2025-10-11
Meloni pronta a volare in Egitto. Carabinieri a Gaza per peacekeeping
Giorgia Meloni (Imagoeconomica)
Il premier sarà fra i leader al Cairo il giorno della firma e i nostri militari andranno sul campo. La sinistra minimizza: «Si intesta successi altrui». Giorgia li gela: «Il campo largo? È un Leoncavallo largo». Ci si sarebbe aspettati un applauso; in politica estera usa così: quando un paese conquista il rispetto dei partner internazionali non ci dovrebbero più essere maggioranza e opposizione. Invece lo spettacolo per nulla edificante dell’Eurocamera divisa a metà tra chi esultava (il Ppe e i moderati comprese le formazioni più a destra) all’annuncio dell’accordo raggiunto per la Palestina e le sinistra a braccia conserte tra il contrito e l’indispettito è andato in scena ancor più tristemente amplificato in Italia. Ieri neppure un fiato per commentare la notizia che Giorgia Meloni sarà tra gli attori del tratto di pace. Si sa - lo ha annunciato ieri mattina il ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani - che il presidente del Consiglio è stato invitato al Cairo per la firma del trattato di pace in Palestina tra Israele e Hamas. Ma c’è molto d’altro: l’Italia è in prima linea nel processo di stabilizzazione dell’area, rafforza la sua presenza al valico di Rafah per garantire la tregua. È pronta una task-force di 250 carabinieri per favorire il disarmo di Hamas. I militari italiani sono universalmente giudicati i più preparati nella gestione di processi di paecekiping. Saremo inoltre protagonisti nel processo di ricostruzione. Giorgia Meloni già giovedì all’annuncio dell’avvenuto accordo è intervenuta al Tg1: «È un giorno storico, penso che dobbiamo dare merito del lavoro straordinario portato avanti dal presidente americano Donald Trump e dobbiamo ringraziare i numerosi mediatori a partire dal principe del Qatar con il quale ho parlato anche ieri sera, il presidente egiziano Al Sisi, il presidente turco Erdogan. C’è stato un lavoro di squadra che è stato estremamente prezioso. Dobbiamo essere orgogliosi del contributo silenzioso, ma costante, che l’Italia ha dato e lo dico anche per ribadire che l’Italia è pronta a fare la sua parte. È pronta a contribuire alla stabilizzazione, alla ricostruzione e allo sviluppo di Gaza grazie all’ottimo rapporto che può vantare con tutti gli attori della regione». Il premier ha ribadito che la situazione a Gaza non era più sostenibile e ha detto che c’è stata una grande convergenza. E da lì si riparte. È stato il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi a invitare Gorgia Meloni alla cerimonia al Cairo domani, ma c’è, pare di capire, anche un invito informale di Donald Trump verso il quale Giorgia Meloni ha avuto un apprezzamento netto: «La pace si costruisce lavorando, non sventolando bandierine». Arianna Meloni in risposta a chi ha denunciato il presidente del Consiglio (oltre ai ministri Antonio Tajani e Guido Crosetto e l’amministratore di Leonardo Roberto Cingolani alla Corte penale internazionale per «concorso in genocidio»), ha sottolineato: «Meloni è complice della pace in Palestina». Da questa linea di prudente fermezza tenuta dal governo l’Italia oggi ricava un ruolo di primo piano. Lo ha ricordato Antonio Tajani che ha ribadito: «I carabinieri italiani sono già presenti a Gerico e alle porte di Rafah, si può ragionare su un incremento della loro presenza. Non è una zona facilissima, ma i nostri militari sono apprezzati da tutte le parti». Ha aggiunto che non ci sarà alcuna frizione nel governo: «Si tratta di missioni di pace, non credo che ci siano problemi. In sintonia con gli americani tutta la maggioranza sarebbe favorevole. Quanto a Donald Trump, si può essere non favorevoli alla sua politica in altri settori, ma questo è un risultato vero. Trump ha fatto la sua parte e bisogna riconoscerlo. È parso di capire che prima che ci fosse l’annuncio che il Nobel per la pace era stato assegnato a Maria Corina Machado, Tajani pensasse al presidente Usa. Come si sa l’abbandono delle armi da parte di Hamas è uno dei punti imprescindibili per l’accordo e Bibi Netanyahu ha ribadito che «l’Idf resterà a Gaza fino al completo disarmo di Hamas», che ha replicato: «Non offriremo alibi per boicottare l’accordo». Dunque il compito dei nostri militari è centrale. Dove l’Italia avrà un ruolo di primo piano è nella ricostruzione. Lo ha confermato il ministro degli Esteri che ha ricordato: «Giovedì c’è stato un importante vertice a Parigi fra paesi europei e del mondo arabo. Noi parteciperemo alla ricostruzione e, mi auguro, anche a una missione militare per garantire la riunificazione della Palestina. Poi parteciperemo anche alla governance del cambiamento». Giorgia Meloni ha fissato in tre momenti il percorso di pace e in tutti e tre per l’Italia c’è un ruolo da protagonista: il disarmo di Hamas, la dismissione degli insediamenti israeliani, la stabilizzazione dell’area per consentire la riforma dell’autorità palestinese. A fronte di questo impegno dell’Italia, ma anche del riconoscimento del ruolo svolto dal nostro governo, da sinistra si sono levati solo dubbi e prese di distanza. Giuseppe Conte (M5s) è il più duro: «Ha fatto tutto Trump, Meloni si vuole intestare una pace in cui non ha avuto alcun ruolo: è ridicolo». Elly Schlein (Pd): «È un accordo decisivo, ma ora il governo riconosca subito lo stato palestinese». C’è un piccolo particolare: l’accordo prevede che si debba costruire lo stato palestinese, perché per ora non c’è, e l’Italia è chiamata proprio a partecipare a questo processo. Per Nicola Fratoianni (Avs) «questo non è un piano di pace. Se ferma il genocidio va bene. Il governo venga in Parlamento a riferire, ma è chiaro che non ha avuto alcun ruolo». Da Firenze - al comizio finale per le Regionali della Toscana a sostegno di Alessandro Tomasi - il premier ha stangato l’opposizione: «Il centrosinistra un campo largo? È un Leoncavallo largo, un enorme centro sociale». Solo Matteo Renzi dice che «Meloni è stata impeccabile». Il fatto che conta resta uno: lunedì Giorgia Meloni sarà al Cairo.