2025-09-22
L’accusa al giudice di Bergoglio: «Comprò case in nero dai mafiosi»
Giuseppe Pignatone, in mezzo (Ansa)
L’ex presidente del tribunale vaticano avrebbe acquistato a metà prezzo immobili da alcuni boss, versando una parte del denaro sottobanco. Emersi i rapporti di familiarità con «uomini d’onore» come Bonura e Piazza. I pm di Perugia, mentre facevano la loro requisitoria contro Luca Palamara e il collega Stefano Fava, lo hanno definito «la storia della magistratura italiana». Perché questo è ritenuto dalle toghe Giuseppe Pignatone. Sino a 50 anni la sua carriera è stata ordinaria. È persino finito indagato (e archiviato) con una pesante accusa di corruzione. Poi, però, lui considerato un catto-conservatore, è diventato il braccio destro di un campione della magistratura di sinistra, il procuratore di Palermo Piero Grasso. A quel punto, la sua scalata è diventata inarrestabile. Prima, aggiunto nel capoluogo siciliano, nel 2008 capo della Procura di Reggio Calabria e, nel 2012, addirittura di quella di Roma, con la benedizione del presidente Giorgio Napolitano. A questi incarichi si è, poi, aggiunto, sei anni dopo, quello di papa Francesco, il quale lo ha nominato presidente del Tribunale vaticano. Adesso, però, la carriera di Pignatone, per qualcuno, andrebbe riletta alla luce dell’inchiesta della Procura di Caltanissetta che lo ha indagato per favoreggiamento della mafia. Le carte recapitate alla commissione Antimafia nei giorni scorsi sono esplosive. Pignatone e l’ex collega Gioacchino Natoli sono sospettati di avere provato a far distruggere bobine e brogliacci di un’inchiesta (archiviata) sulle cosche comandate da Salvatore Buscemi e Francesco Bonura, un filone della cosiddetta inchiesta «Mafia e appalti». Nella loro contestazione, gli inquirenti sottolineano i rapporti di Pignatone con i fratelli Buscemi e con Bonura dai quali, insieme con la sua famiglia, aveva acquistato diversi immobili nei primi anni Ottanta. Ma per i magistrati era già noto all’epoca che quei personaggi fossero vicini alla mafia, come confermerebbe un articolo dell’Unità del 1974 che riprendeva un’annotazione del questore di Palermo ma, soprattutto, una relazione della minoranza parlamentare della commissione Antimafia del 1976. Che Pignatone ha spiegato di avere letto molti anni dopo, nonostante nel 1977 avesse iniziato la sua carriera di pm a Palermo.il mattone Il contenuto degli interrogatori di Pignatone e Natoli conferma anche l’aria avvelenata che si respirava nella Procura di Palermo negli Ottanta e Novanta. L’ex giudice del Papa, però, a Caltanissetta, il 9 luglio scorso, durante un interrogatorio durato quasi 12 ore, non ha rinnegato la propria vicinanza al controverso procuratore Pietro Giammanco, sebbene oggi ne critichi alcune decisioni. Sui supposti rapporti di Pignatone con alcuni personaggi di spicco della Piovra è stato sentito a giugno Giovanni Brusca, considerato uno dei killer più spietati della mafia (ha sciolto nell’acido il piccolo Giuseppe Di Matteo e ha schiacciato il pulsante dell’ordigno che ha fatto saltare per aria Giovanni Falcone, la moglie e la scorta).Quasi trent’anni fa, Brusca aveva già dichiarato: «Il giudice Pignatone era vicino ai Buscemi e questo canale se lo tenevano chiuso e Salvatore Riina, quando ha scoperto di questo canale […] dice “Come? Voi avete questo canale e ve lo tenete stretto per voi?”». Brusca con i pm, il 30 giugno 2025, nelle ore in cui guadagnava la definitiva libertà (per quattro anni era stato sottoposto a vigilanza fuori dal carcere), ha rincarato la dose: «Ho sentito della famiglia Pignatone, Salvatore Riina diceva che erano vicini ai Buscemi... Ho saputo da Pino Lipari o da Totò Riina che i Buscemi avevano a disposizione il magistrato Pignatone, si diceva anche che il dottor Pignatone fosse stato trattato bene dai Buscemi in occasione di un acquisto di un appartamento». Gli investimenti nel mattone sono l’argomento più scabroso che Pignatone ha dovuto affrontare con gli inquirenti. Nel 1998 l’allora maggiore dei carabinieri del Ros, Domenico Strada, aveva fatto l’inventario delle proprietà (una ventina in tutto) vendute al magistrato, alla sua famiglia e al collega Guido Lo Forte dall’immobiliare Raffaello, di proprietà di boss condannati, dopo i rogiti, in via definitiva (anche se, all’epoca degli accordi, a livello istituzionale, era già nota la loro riconducibilità a Cosa nostra). Ci riferiamo ai già citati fratelli Buscemi e al loro cognato Bonura, mafiosi di cui la celebre toga si è occupata successivamente per motivi di lavoro. «Non abbiamo (con Lo Forte, ndr) mai pensato minimamente che il fatto che dieci anni prima avevamo comprato casa dall’immobiliare Raffaello ci impedisse di fare questi processi» ha spiegato candidamente Pignatone. Il quale non si era astenuto neanche quando le indagini avevano coinvolto la Sirap, azienda controllata dall’Espi guidata da suo padre, politico dc, famoso per avere tentato in Sicilia l’esperienza del cosiddetto «Milazzismo», ovvero un governo regionale Dc-Msi sotto la presidenza di Silvio Milazzo. «Il fatto che mio padre fosse presidente di Espi lo sapevano tutti i coassegnatari (del fascicolo, ndr) e anche i carabinieri, nonché tutti gli altri appartenenti al pool quando hanno avuto il rapporto (Mafia e appalti, ndr)», fa mettere a verbale. «Nessuno di questi soggetti ha sollevato alcuna perplessità. Non c’è una richiesta di intercettazione di questo procedimento che non sia passata dalle mani di Giovanni Falcone che, dunque, le conosceva anche se non ha mai avuto il rapporto. Anche la Procura di Caltanissetta ha escluso che ci fosse un obbligo di astensione a mio carico», ha rimarcato Pignatone.falcone e borsellino Il quale ha provato, come avete letto, a ripararsi sotto l’ombrello protettore di Falcone. In una memoria difensiva, avrebbe addirittura fatto riferimento a un affare immobiliare sospetto del giudice eroe. De Luca, a verbale, lo smentisce: «È una sua lontana parente che loca un appartamento che, tra l’altro, era stato acquistato da un altro soggetto, quindi da un terzo». Pignatone minimizza: «Era un sentito dire…». E si definisce «lietissimo» della mancata conferma. Ma informa la Procura nissena che pure Falcone, comunque, quando era il suo capo, sarebbe stato a conoscenza di quei discussi acquisti e non avrebbe avuto nulla da ridire. Pignatone rivendica anche i buoni rapporti con Paolo Borsellino: «Non abbiamo mai avuto contrasti. Ci incontravamo spessissimo in chiesa, anche perché eravamo tra i pochi dichiaratamente cattolici».Ma a mettere in imbarazzo Pignatone è soprattutto un’intercettazione del 22 ottobre 2024 in cui il boss Bonura (tuttora in carcere) parla del magistrato e della sua famiglia. «A Pignatone gli abbiamo venduto le case», afferma Bonura. «Io mi ricordo la madre di Pignatone, mi prendeva a braccetto: andiamo a vedere qua, andiamo là; sì signora, sì signora...». Quando De Luca gli legge queste parole, Pignatone protesta: «Mia madre, buonanima, era una persona cordiale […], ma che possa prendere sotto il braccio un Bonura o chiunque altro, lo escludo». Ma la lettura delle affermazioni di Bonura prosegue: «Quanti milioni si sono fottuti Pignatone quando fu del partito di Milazzo […] più ladri di loro si moriva... e se ne sono comprate proprietà da Piazza, da noi, ma proprio un mare, oltre all’appartamento che aveva Pignatone, c’ha magazzini, c’ha uffici, ha tante cose».Bonura, in questo passaggio, cita un altro personaggio chiave, il costruttore edile Vincenzo Piazza, uomo d’onore del mandamento di Boccadifalco, con a capo Salvatore Buscemi. Per il pentito Salvatore Cancemi, «era «notorio» che il dottor Pignatone «fosse nelle mani» di Piazza a cui, nel 1997, il tribunale ha fatto sequestrare mille miliardi di lire e 122 appartamenti.Con Piazza avevano già fatto affari i genitori di Pignatone: «Mia madre e mio padre hanno comprato un appartamento da Piazza, da solo e non in società, in via Uditore, quando io ero ragazzo. Nello stesso stabile, abitavano vari componenti della famiglia Piazza, ma, se non erro, non Vincenzo Piazza». In quello stabile Pignatone vive sino al 1976. Quell’anno, con la moglie, sposta la residenza vicino ai suoceri. Nel 1978 i Pignatone iniziano a firmare i compromessi per i nuovi appartamenti, quelli incriminati, la cui compravendita si conclude, in gran parte, nel 1980. Bonura, fa riferimento anche a Lo Forte, che, pochi giorni prima della morte di Borsellino, chiese l’archiviazione per la tranche principale di mafia e appalti: «Quello era amico di Vizzini (Carlo, ex segretario del Psdi e più volte ministro, ndr)».Essì perché, come detto, nella palazzina incriminata acquistò casa pure l’ex procuratore di Messina e Pignatone, nel verbale riassuntivo, fa annotare: «Nel periodo dell’acquisto delle case, io e Lo Forte eravamo sempre insieme. Quando comprai casa glielo dissi. In quel periodo anche lui cercava casa».il ruolo della madre Tornando all’intercettazione di Bonura, Pignatone definisce le parole del boss «fesserie», in particolare sul «milazzismo»: «Bonura non può sapere niente perché ha la mia età ed eravamo bambini […] peraltro è un’esperienza fallimentare dal punto di vista dei risultati politici, storici, eccetera, e anche personali di mio padre», deputato dell’assemblea siciliana in quanto «pregato dal vescovo» ed ex presidente diocesano dell’Azione cattolica.De Luca si mostra più interessato alla vicenda delle case: «Presidente Pignatone, torniamo ora molto indietro nel tempo. I rapporti suoi e della sua famiglia, per quanto lei ha conoscenza, con Vincenzo Piazza, Francesco Bonura e i fratelli Buscemi?». Pignatone non elude la domanda: «I rapporti sono che ci abbiamo comprato degli immobili...». Spiega anche come lui e la madre siano finiti ad acquistare gli appartamenti dall’agenzia immobiliare della mafia: «Nella mia famiglia chi si è sempre occupata delle cose della famiglia, non è mai stato mio padre, è sempre stata mia madre. […] Con tutta sincerità, la ricerca di questi appartamenti l’abbiamo fatta io e mia madre […] abbiamo girato tantissimo».E alla fine sono finiti in braccio ai mafiosi. Come? Forse perché qualcuno della famiglia Piazza, loro vicini di casa, aveva origliato qualcosa sulla loro ricerca: «Stavamo nello stesso palazzo, se ci ha sentito, non Piazza, ma suo padre o sua sorella, dire “stiamo cercando casa”, può darsi pure. “Venga che mio fratello sta costruendo”». Pignatone precisa, però, che la sua è una mera ipotesi fatta a 50 anni di distanza. I rapporti con i boss, durante la compravendita, sarebbero stati costanti e Pignatone non esclude che la madre possa avere mostrato «una cordialità di rapporti con quello che ci vendeva l’appartamento, che poi di fatto in cantiere stava principalmente Bonura. Piazza non c’era mai. Salvatore Buscemi spuntò per l’atto o poco più […] io quello conoscevo di più. Giuseppe no. Antonino credo di non averlo mai visto». Poi ha un lampo: «No, quello l’ho visto a un interrogatorio».i conti non tornano Nel 1982, invece, quando Bonura finisce in un’inchiesta con l’accusa di omicidio, Pignatone chiede di astenersi. Salvo, poi, comprare, nel 1983 un garage sempre da lui. «Nell’82 io non so se già pensavo di comprare il garage nell’83 oppure no, penso di no», è la giustificazione dell’ex pm. Bonura era quello con cui parlare per «la scelta delle piastrelle, fare l’armadio a muro». Ma anche per le varianti, almeno due quelle effettuate nella casa della mamma di Pignatone. Un argomento affrontato nella consulenza richiesta dalla Procura all’ingegner Salvatore Esposito del 30 giugno 2025 sul patrimonio immobiliare dei Pignatone. Secondo l’esperto quegli interventi avrebbero dovuto far crescere il valore della casa di almeno un 10%. Ma il prezzo non cambiò, anzi. De Luca riassume così l’analisi dell’ingegnere: «Sinteticamente, il consulente afferma, secondo metodi scientifici […] che il valore reale di mercato di tutti questi immobili […] corrisponde alla metà del valore reale rispetto alla media ponderata di tutti gli altri atti di compravendita fatti all’Immobiliare Raffaello o nello stesso immobile… risulta sempre un 10% in meno circa del valore...». I pm concludono che il valore reale dell’immobile acquistato dall’indagato sarebbe stato «il doppio» rispetto a quello che Pignatone «ha dichiarato di avere effettivamente corrisposto, perché il prezzo, invece di 70, era 130».Pignatone concede che, in effetti, un 10% in meno potrebbe averlo pagato e conferma quanto già scritto nella memoria difensiva: ha versato 55 milioni in chiaro (il prezzo ufficiale) e 20 in nero: «Possiamo avere pagato qualcosa di meno rispetto ad altri acquirenti, ci può stare, fermo restando che se noi ci basiamo sui prezzi degli atti […] ha poco significato; io ho pagato un x% in nero, diciamo così, sicuramente gli altri hanno pagato pure una quota in nero...». De Luca domanda: «Per i suoi prossimi congiunti è valsa la stessa regola?». Pignatone esclama: «Sicuramente, visto che noi marciavamo a gruppo unico, quindi hanno pagato anche loro in nero». Parola di magistrato. «Noi possiamo avere pagato qualcosina in meno... ci sta! Noi siamo stati tra i primissimi. Abbiamo fatto un grosso investimento cioè non è che abbiamo preso un appartamento, abbiamo comprato quattro appartamenti, l’ufficio, garage eccetera, è chiaro che il costruttore che sta costruendo, che ha appena iniziato a costruire […] fa uno sconto, chiamiamolo sconto di famiglia». Per Pignatone, tenendo conto del black, le case sarebbero state pagate a prezzo di mercato.dubbi sugli assegni Già nel 1995, quando venne indagato con l’accusa di essersi fatto corrompere, aveva depositato le matrici degli assegni che avrebbe consegnato all’immobiliare e, grazie a questo materiale, era stato archiviato. Ma adesso la Procura ha dubbi anche su quella documentazione: «Nella ricostruzione degli assegni e delle date la Finanza ci ha detto che ci sono delle discrasie, non combaciano perfettamente». A verbale, Pignatone ribatte: «Il succo è che abbiamo pagato la cifra dell’atto più una somma significativa». In nero.La Procura gli chiede se conoscesse la relazione di minoranza in Antimafia di Pio La Torre, il parlamentare comunista ucciso dalle cosche. Un documento datato 1976 in cui i costruttori in rapporti con i Pignatone erano indicati come uomini delle cosche. L’ex procuratore di Roma dice di avere letto la relazione solo alla fine degli anni Ottanta, quando è entrato nel Pool antimafia. «Nella vita sociale, economica, culturale di Palermo c’è un prima e un dopo il Maxiprocesso (del 1985, ndr)», conclude serafico l’indagato. «Dopo scopriamo che c’è Bonura, che c’è Buscemi». Nelle cui case Pignatone, la moglie e i fratelli vivono ancora oggi.
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