2018-12-19
L’archeologia dopo Franceschini è una rovina
Direttori generali alle Antichità e soprintendenti lanciano un appello contro la riforma dell'ex ministro. Siti abbandonati al loro destino, aree di scavo declassate e lasciate senza risorse: il modello italiano di tutela dei Beni, nato nel 1500, è ormai smantellato.Grazie alla riforma Franceschini, la soprintendenza unificata Archeologia, belle arti e paesaggio ha di fatto cancellato la tutela archeologica nel nostro Paese. Moltissimi musei e aree di scavo sono diventati luoghi di cultura di secondo o terzo livello di interesse, svuotati di funzioni e senza adeguate sovvenzioni, quindi costretti a ridurre o cancellare attività di ricerca e di promozione. L'appello di questi giorni lanciato dal Friuli alla Calabria, dalla Lombardia alla Campania da numerosi ex soprintendenti archeologi e direttori generali alle Antichità, denuncia una situazione desolante, a due anni dall'approvazione della seconda fase della riforma voluta dal dem Dario Franceschini, ministro dei Beni e delle attività culturali (Mibac) nel governo Renzi e poi Gentiloni. Un danno franceschiniano che prosegue con risultati «devastanti», come si legge nell'appello, fin dall'avvio nel 2014 dei provvedimenti che nel ministero hanno portato a separare le funzioni di tutela da quelle di valorizzazione, con la creazione dei musei autonomi e dei poli museali regionali, dipendenti da una nuova, unica direzione generale a Roma. Le aree archeologiche come Pompei, Ercolano, Paestum o il Colosseo sono diventate parco archeologico e possono contare su fondi e risorse, mentre la stragrande maggioranza dei siti archeologici sono rimasti abbandonati a sé stessi. La scorsa primavera Francesco D'Andria, professore emerito di archeologia classica presso l'università del Salento, scriveva a proposito degli effetti della riforma Franceschini: «Il ministro aveva creato un'ulteriore struttura, l'Istituto centrale per l'archeologia, con il compito di coordinare e di promuovere la ricerca nel settore; solo sulla carta però, perché privo di mezzi e di personale, una beffa insomma». Ricordava come «sino ai decenni finali del secolo scorso il modello italiano di tutela dei beni archeologici era citato a esempio dai colleghi francesi, i quali non mancavano di metterne in evidenza le nobili tradizioni. E come poteva essere diversamente se già nel 1515, papa Leone X aveva nominato Raffaello prefetto alle antichità di Roma e che, nel 1820, con l'editto del cardinale Pacca, sotto papa Pio VII, si istituiva il più innovativo sistema di gestione delle antichità e degli scavi, il primo nel pianeta. Ma anche lo Stato italiano aveva fatto approvare, nel 1939, la legge Bottai, di assoluta avanguardia per i validi principi nella tutela e nella gestione dei beni culturali». Tutto spazzato via da una riforma sciagurata, grazie alla quale gli uffici sono stati «smembrati a livello di personale e di strutture», riporta il documento che vede tra i primi firmatari Luigi Malnati, già direttore generale per le Antichità del ministero dei Beni e delle Attività culturali, «con la conseguenza che molte soprintendenze mancano degli strumenti adeguati per svolgere il lavoro di tutela a livello almeno accettabile». Nella riorganizzazione del Mibac pensata da Franceschini, la nuova Area funzionale archeologia, priva di strutture di supporto e senza più la gestione dei musei, in realtà ha annullato competenze specifiche nella tutela del patrimonio, anche in molti insediamenti del territorio non visibili. Non solo, nelle soprintendenze uniche lo squilibrio numerico tra archeologi e storici dell'arte da un lato e architetti dall'altro provoca incertezze su chi debba prendere le decisioni. Si rallentano spesso fino al blocco totale le attività in numerose aree che non sono state strutturate in parchi e rimangono esclusi da un programma di valorizzazione internazionale. «La sottovalutazione delle competenze specifiche in materia archeologica ha già provocato la diminuzione statistica degli scavi di archeologia preventiva (dai primi dati circa il 50% in meno nell'ultimo anno), con il rischio duplice e opposto della perdita irreversibile di contesti archeologici e di rallentamenti e fermi di lavori programmati», denunciano i sottoscrittori. Chiedono urgentemente «di procedere al ripristino di uffici di soprintendenza autonomi esplicitamente dedicati all'archeologia, che esercitino insieme funzioni di tutela, ricerca e valorizzazione, ripristinando le sedi originarie», tornando a una «direzione generale che garantisca coordinamento e omogeneità di azione a livello nazionale». Tra le esigenze segnalate, anche concorsi pubblici «per la direzione dei più importanti musei e parchi archeologici con commissioni di esperti in archeologia e non generiche selezioni svolte da un'unica commissione eterogenea, che demanda la decisione finale al ministro o a un direttore generale dal ministro nominato». All'indomani della riorganizzazione delle soprintendenze decisa da Francheschini, nel febbraio del 2016 dichiarava ad Artemagazine l'archeologo e storico dell'arte Salvatore Settis, per lunghi anni docente alla Scuola normale superiore di Pisa e già direttore del Getty center for the history of art and the humanities di Los Angeles: «Immaginata da menti a digiuno di ogni esperienza sul campo, questa riforma si presta all'effetto annuncio, ma inciampa alla prova dei fatti».
Benedetta Porcaroli (Ansa)
Benedetta Scuderi, Annalisa Corrado, Arturo Scotto e Marco Croatti (Ansa)
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