2025-06-29
Nei verbali del factotum di Tinebra il lato segreto del pm «massone»
Paolo Borsellino (Getty Images)
Il collaboratore del procuratore che coordinò le indagini su via d’Amelio è stato sentito a Caltanissetta. Era lui il custode dell’archivio che la Procura sta cercando per fare luce su una presunta loggia coperta.la vita Paolo Borsellino e la sua scorta. Il maresciallo ha confermato i rapporti del suo vecchio capo con personaggi in odore di massoneria. In particolare con i primari Alberto Murè e Renato Mancuso (anche se quest’ultimo, con i pm, non ha confermato l’affiliazione). «Murè e Mancuso erano amici di una vita. Tinebra li frequentava, anche se avevano la nomea di essere massoni. Negli ospedali, a dottori e infermieri, era nota la loro affiliazione alle logge».Il maresciallo sia ai magistrati che alle persone a lui più vicine ha spiegato: «Murè mi disse personalmente di essere un massone. Si vantava di questa cosa. Allora io andai da Tinebra e glielo dissi. Ma lui non mi rispose».Sortino ha anche spiegato che il magistrato non si preoccupava minimamente delle voci che giravano sul suo conto.Insomma le frequentazioni massoniche di Tinebra sembrano assodate, ma non sono un reato.Il maresciallo ha precisato, però, che quando il suo capo partecipava a incontri conviviali con tali personaggi, magari nell’ambito delle attività del club Kiwanis da lui presieduto e considerato dai pm un concentrato di grembiulini, Tinebra non era l’unica toga: «Organizzavano cene quasi settimanalmente e Tinebra si vedeva spesso con queste persone, ma non ci andava da solo. Cioè c’erano altri magistrati. Non si capisce perché esca solo il nome di Tinebra».Sortino non crede che il suo vecchio capo fosse un mostro, come qualcuno oggi sembra pensare, e che sia stato promosso procuratore di Caltanissetta (si insediò il 16 luglio 1992, dopo la strage di Capaci e tre giorni prima di quella di via D’Amelio) con la benedizione della massoneria e della mafia, interessate a depistare le inchieste sull’uccisione di Giovanni Falcone e Borsellino.Ma il maresciallo ha deciso di collaborare pienamente con la Procura guidata da Salvo De Luca non appena ha saputo delle perquisizioni eseguite nei giorni scorsi negli appartamenti che furono nella disponibilità di Tinebra con la finalità di trovare indizi dell’appartenenza massonica di quest’ultimo e l’agenda rossa di Borsellino (il 20 luglio 1992 l’ex capo della Squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera scrisse un appunto in cui sosteneva di aver consegnato un diario del giudice a Tinebra, anche se non era specificato il colore). Per questo Sortino ha informato la Procura di Caltanissetta e la figlia di Tinebra del fatto che una dozzina di anni fa il magistrato aveva deciso di scrivere un libro e per questo gli aveva chiesto al maresciallo di trasferire il proprio archivio a casa dell’ex moglie di Tinebra, Silvana, a San Gregorio di Catania.L’appartamento è uno di quelli perquisiti dai carabinieri del Ros giovedì, ma Sortino si è premurato di informare la Procura che la documentazione era stata messa in «un posto particolare». Certo, dopo quel trasloco Tinebra e la moglie si sono separati e, a distanza di otto anni dalla morte del magistrato, è difficile che il materiale sia ancora dove lo aveva portato Sortino.Il quale ha fatto interessanti rivelazioni anche a Perugia, quando scoprì che l’avvocato Piero Amara aveva accusato Tinebra di essere tra i promotori di una fantomatica loggia coperta, denominata Ungheria. Il maresciallo inviò una mail al procuratore Raffaele Cantone in cui raccontava di non avere mai visto Amara insieme con Tinebra e che il nome del faccendiere non era presente nella rubrica telefonica del magistrato. Poi aggiunse: «Non ho mai visto né scritto in nessuna forma, documenti in cui si parlasse della "loggia Ungheria”, né di altre "logge”, né di qualsiasi associazione che potesse avere anche la parvenza di illegalità». Quindi fece un’importante sottolineatura: Tinebra era un analfabeta digitale, «non era in grado di eseguire nessuna operazione, anche la più banale, come la stessa accensione di un computer» e «aveva difficoltà a inserire o cancellare i numeri sul telefonino». Pensava a tutto il maresciallo, che, quindi, era depositario di quanto Tinebra conservava su cellulare e pc. Sortino a Perugia ha anche depositato la rubrica elettronica di Tinebra e una memoria che offre dell’ex procuratore un ritratto con luci e ombre. Sortino ne evidenzia «le qualità sia umane che professionali», ma nello stesso tempo ammette di averne criticato alcune «posizioni che» per lui «non erano condivisibili». La conoscenza tra i due risale al periodo successivo alle stragi del 1992/93 quando Tinebra reggeva la Procura di Caltanissetta e Sortino era «effettivo all’Ufficio informatica del Comando generale dell’Arma dei carabinieri».Tinebra chiese al maresciallo e a un suo collega di andare a lavorare a Caltanissetta. Vennero inseriti nella segreteria del pm Luca Guido Tescaroli, oggi procuratore di Prato. I due carabinieri si occuparono dell’informatizzazione di diversi dibattimenti, a partire da quello sulla strage di via d’Amelio.Nell’appunto Sortino smonta le dichiarazioni di Amara laddove sostiene che il pm Alessandro Centonze avrebbe archiviato, su pressione del dottor Tinebra, l’indagine che vedeva coinvolti Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri.«Nei fatti, collaborando con il dottor Tescaroli, avevo verbalizzato le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Salvatore Cangemi del 23 ottobre 1998, da cui presero spunto tali indagini […]. Per quello che è di mia conoscenza, non ci fu nessun significativo riscontro alle dichiarazioni del collaboratore. Io stesso sotto dettatura del dottor Tescaroli scrissi materialmente la richiesta di archiviazione che era stata concordata con lo stesso dottor Tinebra. Non sono testimone di pressioni sull’archiviazione, ma ricordo perfettamente che ne seguì tra il dottor Tescaroli e il dottor Tinebra un fortissimo “contrasto” sulla forma dell’archiviazione. L’indagine alla fine venne archiviata a firma di più magistrati tra cui lo stesso Alessandro Centonze».Per Amara della loggia Ungheria avrebbe fatto parte anche il magistrato Francesco Paolo Giordano, cointestatario del fascicolo sulla strage di Capaci. Anche qui Sortino trasecola: «Il dottor Tinebra non ha mai manifestato la ben che minima stima e considerazione sul predetto magistrato». Al punto da definire «folle» il collega e da intimare al maresciallo «di prenderne le distanze». Non solo, Tinebra avrebbe chiesto a Sortino di trasformarsi in spia: «Mi diede l’incarico di acquisire e riferirgli qualunque informazione riguardasse il dottor Giordano, cosa che mi suscitò enorme imbarazzo e che io mi rifiutai di fare». Anche sul periodo in cui Tinebra, con il secondo governo Berlusconi, divenne capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Sortino riporta aneddoti interessanti.Per esempio spiega di essere stato «testimone diretto per oltre dieci anni di un aspro conflitto» tra Tinebra e uno dei suoi più stretti collaboratori al Dap, il magistrato Sebastiano Ardita.Un giorno Sortino accompagnò quest’ultimo nel centro di Roma con la sua auto personale e al ritorno ebbe «una sgradita sorpresa»: «Il dottor Tinebra contestò con forza la mia iniziativa e mi disse che il mio punto di riferimento doveva essere il dottor Leopardi (Salvatore, ndr) visto che la presenza del dottor Ardita al Dap era sì utile ma non era un uomo di sua fiducia».Dopo un’iniziale collaborazione Tinebra e Ardita si scontrarono aspramente, in particolare sul cosiddetto Protocollo farfalla che consentiva agli uomini dei servizi segreti interni, guidati allora dal generale Mario Mori, di avere libero accesso ai collaboratori di giustizia. «La tensione peggiorò sempre di più specie dopo il pentimento di un mafioso di spicco, Nino Giuffrè. Il dottor Tinebra si lamentò del fatto che il dottor Ardita non lo aveva informato. Mi ordinò di non frequentarlo e di cancellare anche il suo numero telefonico dalla mia rubrica». La situazione degenerò: «Da quel momento iniziò il tentativo di controllare i dati e le informazioni dell’ufficio detenuti (guidato da Ardita, ndr) da parte dello staff del capo dipartimento, anche attraverso un utilizzo anomalo della sala situazione».Le dichiarazioni di Sortino si fanno sempre più inquietanti: «Un giorno notai che sulla strada dal lato della stanza del dottor Ardita era parcheggiato» un mezzo con a bordo «un GA900 (conoscevo bene quell’apparato per intercettazioni perché era in dotazione al mio reparto dei carabinieri in cui io ero effettivo). Quell’autovettura rimase lì diversi giorni. Percepii quel fatto come una cosa grave potenzialmente ai danni del dottor Ardita e informai subito il dottor Tinebra di questo episodio. Lui minimizzò quella notizia negando addirittura la presenza dell’auto». Il maresciallo, nella memoria, ribadisce che in questo scontro «era il dottor Ardita ad avere sempre operato in modo legittimo». A un certo punto Tinebra avrebbe cercato «in tutti modi recuperare un rapporto anche di facciata con il dottor Ardita», ma questi avrebbe declinato tutti gli inviti, rifiutandosi anche di partecipare al matrimonio di Tinebra. Che non la prese bene. «In una circostanza per rabbia mi disse di cancellare il suo numero dalla rubrica, che io gli gestivo» ha precisato Sortino.L’ultima chicca riguarda l’Opco (l’Osservatorio sulla criminalità organizzata finanziato dalla Regione Sicilia), promosso da Tinebra e che, secondo Amara, sarebbe stato «un luogo deputato al reclutamento degli appartenenti alla presunta “loggia Ungheria”». Ma Sortino dissente: «Per quello che mi risulta era un luogo frequentato da molti magistrati antimafia e, nelle conferenze, ricordo la partecipazione di persone di spessore del mondo della cultura. Tra questi, presidenti della commissione antimafia e magistrati di grido come il dottor Giuseppe Pignatone, il dottor Franco Lo Voi , il dottor Pietro Grasso, ministri della Giustizia, Presidenti della Regione Sicilia».
Il Gran Premio d'Italia di Formula 1 a Monza il 3 settembre 1950 (Getty Images)
Elbano De Nuccio, presidente dei commercialisti (Imagoeconomica)
Pier Silvio Berlusconi (Ansa)