
L'accordo sull'ex Ilva prevede l'abbandono del fossile. E un doppio aumento di capitale.Approvato il green deal europeo e l'acciaio di Stato diventa più verde. Nel magico mondo del governo Conte i due accordi vengono spacciati come nella vecchia pubblicità del Maxi bon, «two gust is megl' che one». Da una parte c'è l'intesa firmata nella notte al Consiglio Ue sulla neutralità climatica che promette il taglio delle emissioni di almeno il 55% entro il 2030 contro il 40% attuale. Nelle stesse ore in Italia il governo chiudeva l'accordo anche sull'Ilva che dopo 25 anni torna nelle mani dello Stato, o meglio in quelle della Invitalia guidata da Domenico Arcuri. Ed ecco che l'acciaio diventa subito più verde. All'ex Ilva di Taranto «ci sarà l'idrogeno, realizzeremo il progetto più avanzato, più serio e solido di transizione energetica», ha detto ieri il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, durante una conferenza stampa a Bruxelles. Ricordando che anche se «non si fa questo dall'oggi al domani», l'accordo prevede già «che lo stabilimento abbandoni il fossile e che in prospettiva diventi tutto verde, nell'arco temporale già considerato nell'ambito del business plan». Gli ha fatto eco il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, secondo cui l'accordo di co-investimento tra Invitalia e Arcelor Mittal «prevede un significativo impegno finanziario da parte dello Stato italiano e rappresenta un passo importante verso la decarbonizzazione dell'impianto di Taranto attraverso l'avvio della produzione di acciaio con processi meno inquinanti», ha scritto in un post su Facebook. Stessa musica viene suonata al Nazareno: «Il governo fa investimenti importanti per ricercare un nuovo e più avanzato equilibrio tra diritto alla salute e all'ambiente e produzione e occupazione. Si tratta dell'avvio di un processo di transizione ecologica che deve essere più coraggioso e tendere progressivamente all'obiettivo della completa decarbonizzazione, anche valutando nel tempo un mix di tecnologie capaci di produrre, a prezzi competitivi, acciaio pulito», scrivono in una nota Chiara Braga, responsabile Ambiente, e Nicola Oddati, coordinatore dell'iniziativa politica Pd. «Tanto più», viene aggiunto, «alla luce dell'intesa raggiunta dal Consiglio europeo sugli obiettivi di riduzione delle emissioni di almeno il 55% al 2030».Ma il futuro dell'Ilva di Taranto è già davvero così «verde» come viene dipinto? La mano pubblica entrerà nella società italiana Am Investco con un doppio aumento di capitale: un primo aumento da 400 milioni darà a Invitalia, che è controllata dal ministero dell'Economia, il 50% dei diritti di voto della società. A maggio del 2022 è programmato, poi, un secondo aumento di capitale, che sarà sottoscritto fino a 680 milioni da parte di Invitalia e fino a 70 milioni di parte di Arcelor Mittal. Questo assetto avrà effetti anche nella governance con la presidenza di nomina Invitalia e l'amministratore delegato di fiducia Mittal, confermata quindi nel suo ruolo Lucia Morselli. «Circa un terzo della produzione di acciaio», sostengono Mef e Mise, «avverrà con emissioni ridotte, grazie all'utilizzo del forno elettrico e di una tecnologia d'avanguardia, il cosiddetto “preridotto", in coerenza con le linee guida del Next generation Eu». Sborsati i 400 milioni e preservati i posti di lavoro (si prevede alla fine del processo il completo assorbimento di 10.700 dipendenti) con lo slogan di una nuova Ilva «super ecologica», però, sono ancora confusi sia il piano industriale sia i dettagli della futura gestione pubblica del siderurgico più grande d'Europa e di tutti gli impianti che il gruppo possiede in Italia. Se l'orizzonte è incerto, il passato ha invece dimostrato quali danni, anche ambientali, può fare l'acciaio di Stato. Il rilancio dell'Ilva avrebbe potuto pagarlo un privato, ora invece il conto verrà presentato agli italiani che sono già molto «green». O meglio, al verde.
Mattia Furlani (Ansa)
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