2018-11-30
Dario Fabbri: «L’America di Trump punta sull’Italia per disarticolare l’Unione europea»
L'esperto di «Limes» commenta il G20 che parte oggi a Buenos Aires: «Gli Usa devono decidere se colpire ancora la Cina. E guardano a Roma per capire il ruolo tedesco. Sulla manovra si arriverà al compromesso».Il G20 che si apre oggi incrocia tensioni di cronaca (Khashoggi, Mar d'Azov) e partite aperte (i dazi trumpiani, la Cina, il futuro dell'Europa). La Verità ne parla alla vigilia con Dario Fabbri, esperto di geopolitica e analista di Limes.Cosa è lecito aspettarsi dal vertice di Buenos Aires?«In sé il collante del G20 è sempre l'economia, ma ci sono troppi attori per attendersi decisioni immediate. Si parte dalle preoccupazioni per un rallentamento dell'economia che imbarazza Trump: gli Usa dovrebbero andare in recessione entro il 2020, per pure ragioni di ciclo capitalistico. Una situazione normale, ma non auspicabile da un presidente in un anno elettorale. Se gli Usa hanno davanti una frenata, la Cina non se la passa bene e la Germania rallenta. A destare interesse saranno gli incontri bilaterali».Ovvero?«Il tentennamento Usa sul vertice con Putin, deciso e poi annullato, è l'elemento di maggior attualità. Del resto, i pessimi rapporti di Trump con la Russia sono subiti, e non voluti. Un incontro diretto sarebbe stato il segno della volontà di non isolare il Cremlino».Che sviluppi è lecito prevedere a Kiev?«Siamo davanti a un conflitto non congelato: 10.000 morti dal 2014. La sensazione è che la crisi attuale sia più funzionale all'Ucraina che alla Russia. Un modo, per Kiev, di ricordare all'Occidente che l'Ucraina esiste. Poroshenko ha un problema: in un Paese in crisi, bisognoso dal punto di vista finanziario, che vota nel 2019, potrebbe vincere un filorusso. Le orecchie di Berlino e Washington devono fischiare».Poi c'è la Cina.«Difficilmente arriverà una scelta definitiva, ma il bilaterale con Xi è sicuramente il fulcro del G20. Gli Usa sono indecisi se applicare ulteriori dazi alla Cina, il resto dell'assise è brusio. L'equilibrio è complesso: da un lato, attraverso i dazi, gli Usa cercano di inchiodare Pechino al suo limite storico, il momento - ricorrente nella sua storia - in cui sarebbe necessario rendere omogeneo l'immenso territorio cinese».Cioè?«Storicamente la Cina è divisa tra costa ricca, capitalistica e oligarchica, ed entroterra poverissimo. Il Paese tende a spaccarsi sempre su questa faglia, lo stesso Mao partì da una rivoluzione rurale. Gli Usa vogliono mantenere questo elemento di debolezza. Tramite i dazi, vogliono impedire alle gerarchie cinesi di imporre trasferimenti di ricchezza verso l'entroterra a fronte di una situazione di crisi. Che è esattamente ciò che vuole fare Xi Jingping per riequilibrare il Paese: per questo si è arrogato poteri semi dittatoriali. Il punto di caduta di questa trattativa durissima si vedrà sull'applicazione sui dazi». Perché gli Usa non vogliono questo passaggio?«Non vogliono una Cina che sia un Paese compiuto, come non volevano che la Germania dominasse l'Europa negli anni '40. E oggi non vogliono un'Europa a trazione tedesca».Infatti l'altro bersaglio dei dazi sulle auto è Berlino.«L'intenzione è colpire le fondamenta economiche e disarticolare, senza distruggerla, l'Ue. Una sfera d'influenza tedesca pura a guida Ue è impensabile per Washington».L'Italia è in mezzo...«Semplificando, la dialettica sulla manovra sottende una nostra richiesta a Berlino: garantiteci. Berlino dice: no. Con linguaggio geopolitico, la Germania non si vuole fare impero. Questo provoca un atteggiamento ambivalente a Washington: da un lato Berlino rincuora gli Usa, perché questi ultimi vedono che i tedeschi non ambiscono a essere centro geopolitico. Dall'altro vedono che la Germania non rinuncia a imporre la sua sfera di influenza economica. In questo balletto gli Usa ci appoggiano, convinti che Roma possa essere un grimaldello per disarticolare la sfera d'influenza tedesca».Ma che esito auspicano tra i due estremi di questo balletto? Ed è realistico che al G20 l'Italia sia sul tavolo?«Possibile. Oggi, alla probabile vigilia di una nuova crisi, se la Germania vorrà evitare guai seri si dovrà arrivare a un compromesso. E agli Usa va bene così. Da parte nostra, non possiamo sopravvalutare i risultati che otterremo». Che differenza di approccio verso la Ue c'è da parte di Trump rispetto a Obama?«Anche Obama non era affascinato dalla Ue. L'espulsione di spie americane dalla Germania nel 2014 fu una scena da seconda guerra mondiale o quasi. Ci sono alcuni elementi di grande continuità tra le due amministrazioni. La differenza visibile è che Trump rigetta il multilateralismo: Obama fingeva di credere alla Ue, questa amministrazione mostra la propria disistima nei confronti dell'apparato. Nell'aspetto tecnico sono simili, perché le ragioni di fondo del conflitto prescindono dal colore dell'amministrazione».Cosa si aspetta l'analista geopolitico dalle prossime elezioni europee 2019?«Mi sembra difficile che i popolari alleati con i cosiddetti populisti dominino lo scenario. Dal punto di vista strategico, il governo italiano deve evitare un errore “grammaticale", e cioè scambiare la comune ideologia con alcuni Paesi con l'interesse strategico. L'unico vero risultato possibile per l'Italia in questo contesto è appellarsi a una Ue meno interventista: questo può essere in linea con gli Usa e con altri Paesi, ma non molto altro».
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)