2024-11-21
Landini molla pure il tavolo delle Poste. E intanto perde iscritti e delegati
La Cgil lascia la trattativa su assunzioni e organizzazione del lavoro. Da quando è segretario ha 200.000 tessere in meno.«Che dici mi si nota di più se vengo alla festa e resto in disparte, oppure se non vengo proprio?». È il dilemma dell’apparire caro al regista Nanni Moretti che il segretario della Cgil Maurizio Landini deve aver fatto suo. Ogni volta che c’è una vertenza o una trattativa negoziale da affrontare, l’ex leader dei metalmeccanici rossi si contorce e si interroga amleticamente: è il caso di andare prendendo comunque una posizione che mi distingua dalla massa (che poi sarebbero gli altri sindacati) oppure mi conviene restare a casa? Nel dubbio alterna le scelte. E così mentre in tema di manovra si presenta dalla Meloni regalandole un libro di Albert Camus per tenere il punto su «L’uomo in rivolta», quando si tratta di dialogare e trovare un compromesso sul rinnovo dei contratti abbandona gli altri sindacati al loro destino. È successo metaforicamente nel caso della trattativa per il rinnovo delle retribuzioni degli statali e materialmente quando si è trattato di confrontarsi con i rappresentanti delle Poste (società controllata dal Mef e da Cassa deposti e prestiti). Entrambi eventi storici per la storia sindacale. Nel primo caso per la prima volta la sola Cisl (insieme agli autonomi) ha firmato il rinnovo del contratto delle Funzioni centrali che riguarda quasi 200.000 tra lavoratori dei ministeri, delle agenzie fiscali, Inps e Inail. Non è bastato alla Cgil e alla Uil, che ormai da mesi ha virato sulle posizioni barricadere e antiogovernative di Landini, che l’Aran (la controparte statale) mettesse sul piatto, tra le altre cose, un aumento medio di 160 euro lordi al mese dei salari (pari al 5,78%) ai quali aggiungere ulteriori risorse, pari allo 0,22% per la contrattazione integrativa, e una sperimentazione della settimana corta da 4 giorni. Loro chiedevano il recupero completo di tutta l’inflazione del periodo 2022-2024 (il 17%), che in tempi di magra e di Patto di stabilità equivale a dire «non firmiamo». Sulle Poste invece è andata peggio, anche se la questione è più complessa. Nel senso che Slc-Cgil e Uil Poste hanno abbandonato il tavolo convocato separatamente dall’azienda. Ci sono dei punti controversi da risolvere anche sull’ultimo rinnovo del contratto: i sindacati reclamano la necessità di rafforzare l’organico, parlano di uso eccessivo dei contratti a termine e chiedono più flessibilità nell’organizzazione del lavoro. Vertenze che accomunano diverse aziende e che sono abbastanza naturali in una struttura complessa come quella guidata da Matteo Del Fante. Cgil e Uil hanno posizioni rigide e impongono dei diktat che secondo la Cisl rischiano di mandare a ramengo qualsiasi trattativa. Così il sindacato guidato da Luigi Sbarra, rappresenta l’80% dei lavoratori insieme Confsal Comunicazioni, Failp Cisal e Fnc Ugl, ha chiesto tavoli separati. L’azienda, come previsto dalla legge, ha convocato tutti i sindacati. All’incontro del 19, Cgil e Uil hanno abbandonato la trattativa, salvo ripresentarsi il 20. Motivo? Devono perorare la causa (in vista del 29) dello sciopero generale. C’è poco da meravigliarsi.Landini ha una visione tutta sua delle regole democratiche. In una recente intervista al Corriere della Sera è arrivato a dire che il governo uscito vincitore dalle elezioni «ha la maggioranza in Parlamento ma non nel Paese e che è il sindacato a rappresentare i lavoratori e i pensionati». Tesi assai bizzarra e di suo numericamente indifendibile. Anche mettendo per un attimo da parte la logica e il buon senso. La coalizione di centrodestra alle ultime elezioni politiche ha preso poco più 12 milioni di voti, perché dovrebbero pesare di più i circa 5 milioni di iscritti al sindacato. Inutile ricordare la differenza tra voti e semplici iscrizioni. Da anni numerose indagini post-voto testimoniano uno scollamento tra gli gli iscritti alla Cgile e i partiti di sinistra. Migliaia di voti sono transitati, anche semplicemente tra i lavoratori metalmeccanici, verso la Lega e Fratelli d’Italia che evidentemente proteggono di più le loro istanze. Il punto però diventa un altro. Se Landini rivendica di rappresentare lavoratori e pensionati più di quanto faccia un governo democraticamete eletto, evidentemente avrà ottenuto dei risultanti esaltanti nei suoi cinque anni e passa di guida della Cgil. E invece andando a fare le pulci sul tesseramento e sulle sfide per ottenere delegati nelle fabbriche si scopre che la sua gestione si avvicina più a una debacle che a un trionfo. Gli iscritti infatti sono passati da quota 5 milioni e 346.71 del 2019 ai 5 milioni 149.885 censiti nel 2023. Ne ha persi circa 200.000. Mentre nello stesso periodo la Cisl, per esempio, ne guadagnava più di 30.000 (da 4 milioni 079.490 a 4 milioni 111.556 dell’ultima rilevazione). Così come non si contano le battaglie di fabbrica, una su tutte quella all’ex Ilva di Taranto, dove la Cgil ha segnato il passo rispetto agli altri sindacati. Meno male, verrebbe da dire, altrimenti chissà dove sarebbero arrivati i deliri di onnipotenza di Landini.