sbottò: «Giuda, si è venduto per 30 salami».Negli anni Settanta fondò una compagnia: nel 1991 un Boeing cadde, morirono in 223. Era un asso anche a pilotare i velivoli.Lo speciale contiene due articoli.Lauda Lauda, scherzavamo al ginnasio in latinorum. Facevamo la lotta e per far smettere il supplizio, intimavamo alla vittima: «Loda Lauda!». Un imperativo categorico in tutti i sensi: il pilota era già una leggenda.Niki Lauda è morto ieri a 70 anni, dopo mesi di degenza a seguito di un trapianto polmonare nell'estate scorsa (in passato, aveva subito anche quello dei reni: un curriculum medico da Highlander), ma era un uomo che aveva vissuto due volte. Se è vero che tutti noi abbiamo a disposizione due esistenze, e che la seconda comincia quando realizziamo di averne da vivere una sola, lui ha incarnato questo aforisma, dopo essere sopravvissuto al rogo del 1976 al Nurburgring. Aveva vinto il titolo di Formula Uno l'anno prima, l'avrebbe rivinto l'anno dopo, sempre con la Rossa: «Tre volte campione del mondo, due con la Scuderia», ha puntualizzato Maranello nel tweet commemorativo.Ma in quell'annus horribilis, dopo essere tornato in pista a tempo di record (sei settimane dopo. Sfigurato? E chissene. Frase mitica: «Preferisco avere il mio piede destro che un bel viso». Ovvero, come ha riportato Barbara Costa per Dagospia: «La chirurgia estetica è roba da deboli»), l'impresa non gli riuscì. L'incidente gli aveva insegnato a guardare in faccia le proprie paure: all'ultimo gran premio in Giappone, quando ancora poteva giocarsela con l'eterno rivale, il gaudente James Hunt, e c'era un accordo per cui tutti i piloti si sarebbero fermati vista la pioggia torrenziale (la gara avrebbe avuto inizio solo per onorare i contratti televisivi), quando gli altri tradendo i patti tirarono dritti, non se la sentì di rischiare, e si ritirò. Una scelta lucida, non emotiva, di cui si assunse la responsabilità, mentre il direttore tecnico Mauro Forghieri gli aveva proposto di attribuire l'abbandono a un problema elettrico. Fu lì che il rapporto con il Drake, il padre padrone Enzo Ferrari, cominciò a incrinarsi (al telefono, pare abbia commentato il ritiro con sdegno modenese: «Uh, el dis che piov»).Perché se per tutti Lauda e Ferrari sono un binomio inscindibile, va ricordato che quando arrivò a Maranello e cominciò a provare la sua vettura, la sua prima reazione fu: «Questa macchina è una merda». Poi, grazie al lavoro dei tecnici e suo personale, l'assetto migliorò al punto di fargli conquistare due titoli iridati. Lauda non era un passionale: emozioni e pulsioni erano rigorosamente tenute sotto controllo, tanto da farlo apparire anaffettivo. Per dire: per lui «le macchine e le corse vengono prima del sesso, sono stato con molte donne, ma nessuna mi ha mai fatto sbandare». Non solo: ringraziò il collega Arturo Merziario - che lo strappò all'abitacolo in fiamme, per praticargli poi la respirazione bocca a bocca e il massaggio cardiaco - solo nel 2005. Un irriconoscente, Lauda? Di certo, un tipo schietto e che tirava dritto per la sua strada. Nel 1977, una volta raggiunta la matematica certezza di avere rivinto il campionato, non disputò le ultime due gare, per cui alla fine la Ferrari ingaggiò un giovane pilota canadese che aveva appena debuttato in Formula 1, un certo Gilles Villeneuve, carattere irruente, un combattente di pancia invece che di testa, agli antipodi quindi rispetto a Lauda, e anche per questo entrato nel cuore dei tifosi, e in quello di Enzo Ferrari che lo considerò una specie di figlio, fin da subito.E quando l'anno successivo Lauda passò alla Brabham-Alfa Romeo, la sentenza attribuita a Ferrari fu spietata: «Lauda è peggio di Giuda: si è venduto alla concorrenza per 30 salami», declinando il Vangelo in salsa emiliana. Ma anche in questo caso la scelta non fu impulsiva, ma meditata (era il passaggio a un team con motori all'avanguardia). Come quella, soltanto un anno dopo (1979), di ritirarsi dai circuiti: scese dall'auto dopo un gran premio e disse a Bernie Ecclestone, titolare della scuderia: «Basta, me ne vado, sono stufo di girare in tondo», per poi ricomparire al paddock nel 1982, questa volta al volante di una McLaren, con cui metterà le mani sul terzo titolo nel 1984.In seguito al secondo e definitivo ritiro, al termine del campionato 1985, Lauda, che amava la velocità non solo a terra, dopo aver conseguito il brevetto da pilota si concentrerà soprattutto sulla sua compagnia aerea Lauda Air (che nel 1991 vide schiantarsi al suolo un suo Boeing in Thailandia, tutti morti i 223 occupanti del volo) poi assorbita dall'Austrian airlines group, quindi sulla Fly Niki, che invece fallirà nel 2017. Ma siccome certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi ma poi ritornano, ecco che nel 1993 Lauda è consulente della Ferrari: voluto da Luca Cordero di Montezemolo - a Maranello già nel 1973 come assistente di Ferrari, ieri commosso in diretta su Sky nel ricordare l'amico scomparso - vedrà sbarcare il giovane Matteo Binotto, attuale direttore tecnico che ha ricordato come Lauda gli avesse detto di essere la persona giusta, con il suo approccio «svizzero», per mettere ordine nell'«italianissima» Ferrari (il che, se suona un complimento per Binotto, non apre altrettanto per la casa automobilistica, ma tant'è).Dal 2012 aveva infine messo la sua esperienza a servizio del team Mercedes di Formula 1, essendo detentore anche di un non modesto pacchetto azionario, e si era speso per l'ingaggio di Lewis Hamilton, scelta che si è dimostrata azzeccata (dal 2014 i tedeschi hanno portato a casa cinque titoli piloti e cinque titoli costruttori, e quest'anno, come purtroppo sanno i fan del Cavallino, siamo a cinque doppiette nei primi cinque gran premi). Sposato due volte, cinque figli - uno da una relazione extraconiugale durante il primo matrimonio: questo per ricordare che l'uomo Lauda non si era fatto mancare niente-, verrà ricordato come quel campione che è stato, consapevole, lui come noi, che «Quando ce la fai sono tutti con te, quando perdi ce li hai tutti contro. In mezzo non c'è niente». Amen.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lauda-visse-due-volte-e-vinse-anche-se-stesso-2637722967.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-sua-piu-grande-sconfitta-quando-si-schianto-uno-dei-suoi-66-aeroplani" data-post-id="2637722967" data-published-at="1758064340" data-use-pagination="False"> La sua più grande sconfitta quando si schiantò uno dei suoi 66 aeroplani Se al campione di velocità sulle monoposto le vittorie sembravano arrivare facilmente, altrettanto non si può dire per l'attività di imprenditore nel settore aeronautico che intraprese Niki Lauda sul finire degli anni Settanta. «L'aviazione è una incredibile palestra di disciplina», furono le parole con le quali rispose alla mia domanda sul perché si fosse appassionato anche di aeroplani. Era il 2003 e finita l'era di Lauda Air (1979-2013, poi acquisita da Austrian Airlines), cominciava quella del nuovo vettore Niki, e quello era il volo inaugurale. Eravamo nella cabina di un Airbus innanzi al blu dei 10.000 metri e il suo sorriso sornione cercava la mia reazione praticamente senza staccare lo sguardo dagli strumenti. Ma dietro il ghiaccio con il quale formulava certe frasi da imprenditore sul perché avesse voluto avventurarsi nel segmento delle compagnie low-cost, emergeva che appassionato di volo lo era veramente, da quando aveva imparato a pilotare rapidamente, su un monomotore a pistoni come fanno tutti ma mostrando al suo istruttore la sensibilità eccezionale nell'uso dei comandi propria di chi sa usare mezzi meccanici ad alte prestazioni. Poi, un po' per spostarsi in fretta da una parte all'altra del mondo, passò a quello che negli anni Settanta era considerato il jet privato più veloce, il Learjet 35, sul quale aveva maturato la decisione di creare una compagnia aerea che portasse il suo nome. Lauda Air, inizialmente un vettore charter per il quale non era stato facile ottenere la licenza, ma che negli anni Ottanta era cresciuto offrendo collegamenti verso Asia e Australia. Mai gli avrei chiesto dell'incidente del maggio 1991, quando uno dei suoi 66 Boeing, il 767 del volo Lauda 004, si schiantò in Thailandia a causa di un guasto tecnico facendo 223 morti tra passeggeri e membri dell'equipaggio. Fu lui a paragonare quell'evento con una sconfitta: «Soltanto riuscire a capire che cosa fosse successo mi confortava» (in salita si attivò l'inversore di spinta di un motore, ndr). Un brutto colpo per qualunque imprenditore, ma lui aveva reagito con il ragionamento ancora una volta, come dopo l'incidente che lo aveva sfigurato. «Pilotare è un privilegio, e quando mi va di farlo mi consente di lasciare il paddock finita una gara ed essere a casa in tempo per riposare e lavorare la mattina dopo», mi disse il 18 maggio 2017, quando annunciò di aver ordinato alla Bombardier un nuovo jet Global 7500, praticamente un appartamento con le ali capace di volare 12.000 km senza scalo, un aeroplano «Per fare il giro del mondo soltanto con due pit-stop». Incredibilmente esigente anche fuori dalle piste - si rifiutò di ritirare un nuovo B777 perché la vernice non era perfetta - spesso pilotava i suoi aerei personali in modo manuale, senza attivare l'autopilota, e «senza perdere un piede nè un nodo», un modo degli aviatori per dire che lo si fa in maniera estremamente precisa. Nella feroce concorrenza tra vettori low-cost dei primi anni Duemila, anche la compagnia Niki non ebbe vita facile e, venduta ad Air Berlin, finì trascinata da questa in ammistrazione controllata nel 2017. Ma Lauda l'avrebbe ricomprata ripartendo ancora, stavolta dalla Amira Air, la compagnia charter di lusso dell'imprenditore di origine croata Ronny Pecik, ribattezzandola Laudamotion, vettore che avrebbe operato con 14 Airbus A320 fino alla primavera 2018. Ma il 20 marzo dello scorso anno il 24,9% della compagnia fu acquistata da Ryanair per 50 milioni di euro, ai quali se ne aggiunsero altri 50 il dicembre per il 75% delle azioni cedute in agosto. Il 28 gennaio scorso la compagnia irlandese ha annunciato di aver acquisito il 100% del vettore.