2024-12-13
Lagarde fa un altro taglietto dei tassi. Dal caffè alla luce la stangata di Natale
Transparent background
Embed restrictions:
Limatina dello 0,25%, ma per l’asfittica economia europea ci vuole altro. Aumentano le bollette e i prezzi dell’alimentare. Francesco Mutti (Centromarca): «Dannose le tasse sui consumi, facciamo il possibile per non alzare i prezzi. Cruciale il rapporto con gli Usa». Lo speciale contiene due articoli.Tra le 15 e le 15.30 di ieri, ora italiana, si è vista la differenza tra l’Europa, attanagliata da una crescita asfittica e gli Stati Uniti, dove il Pil corre quattro volte più veloce. A Francoforte andava in scena la conferenza stampa di Christine Lagardeche spiegava le ragioni del consiglio direttivo della Banca centrale europea che ha votato all’unanimità per un taglio dei tassi di 25 punti base portando così il tasso di riferimento al 3%. A Wall Street Donald Trump suonava la campanella di inizio contrattazioni dopo essere stato nominato «Personaggio dell’anno» da Time. A Francoforte, invece, l’atmosfera era grigia. E non sollo per l’assenza di luce. Pochi spunti, molta «incertezza, legata a vicende interne di alcuni Paesi dell’eurozona e agli effetti legati alle elezioni americane», spiegava Lagarde. A New York, Trump prometteva: «Faremo cose che non sono mai state fatte prima. Taglieremo ancora di più le tasse e le porteremo al 15% per le imprese se producono negli Usa». Fra strette di mano e pacche sulle spalle spiegava che «Elon Musk è un grande uomo e una grande persona. I suoi titoli hanno fatto bene.Jeff Bezos verrà a trovarmi la settimana prossima. Mark Zuckerberg l’ho già incontrato. Cerchiamo gente che abbia voglia di lavorare bene, con buoni stipendi».A Francoforte invece le parole e i gesti venivano misurati con il bilancino. Guai a esagerare. Christine Lagarde fa sapere che in consiglio si era parlato di un possibile taglio di mezzo punto. Tanto coraggio però era sembrato esagerato. Meglio «mantenere i tassi di interesse sufficientemente restrittivi per tutto il tempo necessario».Eppure l’Europa avrebbe bisogno di far scendere il costo del denaro a precipizio per sferzare un’economia altrimenti anemica. A segnalarlo sono i dati della stessa Bce: «L’economia in questo trimestre sta rallentando. La manifattura e le esportazioni sono ancora deboli. La ripresa dipende soprattutto dai redditi, che permetterebbero più spese e più profitti, quindi più investimenti per le aziende». Guardando avanti, per la presidente dell'Eurotower l’economia «dovrebbe rafforzarsi nel tempo». Ma per ora non è così. Perché la stima è anemica: +0,7% nel 2024, +1,1% nel 2025, +1,4% nel 2026. E che dire dell’inflazione? Anche qui è prevista una lenta discesa: dal 2,4% di quest’anno al 2,1% nel 2025, all’1,9% nel 2026. Eppure a novembre c’è stato un rigurgito significativo con i prezzi saliti al 2,3% rispetto al 2% di ottobre. Tutto previsto secondo Christine Lagarde «perché salari e prezzi si stanno aggiustando con un po’ di ritardo».Forse troppo visto che è già pronta la stangata delle bollette a gennaio. Le spese per luce e gas dovrebbero salire a doppia cifra, sia per i milioni di clienti che sono in regime di maggior tutela, sia per chi è nel mercato libero e ha scelto una tariffa variabile. I rialzi saranno conseguenza del mini rally del gas in Europa, salito fino a 50 euro per megawattora ad Amsterdam, per poi arretrare in area 45 ma rimanendo a un livello del 30-40% superiore rispetto ai mesi primaverili. Una corsa generata dalle tensioni geopolitiche, dalla poca chiarezza sul 2025 quando il contratto di transito del gas russo via Ucraina dovrebbe scadere, da un clima più rigido rispetto agli ultimi due anni. Il meteo ha abbassato la produzione di energia da fonti rinnovabili e ha spinto a un maggior consumo di gas. Gas che arriva sempre più via mare, il Gnl, soprattutto dagli Usa e che quindi è in concorrenza – a livello di prezzo – con l'Asia.Poi ci sono le spese natalizie che si preannunciano più pesanti del solito. Tra i regali, le decorazioni e le prelibatezze sulla tavola, gli aumenti dei prezzi potrebbero far lievitare il costo del tradizionale cenone di Natale e della semplice colazione al bar. Se la magia delle feste resta immutata, la tasca potrebbe soffrire. La sosta al bar per un caffè o una scatola di cioccolatini da portare in regalo potrebbero diventare un lusso. Le quotazioni del caffè e quelle del cacao sono ai massimi storici e la corsa potrebbe continuare. A causa di una siccità devastante nelle principali aree di coltivazione, le stime di produzione per il 2025/26 sono state ridotte drasticamente. Le scorte globali, in continuo calo, sono un altro fattore rialzista. E poi c’è il cenone. La situazione globale dei prezzi alimentari, che ha registrato un incremento dello 0,5% a novembre rispetto al mese precedente, sta facendo lievitare latticini e oli vegetali. Fortunatamente i prezzi dei cereali sono scesi, grazie a un buon raccolto in corso nell’emisfero australe. Tuttavia gli aumenti di burro, formaggi e olio si faranno sentire. Questo si traduce in un rincaro anche per i piatti tipici natalizi: dai tortellini al burro alle insalate condite con olio di oliva, ogni ingrediente potrebbe essere più caro di quanto immaginato.E non è tutto. L’olio di palma, la soia e il girasole, essenziali per la preparazione di molti dolci natalizi, hanno visto un aumento significativo, spingendo verso l’alto anche il costo di panettoni, pandori e biscotti. Servirà una buona dose di pazienza e creatività per affrontare serenamente le prossime festività<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lagarde-altro-taglietto-tassi-2670448405.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-sugar-tax-non-serve-e-se-sale-lenergia-sono-guai" data-post-id="2670448405" data-published-at="1734092625" data-use-pagination="False"> «La sugar tax non serve e se sale l’energia sono guai» «Mettere tasse sui consumi non ci serve. Non saranno certo la sugar tax o la plastic tax a cambiare il futuro dell’economia italiana, ma un impatto negativo lo avranno». È chiaro su questo punto Francesco Mutti, presidente di Centromarca, l’associazione dell’industria di marca che rappresenta 200 aziende, 2.400 marchi che hanno un fatturato di 67 miliardi di euro e che può contare su 97.000 addetti. In un incontro con la stampa a Milano ieri Mutti ha sottolineato che «non saremo mai un Paese dai grandi volumi, ma il valore vale più del volume ed è il motore che può permettere all’Italia di andare avanti». La domanda, secondo Mutti, è: che tipo di progetto vogliamo portare avanti a livello europeo? A cominciare dal rapporto con gli Usa. «La partita economicamente più rilevante da giocare è quella europea, poi da un punto di vista di una visione globale se nella relazione col più grande alleato dell’Europa che sono gli Stati Uniti iniziamo a mettere un po’ di sabbia non mi sembra una scelta molto saggia. Mi sembra una illogicità tremenda che mentre si va in un mondo sempre più complesso e i conflitti stanno divampando». Le aziende di marca, ha spiegato poi Mutti, stanno alzando «un muro molto forte per non scaricare a valle i costi che appaiono più temporanei. Quando c’è una ipotesi di consolidamento non si può fare altrimenti». «Senz’altro», ha poi ricordato citando due materie prime che hanno toccato negli ultimi mesi nuovi massimi, «la filiera del cacao e del caffè sono estremamente rilevanti ma sarei molto più preoccupato dell’aspetto energetico perché, senza sminuire il resto, se l’energia aumenta in modo importante ce lo ritroviamo sul 99% del carrello della spesa».Secondo il presidente di Centromarca, per rilanciare i brand italiani è necessario guardare anche alle dimensioni delle aziende: «Piccolo è bello, ma è il nanismo che non è bello. Le industrie italiane non saranno mai grandissime, l’importante è che non rimangano delle microimprese. Forse sarebbero indicati degli incentivi che invoglino alle aggregazioni. Sarebbe un valore aggiunto per la competitività delle aziende del nostro Paese. Pensiamo che oggi è lo 0,5% delle industrie alimentari italiane che fa il 50% di export», ha aggiunto Mutti.All’incontro di ieri con Centromarca sono stati presentati anche i risultati di una rilevazione di Swg secondo cui, pur in una fase di debolezza del potere d’acquisto per il 65% degli intervistati la somma investita dagli italiani nel periodo natalizio in regali, pranzi e spese personali sarà superiore o uguale a quella dello scorso anno; inferiore per il restante 35%. Chi disporrà di un budget superiore si focalizzerà, in particolare, sull’alimentare (40% di risposte) e sulla ricerca della qualità (55%). Chi destinerà meno risorse farà tagli su regali (63%), decorazioni e addobbi (35%) e quantità acquistate (71%). Per il 43% degli intervistati i prodotti di Marca, per la qualità e il prestigio che comunicano a chi li riceve in regalo, rappresentano un punto di riferimento al momento della scelta, con punte del 50% per l’alimentare, del 48% per i prodotti destinati alla cura della casa e del 47% per la cura persona, a conferma della centralità della Marca nel settore del largo consumo. La presenza del brand ha un peso fondamentale tra i criteri di scelta anche nel periodo natalizio, a tal punto che il 65% dei consumatori dichiara di cercare il prodotto preferito presso altri rivenditori se non lo trova nel punto di vendita abituale.
Ecco Edicola Verità, la rassegna stampa del 3 settembre con Carlo Cambi