Ci si sarebbe aspettati un applauso; in politica estera usa così: quando un paese conquista il rispetto dei partner internazionali non ci dovrebbero più essere maggioranza e opposizione. Invece lo spettacolo per nulla edificante dell’Eurocamera divisa a metà tra chi esultava (il Ppe e i moderati comprese le formazioni più a destra) all’annuncio dell’accordo raggiunto per la Palestina e le sinistra a braccia conserte tra il contrito e l’indispettito è andato in scena ancor più tristemente amplificato in Italia. Ieri neppure un fiato per commentare la notizia che Giorgia Meloni sarà tra gli attori del tratto di pace. Si sa - lo ha annunciato ieri mattina il ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani - che il presidente del Consiglio è stato invitato al Cairo per la firma del trattato di pace in Palestina tra Israele e Hamas. Ma c’è molto d’altro: l’Italia è in prima linea nel processo di stabilizzazione dell’area, rafforza la sua presenza al valico di Rafah per garantire la tregua. È pronta una task-force di 250 carabinieri per favorire il disarmo di Hamas. I militari italiani sono universalmente giudicati i più preparati nella gestione di processi di paecekiping. Saremo inoltre protagonisti nel processo di ricostruzione. Giorgia Meloni già giovedì all’annuncio dell’avvenuto accordo è intervenuta al Tg1: «È un giorno storico, penso che dobbiamo dare merito del lavoro straordinario portato avanti dal presidente americano Donald Trump e dobbiamo ringraziare i numerosi mediatori a partire dal principe del Qatar con il quale ho parlato anche ieri sera, il presidente egiziano Al Sisi, il presidente turco Erdogan. C’è stato un lavoro di squadra che è stato estremamente prezioso. Dobbiamo essere orgogliosi del contributo silenzioso, ma costante, che l’Italia ha dato e lo dico anche per ribadire che l’Italia è pronta a fare la sua parte. È pronta a contribuire alla stabilizzazione, alla ricostruzione e allo sviluppo di Gaza grazie all’ottimo rapporto che può vantare con tutti gli attori della regione». Il premier ha ribadito che la situazione a Gaza non era più sostenibile e ha detto che c’è stata una grande convergenza. E da lì si riparte. È stato il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi a invitare Gorgia Meloni alla cerimonia al Cairo domani, ma c’è, pare di capire, anche un invito informale di Donald Trump verso il quale Giorgia Meloni ha avuto un apprezzamento netto: «La pace si costruisce lavorando, non sventolando bandierine». Arianna Meloni in risposta a chi ha denunciato il presidente del Consiglio (oltre ai ministri Antonio Tajani e Guido Crosetto e l’amministratore di Leonardo Roberto Cingolani alla Corte penale internazionale per «concorso in genocidio»), ha sottolineato: «Meloni è complice della pace in Palestina». Da questa linea di prudente fermezza tenuta dal governo l’Italia oggi ricava un ruolo di primo piano. Lo ha ricordato Antonio Tajani che ha ribadito: «I carabinieri italiani sono già presenti a Gerico e alle porte di Rafah, si può ragionare su un incremento della loro presenza. Non è una zona facilissima, ma i nostri militari sono apprezzati da tutte le parti». Ha aggiunto che non ci sarà alcuna frizione nel governo: «Si tratta di missioni di pace, non credo che ci siano problemi. In sintonia con gli americani tutta la maggioranza sarebbe favorevole. Quanto a Donald Trump, si può essere non favorevoli alla sua politica in altri settori, ma questo è un risultato vero. Trump ha fatto la sua parte e bisogna riconoscerlo. È parso di capire che prima che ci fosse l’annuncio che il Nobel per la pace era stato assegnato a Maria Corina Machado, Tajani pensasse al presidente Usa. Come si sa l’abbandono delle armi da parte di Hamas è uno dei punti imprescindibili per l’accordo e Bibi Netanyahu ha ribadito che «l’Idf resterà a Gaza fino al completo disarmo di Hamas», che ha replicato: «Non offriremo alibi per boicottare l’accordo». Dunque il compito dei nostri militari è centrale. Dove l’Italia avrà un ruolo di primo piano è nella ricostruzione. Lo ha confermato il ministro degli Esteri che ha ricordato: «Giovedì c’è stato un importante vertice a Parigi fra paesi europei e del mondo arabo. Noi parteciperemo alla ricostruzione e, mi auguro, anche a una missione militare per garantire la riunificazione della Palestina. Poi parteciperemo anche alla governance del cambiamento». Giorgia Meloni ha fissato in tre momenti il percorso di pace e in tutti e tre per l’Italia c’è un ruolo da protagonista: il disarmo di Hamas, la dismissione degli insediamenti israeliani, la stabilizzazione dell’area per consentire la riforma dell’autorità palestinese. A fronte di questo impegno dell’Italia, ma anche del riconoscimento del ruolo svolto dal nostro governo, da sinistra si sono levati solo dubbi e prese di distanza. Giuseppe Conte (M5s) è il più duro: «Ha fatto tutto Trump, Meloni si vuole intestare una pace in cui non ha avuto alcun ruolo: è ridicolo». Elly Schlein (Pd): «È un accordo decisivo, ma ora il governo riconosca subito lo stato palestinese». C’è un piccolo particolare: l’accordo prevede che si debba costruire lo stato palestinese, perché per ora non c’è, e l’Italia è chiamata proprio a partecipare a questo processo. Per Nicola Fratoianni (Avs) «questo non è un piano di pace. Se ferma il genocidio va bene. Il governo venga in Parlamento a riferire, ma è chiaro che non ha avuto alcun ruolo». Da Firenze - al comizio finale per le Regionali della Toscana a sostegno di Alessandro Tomasi - il premier ha stangato l’opposizione: «Il centrosinistra un campo largo? È un Leoncavallo largo, un enorme centro sociale». Solo Matteo Renzi dice che «Meloni è stata impeccabile». Il fatto che conta resta uno: lunedì Giorgia Meloni sarà al Cairo.
Convincere Benjamin Netanyahu che un cessate il fuoco a Gaza aiuterebbe l’Occidente a compattarsi, soprattutto per quel che riguarda il sentimento delle opinioni pubbliche, sulla guerra che Israele sta conducendo contro l’Iran.
Condurre i membri del G7 sul sentiero della pressione diplomatica sul governo israeliano affinché sospenda gli attacchi sulla Striscia e concentri il suo impegno militare nello scontro con Teheran, avversario molto più insidioso e temibile della popolazione di Gaza e, soprattutto, avversario non solo di Israele ma, per la minaccia di produrre l’arma atomica, dell’intero Occidente. Del resto, anche per gli Stati Uniti alleggerirsi dal fronte di Gaza, considerato anche che più di quanto si è fatto è difficile immaginare, è un’opzione che consente di concentrare tutti gli sforzi sul dossier Iran. La proposta di Giorgia Meloni è stata sottoposta a tutti i leader del G7 riuniti in Canada, a partire da Donald Trump, e ha riscosso attenzione e consensi. Una road map che la Meloni ha illustrato nel dettaglio nella notte tra ieri e oggi e della quale ha discusso anche con lo stesso Netanyahu, nelle ore successive allo scoppio della guerra con l’Iran, chiedendo al leader israeliano anche di consentire l’immediato accesso a Gaza degli aiuti umanitari destinati alla popolazione civile e condividendo la necessità di evitare che l’Iran riesca a impadronirsi della bomba atomica, augurandosi nello stesso tempo che gli sforzi portati avanti dagli Stati Uniti per trovare un accordo possano ancora avere successo.
Giorgia Meloni lavora per una de-escalation in Medio Oriente, cerca di convincere i partners internazionali che ogni passo verso la pace, in un momento così delicato, ne vale mille, e che Gaza può essere il primo gradino della scala che porta a uno stop ai bombardamenti e al ritorno ai tavoli negoziali. Una «realpolitik» che registra un consenso sostanzialmente unanime da parte degli alleati. Nei giorni scorsi la Meloni ha discusso di questi temi con i capi di Stato e di governo dei Paesi mediorientali vicini a quelli coinvolti nella crisi: il primo ministro dell’Arabia Saudita, Mohamed Bin Salman, re Abdallah II di Giordania, il sultano dell’Oman Tariq Al Said, l’emiratino Bin Zayed Al Nahyan.
La giornata di ieri è stata caratterizzata da un momento di tenerezza: Giorgia Meloni ha postato una foto che la ritrae mentre abbraccia la figlia Ginevra che, come spesso accade, la accompagna nel viaggio. «La mia forza più grande. Ovunque. Sempre», ha scritto la premier, che in quell’abbraccio ha probabilmente cercato nuova energia per affrontare giornate di tensione e stress difficilmente immaginabili, in un G7 che fonti diplomatiche di altissimo livello hanno descritto come «concitato e confuso». Difficile contestare questa descrizione se solo pensiamo al fatto che Donald Trump ha lasciato in anticipo il Canada per far ritorno a Washington e seguire dalla Casa Bianca la crisi in Medio Oriente.
Prima della partenza, Trump ha avuto un bilaterale con la Meloni. Le immagini del colloquio, con entrambi i leader seduti su una panchina di legno, sono emblematiche: Giorgia parla in maniera confidenziale ma decisa, sembra offrire suggerimenti a Trump, che annuisce. Lo convince, forse, a firmare la dichiarazione finale sull’Iran, cosa che all’inizio il tycoon aveva rifiutato di fare? Non si sa: quello che si sa è che la soddisfazione per il breve ma intenso conciliabolo traspare dalla nota di palazzo Chigi: «A margine del vertice G7 di Kananaskis, e alla vigilia della sessione dedicata ai temi di politica estera», si legge, «il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha avuto un incontro bilaterale con il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Il colloquio ha permesso di discutere dei più recenti sviluppi in Iran, riaffermando l’opportunità di riaprire la strada del negoziato. Il presidente Meloni, nel corso della conversazione, ha anche ribadito la necessità, in questo momento, di lavorare per il raggiungimento di un cessate il fuoco a Gaza. La conversazione», si legge ancora, «ha infine permesso al presidente del Consiglio di confermare l’importanza del conseguimento di un accordo sul negoziato commerciale Ue-Usa e di affrontare il tema delle prospettive del prossimo vertice Nato dell’Aja».
A seguire, altro bilaterale, stavolta con il padrone di casa, il leader canadese Mark Carney. Nella serata di ieri, ora italiana (le 9.30 in Canada), apertura della ultima giornata e girandola di appuntamenti per la Meloni, impegnata prima nella quinta sessione, dedicata alla difesa dell’Ucraina, alla presenza di Volodymyr Zelensky e del segretario generale della Nato, Mark Rutte. In Canada arrivano anche i leader di Australia, Brasile, India, Corea del Sud, Messico, Sudafrica, Onu e Banca mondiale. Una giornata che trascorre tenendo d’occhio le mosse di Trump, mentre arrivano notizie di nuovi bombardamenti tra Iran e Israele.
Giorgia Meloni conclude anche questa missione, questo G7 complicatissimo, tenendo l’Italia in saldo equilibrio tra il lavoro sulla pace e la fermezza nelle alleanze. Potete stare certi che una volta tornata a Roma le beghe della politica politicante interna le appariranno ancora più inutili di prima.




