2021-03-20
La verità di Benotti ai magistrati: «Quando Arcuri mi parlò degli 007»
Il verbale d'interrogatorio del gip al mediatore d'oro: «I 12 milioni di provvigioni? Un regalo del mio socio. Dal commissariato chiesero anche dei guanti, ma i loro calcoli prevedevano uomini con una mano sola»Non sappiamo se la colpa sia della trascrizione automatica, ma a chi lo legge, il verbale di Mario Benotti davanti a Paolo Andrea Taviano, il giudice per le indagini preliminari di Roma che ha firmato la sua interdizione dall'attività d'impresa (misura poi revocata) sembra lo sfogo di un uomo arrabbiato che se la prende con gli investigatori della Guardia di finanza, di cui ha più volte messo in dubbio il lavoro, con i giornalisti e anche con il pm che bacchetta in un paio di occasioni.In più passaggi ha respinto l'accusa di traffico di influenze illecite, precisando di essere sceso in campo per procacciare i dispositivi di protezione individuale su richiesta dell'ex commissario dell'emergenza Covid Domenico Arcuri e non certo di propria iniziativa.La ricostruzione di Benotti è sembrata confusa in molti passaggi e quasi autolesionistica quando ha insistito sul fatto che i 12 milioni di provvigioni a lui destinati siano stati una gentile concessione del socio Andrea Vincenzo Tommasi, che avrebbe deciso di spartire la torta «a sua insaputa». Suscitando l'ironia del pm Gennaro Varone, il quale a un certo punto ha domandato: «Un giorno Tommasi le ha fatto una telefonata, le ha mandato una mail in cui le ha detto: guarda […] “Ti daremo 12 milioni di euro"?». Risposta di Benotti: «No, fu stabilita una percentuale sulla base delle vendite che sarebbero state fatte». E allora Varone rintuzza: «D'accordo. Ma questa comunicazione di Tommasi vi è arrivato, come dire, come un fulmine a ciel sereno?». Benotti capisce di rischiare di passare per «sciocco», ma ribadisce che sia andata come ha già detto.Giudice e pm sono sembrati molto interessati all'incontro del 7 maggio 2020, quello in cui Arcuri avrebbe chiesto improvvisamente a Benotti di interrompere i loro rapporti.Si tratta di un passaggio che vale la pena di leggere integralmente: «Il giorno 7 di maggio intorno all'ora di pranzo vengo raggiunto da una telefonata del Consigliere Mauro Bonaretti», suo ex «capo» quando guidava il gabinetto del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti. Ma era stato anche «segretario generale di Palazzo Chigi» e lì Benotti l'aveva conosciuto. Come già raccontato in tv Bonaretti chiese al giornalista un appuntamento e poi si presentò all'incontro accompagnato da Arcuri, che «sbucò» all'improvviso dietro all'ex capo di gabinetto. Benotti racconta: «Arcuri, che io per altro non vedevo da tempo, congedò il dottor Bonaretti, pregandolo di lasciarci soli, e, con un certo imbarazzo, mi spiegò che a Palazzo Chigi era stato informato che era in corso un'indagine, una non meglio precisata indagine, forse dei servizi e quindi mi pregò di non disturbarlo più. Cosa che ho fatto». Agli inquirenti l'indagato specifica che «forse dei servizi» non era una supposizione, ma erano le esatte parole pronunciate dall'allora commissario. «Arcuri, che era molto imbarazzato e anche molto agitato, proveniva dalla riunione del Copasir e mi disse che c'era una questione che riguardava gli aerei israeliani». Sul punto il giornalista fa un inciso e spiega che «l'Alitalia rifiutò di occuparsi di questa cosa», ovvero del trasporto delle mascherine, e che anche «l'aereonautica militare spiegò di non potersene occupare» e che ci fu addirittura chi pensò «di mandare dei bombardieri C17 (in realtà aerei da traporto tattico, ndr) della Nato in Cina». Suscitando questo commento di Benotti: «Non sfugge che mandare dei bombardieri C17 della Nato in Cina era una cosa che forse poteva essere fraintesa?». Per questo, grazie alle conoscenze di Tommasi, venne ingaggiata la compagnia israeliana El Al, la quale aveva fatto la proposta migliore. «Chiaramente vi fu un certo di numero di aeroplani israeliani che arrivavano dalla Cina» continua Benotti, «e atterravano in Italia. Un accenno molto velato Arcuri su questo me lo fece, ma nulla di specifico». L'indagato spiega anche che tra aprile e luglio sono atterrati alla Malpensa di Milano 252 voli El Al: «Presidente, 252 aerei che arrivano, chiaramente battenti bandiera israeliana, che arrivano dalla Cina e vanno alla Malpensa, sicuramente possono avere attratto gli interessi dei servizi di informazione e sicurezza del Paese, è anche giusto che lo sia».Il pm Fabrizio Tucci chiede perché Arcuri gli abbia fatto questa confidenza. Risposta: «Dovrebbe chiederlo al commissario […]. Io sono rimasto, l'ho detto, molto perplesso e non feci altre domande […]. Noi ritornammo verso il dottor Bonaretti, ci salutammo io e il commissario Arcuri... non è vero che non l'ho più visto, l'ho incontrato sul binario di una stazione mentre io tornavo da Milano e lui andava a Napoli». Il magistrato incalza: «Quindi, durante questo colloquio Arcuri le disse, per essere chiari, che c'era indagine forse dei servizi...». Benotti: «Forse dei servizi». Pm: «Che riguardava i voli israeliani?». Benotti: «No, non ho detto questo. Le ho detto che tra le cose che mi disse, fece passare questo concetto». Pm: «Non disse espressamente quale fosse l'oggetto di questa indagine». Benotti: «No. accennò per giustificare che c'era il fatto degli aeroplani...».Durante l'interrogatorio l'indagato ha spiegato per quale motivo l'ex commissario lo abbia incaricato di trovare i dispositivi di protezione: «Io prima ancora che scoppiasse il caso delle mascherine, stavo frequentando per motivi diversi il dottor Arcuri, stavo preparando un libro […] Conoscevo il commissario da diverso tempo, avendo fatto attività di consulente per il governo […] e con Arcuri in quel periodo ci frequentavamo per varie... poi avevamo una conoscenza personale […]». Benotti racconta di essere stato ingaggiato prima che Arcuri diventasse commissario, quando l'ad di Invitalia era stato aggregato alla Protezione civile: «Chiese a me, come immagino ad altri, di aiutare a trovare dispositivi personali di protezione, segnatamente mascherine […]. Avevo dei rapporti di carattere internazionale e ho cercato di fare tutto quello che fosse nelle mie possibilità per aiutare il dottor Arcuri […]. Nel frattempo il dottor Arcuri venne nominato ufficialmente commissario all'emergenza, quindi, dotato di tutti i poteri necessari […]». Agli inquirenti interessa approfondire anche la questione della fornitura di guanti ancora in trattativa a novembre, alla vigilia dell'esplosione dell'inchiesta. Benotti mette a verbale una versione che attribuisce la richiesta alla struttura commissariale con dei presunti retroscena lunari: «il dottor Fabbrocini (Antonio, dirigente di Invitalia assegnato agli acquisti nella struttura commissariale, ndr) telefona a Tommasi e gli dice che aveva bisogno di guanti, di cercarli. […] La prima volta che cercavano i guanti ritenevano che ogni essere umano avesse soltanto una mano, perché avevano fatto dei conti, avessero soltanto una mano e che i guanti andassero cambiati ogni 24 ore. Dovremmo spiegargli che ogni essere umano di mani ne ha due». Gli inquirenti insistono per sapere se la trattativa sia partita dall'ex commissario o da Benotti e i suoi soci. Per il giornalista la risposta dovrebbe trovarsi nelle carte: «A un certo momento mentre la Guardia di Finanza evidentemente faceva le sue intercettazioni, che spero abbia fatto bene, avrebbe dovuto intercettare una telefonata del dottor Fabbrocini all'ingegnere Tommasi che aveva bisogno di guanti. […] non è che qualcuno è andato con il fucile dal commissario o in maniera occulta o perché non si sa che cosa ho fatto al commissario Arcuri […]. Lei ha presente la personalità del commissario Arcuri? Pensa che io possa essere uno che è nelle condizioni di andare a dire a Arcuri faccia una cosa piuttosto che un'altra?». Ai posteri l'ardua sentenza.