
Le Procure dormono e i Comuni fanno spallucce: in Italia, diventare un inquilino moroso è ormai un affare. La proroga del blocco degli sfratti fino al 30 giugno di fatto lascia indifeso chi è stato sbattuto fuori da casa sua.Se rubi un'auto sei un ladro. Se rubi un vestito o un gioiello o un paio di scarpe pure. Anche se rubi un po' di pane o un pollo fritto sei un ladro. Se invece rubi una casa, no. Se rubi una casa, in Italia, ci manca poco che ti premino, che ti diano una medaglia, una civica benemerenza, la cittadinanza onoraria. Croce al merito di cavaliere sventratore di appartamenti altrui. Sembra un paradosso, invece è la realtà: i ladri di alloggi, nel nostro Paese, godono di una speciale e incredibile immunità. Possono continuare ad appropriarsi delle cose altrui senza che a loro si possano avvicinare carabinieri o poliziotti. Al massimo si avvicina un assessore che gentilmente squaderna il catalogo delle altre case disponibili: il ladro di alloggi non si arresta, al massimo si alletta con un'alternativa dorata, naturalmente con affitto a carico della collettività. C'è per caso qualcosa che ti aggrada? Ce lo fai sapere? Senza fretta? E se il tipo rifiuta, vietato insistere. È uno scandalo incredibile che si consuma nel silenzio generale. E che la proroga del blocco degli sfratti fino al 30 giugno ha ulteriormente aggravato, di fatto sancendo l'abolizione della proprietà privata per quanto riguarda le abitazioni. Ribadisco: se tu compri un'auto, ne sei il legittimo proprietario. Se tu compri una moto, ne sei il legittimo proprietario. Ma se tu compri una casa, ecco, allora no: ne sei il legittimo proprietario solo fino al momento in cui qualcun altro, arbitrariamente, decide che non lo sei più. Fino a al momento in cui qualcun altro te la sottrae. A quel punto i tuoi diritti spariscono. La proprietà privata diventa un apostrofo nero messo fra le parole «me ne frego». Nessuno dei cantori della Costituzione più bella del mondo, infatti, ha mai speso una parola per ricordare l'articolo 42, dove si dice, se non ricordo male, che la proprietà privata è garantita dalla legge. Nessuno. Quando si parla di casa la Costituzione viene messa, per l'appunto, fuori dalla porta. Trattata come uno zerbino. Paolo Bodini e la sua fidanzata Silvia, per dire, speravano di andare a vivere insieme nella casa che si erano comprati insieme nel giugno 2019. Invece no: a tutt'oggi vivono ancora separati, ognuno con la rispettiva famiglia, con mamma e papà e inevitabili crisi psicologiche, ansie e nevrosi. Il motivo? Semplice: l'ex inquilino alla scadenza del contratto, nel settembre 2019, è regolarmente uscito dalla casa, ma subito dopo, con una scusa, ci è rientrato dentro. E da allora non se ne è più andato. Sta lì, prende a martellate i muri, distrugge gli arredi sotto gli occhi delle telecamere, fa telefonate di minacce ai due fidanzati e ai loro genitori, prova a estorcere loro denaro. E nessuno interviene. Sono stati presentati 12 (leggasi: dodici) esposti. Ci sono prove evidenti di reati. Ma il procuratore della Repubblica si è svegliato dal suo torpore solo dopo un paio di servizi a Fuori dal Coro. Per ora ha convocato una riunione e ha richiamato i carabinieri i quali a loro volta hanno richiamato Paolo e Silvia i quali hanno ripresentato le loro denunce. Sembra il gioco dell'oca. O, meglio, dello struzzo. Eh sì, perché lo Stato fa lo struzzo quando c'è da difendere la casa. Mette la testa sotto la sabbia. Come se ci fosse un pregiudizio negativo per chi investe i suoi risparmi nel mattone anziché spenderli in altro modo. Ma vi pare? Silvia mi ha raccontato che, nel breve intervallo in cui l'inquilino violento era uscito dalla loro casa, ha portato lì dentro il suo computer, un po' delle sue cose, gli oggetti del bagno. Da quel giorno (stiamo parlando di settembre 2019) non li ha più potuti usare. È stata espropriata, anche di quelli, oltre che della casa regolarmente comprata e pagata. Qualcuno che intervenga? Che dica qualcosa? Macché. L'unica cosa che le autorità fanno (tramite assessore comunale) è offrire una serie di alloggi (a spese nostre) all'occupante abusivo. Il quale sdegnosamente rifiuta. A lui che importa? Una casa ce l'ha. Non è la sua, sicuro. Ma perché se ne deve preoccuparne se nessuno interviene? Roberta Sanguinetti vive ad Ameno (Novara). Ha un figlio di sette anni ed è disoccupata, come anche disoccupato è il suo compagno. Hanno perso entrambi il lavoro in questi mesi. Per pagare il mutuo della casa in cui vivono facevano conto su un monolocale di 40 metri quadrati, che posseggono (si fa per dire) a Legnano e che avevano messo in affitto. Peccato che l'inquilino non paghi da aprile 2019. E dire che un lavoro, a differenza di Roberta e compagno, lui ce l'ha. La proprietaria (si fa sempre per dire) di casa ha dovuto vendere il piccolo camper di famiglia per pagare tasse e spese condominiali dell'appartamento che, di fatto, non è più suo. Quando un'inviata di Fuori dal Coro ha provato a chiedere le ragioni di questo comportamento all'inquilino, quest'omone ha replicato con toni minacciosi e violenti: «Per me la proprietaria di casa può anche morire. Sono stato in galera, figuriamoci se mi spavento». Mauro Passalacqua vive a Firenze e ha una casetta a Marina di Massa, comune di Massa Carrara. Un gruppo di senegalesi, con precedenti penali, gliel'ha occupata nel maggio 2020. Lui ha sporto denuncia, la Procura ha preso in carico la pratica, ma nulla si muove: c'è un problema evidente di ordine pubblico (denunciato dai vicini), c'è un problema sanitario (come testimoniano le immagini dell'interno dell'abitazione), ma nessuno interviene. I senegalesi urlano che chiunque li butti fuori da quella casa è razzista e persino il sindaco leghista lascia fare senza alzare il sopracciglio. Non va meglio a Francesca Taibbi: la sua casa di Palermo è occupata dal 2012. Cioè da nove anni. Il 10 febbraio scorso si è tenuta (meglio tardi che mai) un'udienza in tribunale. E sapete il giudice che ha fatto, dopo 12 anni di occupazione? Ha proposto alla signora Francesca una conciliazione… Ma come si fa a conciliare un furto? Se io sono il proprietario di una cosa devo poterne disporre come voglio, no? Sembrerebbe normale. Se la cosa in questione è una casa, però, le leggi non valgono, le regole si fermano, il pregiudizio contro il proprietario diventa feroce. Si badi bene che quasi tutte le vicende qui raccontate (potremmo scrivere una Treccani dell'ingiustizia per quante ne stiamo raccogliendo) non sono nate dall'esigenza di tutelare persone danneggiate dal Covid. Anzi, come nel caso di Roberta, le persone danneggiate dal Covid sono vittime due volte. Chi vince sono i furbi che già non pagavano ben prima dei lockdown e delle zone rosse. Per questo l'abolizione della proroga degli sfratti è doverosa e urgente. Ma non basta nemmeno. Bisogna fare di più. Bisogna fare un salto culturale e legislativo per arrivare a riconoscere che la proprietà privata di una casa è un bene da tutelare in ogni modo. Perché nessuno vuole la gente a dormire per strada, è chiaro. Tutti devono avere un tetto. Ma un tetto (per chi ne ha davvero bisogno) lo deve garantire lo Stato con le abbondanti tasse che si prende dalle nostre tasche. Non Paolo, Silvia, Roberta, Mauro, Francesca e tutti gli altri cittadini cui è già capitato, oppure potrebbe capitare domani, la sventura di vedersi derubati della casa. Con l'incredibile consenso dello Stato.
Il tocco è il copricapo che viene indossato insieme alla toga (Imagoeconomica)
La nuova legge sulla violenza sessuale poggia su presupposti inquietanti: anziché dimostrare gli abusi, sarà l’imputato in aula a dover certificare di aver ricevuto il consenso al rapporto. Muove tutto da un pregiudizio grave: ogni uomo è un molestatore.
Una legge non è mai tanto cattiva da non poter essere peggiorata in via interpretativa. Questo sembra essere il destino al quale, stando a taluni, autorevoli commenti comparsi sulla stampa, appare destinata la legge attualmente in discussione alla Camera dei deputati, recante quella che dovrebbe diventare la nuova formulazione del reato di violenza sessuale, previsto dall’articolo 609 bis del codice penale. Come già illustrato nel precedente articolo comparso sulla Verità del 18 novembre scorso, essa si differenzia dalla precedente formulazione essenzialmente per il fatto che viene ad essere definita e punita come violenza sessuale non più soltanto quella di chi, a fini sessuali, adoperi violenza, minaccia, inganno, o abusi della sua autorità o delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa (come stabilito dall’articolo 609 bis nel testo attualmente vigente), ma anche, ed in primo luogo, quella che consista soltanto nel compimento di atti sessuali «senza il consenso libero e attuale» del partner.
Tampone Covid (iStock)
Stefano Merler in commissione confessa di aver ricevuto dati sul Covid a dicembre del 2019: forse, ammette, serrando prima la Bergamasca avremmo evitato il lockdown nazionale. E incalzato da Claudio Borghi sulle previsioni errate dice: «Le mie erano stime, colpa della stampa».
Zero tituli. Forse proprio zero no, visto il «curriculum ragguardevole» evocato (per carità di patria) dall’onorevole Alberto Bagnai della Lega; ma uno dei piccoli-grandi dettagli usciti dall’audizione di Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler in commissione Covid è che questo custode dei big data, colui che in pandemia ha fornito ai governi di Giuseppe Conte e Mario Draghi le cosiddette «pezze d’appoggio» per poter chiudere il Paese e imporre le misure più draconiane di tutto l’emisfero occidentale, non era un clinico né un epidemiologo, né un accademico di ruolo.
La Marina colombiana ha cominciato il recupero del contenuto della stiva del galeone spagnolo «San José», affondato dagli inglesi nel 1708. Il tesoro sul fondo del mare è stimato in svariati miliardi di dollari, che il governo di Bogotà rivendica. Il video delle operazioni subacquee e la storia della nave.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Manifestazione ex Ilva (Ansa)
Ok del cdm al decreto che autorizza la società siderurgica a usare i fondi del prestito: 108 milioni per la continuità degli impianti. Altri 20 a sostegno dei 1.550 che evitano la Cig. Lavoratori in protesta: blocchi e occupazioni. Il 28 novembre Adolfo Urso vede i sindacati.
Proteste, manifestazioni, occupazioni di fabbriche, blocchi stradali, annunci di scioperi. La questione ex Ilva surriscalda il primo freddo invernale. Da Genova a Taranto i sindacati dei metalmeccanici hanno organizzato sit-in per chiedere che il governo faccia qualcosa per evitare la chiusura della società. E il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al nuovo decreto sull’acciaieria più martoriata d’Italia, che autorizza l’utilizzo dei 108 milioni di euro residui dall’ultimo prestito ponte e stanzia 20 milioni per il 2025 e il 2026.






