2021-02-15
L'America di Biden non può più prescindere dall'Asia
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L'Afghanistan è il primo banco di prova per il neopresidente statunitense. I suoi tentennamenti, oltre a stoppare il progetto trumpiano, tengono congelata una situazione che potrebbe avere delle ripercussioni imprevedibili sul piano geopolitico.La Cina, che ormai muove la propria influenza sul Bhutan e su altri Paesi vicini come il Nepal, trova nell'India l'unico ostacolo.Lo speciale contiene due articoli.È un clima di grande incertezza quello che si sta registrando a Washington sull'Afghanistan. La violenza in loco non sembra arrestarsi, mentre il neo presidente americano, Joe Biden, ha lasciato intendere di voler rivedere l'accordo di pace, siglato dall'amministrazione Trump con i talebani. Il tempo a disposizione per decidere d'altronde è poco. Il ritiro degli ultimi 2.500 soldati americani è previsto per il mese di maggio, mentre gli alleati nutrono forti preoccupazioni, in attesa delle prossime mosse americane. È in tal senso che, venerdì scorso, si è tenuta una riunione del Consiglio di sicurezza nazionale: una riunione che, secondo quanto riferito dalla Cnn, avrebbe fissato due obiettivi. Da una parte, si è auspicata una «conclusione responsabile» del conflitto con la fine delle violenze e un governo stabile; dall'altra, Washington vuole evitare che il Paese torni a essere un ricettacolo di terroristi.Biden si trova adesso davanti a un dilemma non di poco conto. Una strada è concludere rapidamente il ritiro delle truppe americane, rischiando tuttavia così di fomentare indirettamente l'instabilità nella ragione. Un'altra strada è ritardare il ritiro o addirittura incrementare la presenza di soldati in loco: uno scenario che contribuirebbe magari ad arginare (temporaneamente) il problema della violenza, ma che si rivelerebbe problematico sul piano interno. Parte consistente dell'elettorato americano considera il conflitto afghano come profondamente impopolare. Senza contare che la stessa sinistra del Partito democratico si sia sempre detta contraria alle cosiddette «guerre senza fine»: guerre di cui quella in Afghanistan - iniziata nel 2001 - costituisce in un certo senso il principale esempio (si tratta infatti del più lungo conflitto in cui gli Stati Uniti siano rimasti invischiati nella loro storia). Insomma, per Biden l'Afghanistan rischia di costituire il dossier maggiormente spinoso, soprattutto per le sue ripercussioni sulle dinamiche interne. E attenzione, perché il problema per la Casa Bianca non è soltanto il rapporto difficoltoso con i talebani. Si scorgono infatti altri (potenti) attori internazionali che vogliono esercitare la propria influenza sulla regione: a partire dalla Cina.È pur vero che Pechino condivida con Washington il timore che possa riaffiorare il terrorismo in loco. Tuttavia, il Dragone ha anche inserito l'Afghanistan nel più ampio contesto del suo serrato confronto con l'India. D'altronde, le mosse della Repubblica popolare - sotto questo aspetto - sono di due tipi: dirette e indirette. In primis, va sottolineato che i cinesi stiano tentando con Kabul la carta della «diplomazia sanitaria»: il ministero della Salute afghano ha reso noto, a inizio febbraio, che Pechino abbia intenzione di inviare 200.000 dosi di vaccino nel Paese. In secondo luogo, non va trascurato che - già ben prima dello scoppio della pandemia - la Cina stesse cercando di portare distensione nelle problematiche relazioni tra Pakistan e Afghanistan. Una mossa che - soprattutto alla luce del recente rafforzamento dei legami tra Pechino e Islamabad - non può non essere considerata in chiave anti indiana. Dal 2017, il Dragone si è ritagliato un ruolo di mediatore e ha non a caso organizzato il Dialogo trilaterale insieme ad Afghanistan e Pakistan.È quindi evidente che i cinesi vogliano contrastare l'influenza esercitata dagli indiani su Kabul. Un'influenza che, nel corso degli anni, si è fatta sempre più forte. La settimana scorsa, India e Afghanistan hanno non a caso siglato un accordo da 236 milioni di dollari per la costruzione della diga di Shahtoot. Si tratta di un'opera infrastrutturale di considerevole importanza, che ha l'obiettivo di fornire acqua potabile a oltre due milioni di afghani e, in secondo luogo, di potenziare le strutture di irrigazione locali. D'altronde, gli investimenti di Nuova Delhi nella cosiddetta «Tomba degli imperi» non sono certo una novità. Sotto questo aspetto, va per esempio ricordata l'inaugurazione, avvenuta nel 2016, della cosiddetta «Diga dell'amicizia Afghanistan-India». Più in generale, secondo quanto riferito dall'Hindustan Times nel 2017, l'India avrebbe già completato ben 400 progetti infrastrutturali in Afghanistan, mentre altri 150 risulterebbero in corso. Un impegno che si inserisce nel più ampio quadro della strategia di soft power che Nuova Delhi sta da tempo conducendo nei confronti di Kabul: basti pensare che, dal 2001, l'India abbia investito in loco oltre un miliardo di dollari. In tutto questo, non bisogna poi trascurare l'assistenza di natura sanitaria a causa della pandemia di Covid-19. A inizio febbraio, Nuova Delhi ha consegnato all'Afghanistan 500.000 dosi di vaccino AstraZeneca, con il governo afghano che - secondo Reuters - avrebbe già addestrato mille delle 3.000 persone che saranno necessarie per svolgere la campagna di vaccinazione.Ma da che cosa nasce questo interessamento indiano nei confronti dell'Afghanistan? È chiaro che, a livello generale, Nuova Delhi voglia rafforzare la propria influenza nella regione. Il che si spiega con tre differenti (ancorché correlati) obiettivi: cercare di mantenere la stabilità politica in loco, impedire il riemergere di attività terroristiche ed evitare che l'Afghanistan si avvicini politicamente troppo al Pakistan, che - come abbiamo visto - la Cina sta da anni cercando di spingere a rasserenare i propri rapporti con Kabul. Tutto questo, nonostante ampi settori della società afghana non vedano affatto di buon occhio Islamabad, soprattutto a causa della sua vicinanza ai talebani. Ecco che quindi la «questione talebana» torna a tenere banco. In passato, l'India ha portato avanti una linea di ostilità verso i talebani: ostilità che tuttavia ultimamente - secondo quando di recente riferito da Foreign Policy - si sta pian piano smorzando. Evidentemente, vista l'impostazione dell'accordo afghano di Trump, Nuova Delhi riteneva che i talebani avrebbero potuto acquisire un crescente peso politico a Kabul: è quindi probabile che l'intento di Modi fosse quello di sganciarli (almeno parzialmente) dall'orbita pakistana. Insomma, il duello tra India e Cina passa (anche) attraverso l'Afghanistan. Resta però la grande incognita statunitense. I tentennamenti di Biden, lo abbiamo visto, hanno ragioni profonde. E, almeno per il momento, tengono congelata una situazione che potrebbe avere delle ripercussioni imprevedibili sul piano geopolitico.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lamerica-biden-non-prescindere-asia-2650541027.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="cina-e-india-si-sfidano-per-avere-influenza-in-una-serie-di-stati-strategici" data-post-id="2650541027" data-published-at="1613399164" data-use-pagination="False"> Cina e India si sfidano per avere influenza in una serie di Stati strategici Sembrano segnali di disgelo quelli che si stanno verificando tra Cina e India. Negli scorsi giorni, i due Paesi hanno avviato un processo di disimpegno militare lungo il settore occidentale della Lac. Si tratta di una notizia importante, soprattutto dopo che - a fine gennaio - si erano verificati dei tafferugli nello Stato indiano del Sikkim. Del resto, nonostante i considerevoli rapporti commerciali, Nuova Delhi e Pechino sono impegnati in un confronto serrato, che va al di là delle - pur importantissime - dispute di confine. Il duello tra i due giganti è infatti in primo luogo di natura geopolitica e chiama in causa una ferrea competizione per l'estensione della propria influenza regionale. È quindi un errore misurare il grado di tensione tra India e Cina esclusivamente dalle problematiche militari di confine.I due rivali si stanno affrontando, in modo più o meno sotterraneo, in una serie di Stati considerati strategici. Nuova Delhi e Pechino si stanno innanzitutto confrontando in Nepal, dove i cinesi hanno trovato una forte sponda nel Partito comunista nepalese: partito tuttavia entrato in crisi lo scorso dicembre, trascinando l'intero Paese in un autentico caos politico. Uno scenario, questo, che favorisce l'India: quella stessa India che, guarda caso, intratteneva rapporti piuttosto tesi con i comunisti nepalesi. È del resto in questo senso che la diplomazia cinese è al lavoro, per cercare di ricreare armonia nel Partito comunista nepalese.Un altro fronte di scontro è costituito dal piccolo regno del Bhutan. Per quanto ufficialmente Thimphu intrattenga saldissimi legami con Nuova Delhi e non riconosca neppure Pechino sul piano diplomatico, qualcosa sta cambiando negli ultimi tempi. Come recentemente riferito da The Diplomat, la Cina sta utilizzando in loco una combinazione di forza e soft power, alternando sempre più estese pretese territoriali a un'attrazione nel settore accademico e lavorativo. Non va trascurato, sotto questo aspetto, che la disoccupazione giovanile bhutanese risulti al momento particolarmente alta e che - nonostante la convergenza di lungo corso - l'opinione pubblica locale nutra una certa irritazione verso l'India (soprattutto a causa dei forti debiti contratti da Thimphu). Un ulteriore fronte di scontro geopolitico è l'Afghanistan, dove India e Cina sono in concorrenza per incrementare la propria influenza. Una competizione che, a livello generale, le due potenze conducono soprattutto (anche se non esclusivamente) attraverso due canali: pesanti investimenti sul fronte infrastrutturale e diplomazia sanitaria. L'India ha aiutato il Bhutan durante la pandemia, mentre sia Nuova Delhi che Pechino stanno inviando dosi di vaccino in Afghanistan. Va da sé che, in questo duello geopolitico, dovrà presto tornare ad inserirsi Washington. In questa prima fase, l'amministrazione Biden non sembra infatti avere troppo le idee chiare. Se Donald Trump puntava fermamente a una convergenza con l'India in funzione anticinese, non è detto che la nuova Casa Bianca seguirà del tutto questa strada. Sulla Cina, è vero che Biden voglia seguire la linea dura su diritti umani, alta tecnologia e Mar cinese meridionale. Ma è altrettanto vero che, in futuro, il neo presidente americano potrebbe voler avviare una distensione sul piano commerciale rispetto all'era Trump. Uno scenario, quest'ultimo, riportato recentemente anche da Politico. Venendo all'India, è vero che prevedibilmente Biden si appoggerà a Nuova Delhi per contenere Pechino sul piano geopolitico. Ma bisogna fare attenzione a un fattore: settori consistenti del mondo liberal statunitense non apprezzano affatto il primo ministro indiano, Narendra Modi, da loro considerato un populista dalle tendenze autoritarie. Il che potrebbe spingere queste galassie a chiedere presto a Biden una ferrea coerenza verso la "crociata" da lui spesso invocata in campagna elettorale contro tutti quei regimi e leader che non sposano in pieno gli standard della democrazia liberale. Alla luce di questo, non è affatto scontato che le relazioni tra Washington e Nuova Delhi risulteranno del tutto idilliache in futuro.