- In arrivo la direttiva sulla retribuzione garantita per legge. In realtà c’è un’ampia forbice tra i Paesi (21 su 27) che lo adottano: dai 2.256 euro del Lussemburgo ai 332 della Bulgaria. L’obiettivo è politico e salderà l’asse statalista tra i grillini, il Pd e la Cgil.
- Salario minimo: Per la Cisl va «esteso e rafforzato» mentre la Uil teme che sostituisca i contratti.
In arrivo la direttiva sulla retribuzione garantita per legge. In realtà c’è un’ampia forbice tra i Paesi (21 su 27) che lo adottano: dai 2.256 euro del Lussemburgo ai 332 della Bulgaria. L’obiettivo è politico e salderà l’asse statalista tra i grillini, il Pd e la Cgil.Salario minimo: Per la Cisl va «esteso e rafforzato» mentre la Uil teme che sostituisca i contratti.Lo speciale contiene due articoli.Dopo l’ultimo round negoziale di ieri (attraverso una faticosa triangolazione tra Parlamento europeo, Consiglio e Commissione), dovrebbe essere illustrata oggi dal commissario europeo al Lavoro, il lussemburghese Nicolas Schmit, la direttiva europea sul salario minimo, che poi sarà oggetto delle consuete procedure di recepimento nazionale. La grancassa mediatica è pronta: già 21 paesi Ue su 27 prevedevano una misura del genere, e ora anche gli altri 6 (Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Italia, Svezia) dovranno in qualche modo adeguarsi. Dicono i sostenitori più accesi della novità: in questo modo sarà fissata un’asticella di dignità nella retribuzione al di sotto della quale non si potrà scendere. La sensazione è che, qualcuno colposamente, qualcuno dolosamente, si sottovaluti l’effetto economico sulle imprese e, a cascata, il rischio che la misura possa rivelarsi «job killer», cioè un disincentivo ad assumere di più anziché un benefico incoraggiamento a farlo.In ogni caso, vale la pena di esaminare quattro nodi che restano da sciogliere. Il primo ha a che fare con intenzioni antiche dei grillini, che colgono un oggettivo successo, dal loro punto di vista. Non c’è solo il Giuseppe Conte che ora fa facile demagogia e cerca una bandierina da sventolare, parlando di «paghe da fame» che, finalmente, verrebbero superate. Il lavorio grillino viene da lontano, da quando la proposta fu lanciata alcuni anni fa e fu celebrata sui giornali a fine 2020 dall’intervento a doppia firma di Nunzia Catalfo (ministra grillina del Lavoro nel gabinetto Conte bis) e dalla sua collega spagnola Yolanda Diaz (esponente del Partito comunista di Spagna e alleata di Podemos). Il secondo nodo ha a che fare con l’entità del salario minimo, visto che tra i paesi Ue che lo adottano, secondo Eurostat, c’è un autentico abisso: si va dai 2.256 euro mensili del Lussemburgo ai 332 della Bulgaria. E di mezzo c’è tutto un ventaglio ultradiversificato: i 1.774 euro dell’Irlanda, i 1.621 della Germania, i 1.605 della Francia, ma pure i 515 della Romania e i 541 dell’Ungheria. Di tutta evidenza, un’omogeneizzazione totale sarebbe impensabile, viste le strutture letteralmente non paragonabili delle differenti economie nazionali. L’escamotage adottato dalla direttiva sarà infatti quello di «istituire un quadro per fissare salari minimi adeguati ed equi»: operazione che poi andrà declinata nazione per nazione. Il terzo nodo è tutto politico. La strada maestra per affrontare l’oggettivo e pesantissimo problema dei salari ci sarebbe, ma va in tutt’altra direzione rispetto alle mire di statalisti e dirigisti: si tratterebbe di puntare su uno choc fiscale, su un potente taglio di tasse, ad esempio, come la Verità suggerisce da mesi, attingendo alla cifra monstre degli 80 miliardi stanziati da qui al 2029 per il reddito di cittadinanza. E invece in troppi vorrebbero tenersi il sussidio grillino, non mettere in agenda nessun consistente taglio fiscale, e semmai scaricare solo sulle imprese, già gravate da mille fragilità, costi ulteriori. Il quarto e ultimo nodo ha a che fare con un tema storicamente rovente: cosa debba essere coperto dalla legge e cosa debba essere lasciato alla contrattazione. Esiste una tradizione riformista pro sussidiarietà che tenderebbe a lasciare più spazio alla contrattazione in generale, e in particolare alla contrattazione decentrata (anche aziendale), affidando a quel momento, ad esempio, la valorizzazione della produttività. Esiste anche una tradizione tutt’altro che riformista, anzi spesso assai forte nella Cgil e nella sinistra più radicale, che è ostile, ma per ragioni opposte, alla contrattazione decentrata, e preferisce la contrattazione collettiva nazionale. I motivi di questo orientamento sono evidenti: maggiore rigidità del sistema, e soprattutto maggiore soggettività politica (tradotto: potere di ricatto) del sindacato nazionale. E allora come si pone questa componente massimalista rispetto al nuovo scenario? Ha deciso di provare a sfruttare il nuovo contesto per allargare i propri spazi. Le avvisaglie già si coglievano nella lettera congiunta Catalfo-Diaz del 2020, in un passaggio chiave in cui le due ministre scrivevano: «Ma un pieno coinvolgimento delle parti sociali porta con sé anche altri vantaggi. Ad esempio, la stessa contrattazione collettiva ne beneficerà in termini di campo d’azione». Ecco l’espressione rivelatrice: «campo d’azione». Ora l’idea dei sindacati e di chi fa sponda con loro è di usare il nuovo strumento come cavallo di Troia per estendere il loro ambito di intervento, e portare la rappresentanza sindacale in modo capillare anche dove essa è stata storicamente meno presente. «La contrattazione da sola non basta più ma va integrata con lo strumento della rappresentanza. Bisogna trovare il modo per correlarle», ha detto di recente il ministro Andrea Orlando. L’obiettivo è fin troppo chiaro: penetrare nel sistema delle piccole e medie imprese. Con gli effetti che ciascuno può immaginare.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-ue-impone-un-salario-che-non-esiste-2657469083.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="governo-spaccato-i-dubbi-della-lega-sindacati-in-ordine-sparso-sui-rischi" data-post-id="2657469083" data-published-at="1654607500" data-use-pagination="False"> Governo spaccato, i dubbi della Lega. Sindacati in ordine sparso sui rischi La direttiva europea sul salario minimo per legge plana sull’Italia spaccando il governo. Il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta, ha detto un no forte e chiaro all’introduzione per legge di una soglia retributiva di base comune a tutti i lavoratori, mentre il M5s continua ad essere favorevole a cominciare dal leader Giuseppe Conte che aveva chiarito: «Se per alcuni politici è normale che si prendano paghe da fame, di 3-4 euro lordi l’ora, allora diciamo che la politica del M5s non è questa. Non accetteremo mai fino a quando non approveremo il salario minimo». Rincara l’eurodeputata grillina Daniela Rondinelli: «La direttiva rappresenta l’occasione per l’Italia di dare risposte concrete alla povertà lavorativa e riformare il sistema di contrattazione collettiva impedendo i contratti pirata che generano dumping nel mercato del lavoro. I salari bassi non solo compromettono il potere di acquisto dei lavoratori ma incidono anche negativamente sulla capacità di crescita della nostra economia». Frena, invece, il ministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti (Lega): «Il salario minimo non deve essere un tabù ma bisogna stare attenti a come si fa», come spiega il deputato della Lega e responsabile del dipartimento Lavoro, Claudio Durigon: «No al salario minimo per legge ma rinnovare i contratti scaduti e defiscalizzare la produttività. La legge sul compenso minimo rischierebbe solo di provocare un allineamento al ribasso dei salari. In Italia la contrattazione collettiva è applicata all’85% dei lavoratori e ha portato ai lavoratori stessi tante opportunità e tanti diritti, basti pensare al welfare o alla contrazione di secondo livello. Oggi dobbiamo incentivare ancor di più l’estensione della contrattazione ed eliminare quei contratti che fanno dumping». Più disponibile il ministro delle Infrastrutture, Enrico Giovannini, secondo cui la misura sarebbe un modo per «per assicurare un salario dignitoso a tanti lavoratori». Sulla stessa lunghezza d’onda anche Maria Cecilia Guerra di Leu, sottosegretaria all’Economia: «Sono anche favorevole a una legge sul salario minimo che, però, agganci il salario alle altre tutele stabilite dalla contrattazione collettiva, che nel nostro Paese deve restare particolarmente rilevante». Il timore che una soglia di base degli stipendi rischi di incidere negativamente sulla contrattazione collettiva e appiattire al ribasso le buste paga, ha scatenato i distinguo dei sindacati. Per il segretario della Cisl, Luigi Sbarra, «il salario minimo va esteso e rafforzato attraverso la contrattazione», mentre il leader della Uil, Pierpaolo Bombardieri malgrado sia favorevole, ha una sola preoccupazione: «Non sostituisca i contratti». «Non dobbiamo ascoltare l’Europa solo quando ci dice di tagliare le pensioni o cancellare l’articolo 18 o tagliare la spesa sociale» ha detto il segretario della Cgil, Maurizio Landini. «Se finalmente», ha continuato, «tutta l’Ue si rende conto che salari bassi e lavoratori precari senza diritti mettono in discussione la tenuta sociale, bisogna ascoltarla. La questione va affrontata in modo intelligente, dal salario minimo si può arrivare in Italia a una legge sulla rappresentanza che consenta ai lavoratori di eleggere i loro delegati e di votare sugli accordi che li riguardino». Quella del salario minimo «mi pare la classica arma di distrazione di massa rispetto ai problemi del lavoro in Italia, perché il salario minimo riguarda una fetta di lavoratori già garantiti dal contratto nazionale di lavoro, dentro cui tendenzialmente c’è un salario minimo» ha detto invece la leader di FdI Giorgia Meloni.
L' Altro Picasso, allestimento della mostra, Aosta. Ph: S. Venturini
Al Museo Archeologico Regionale di Aosta una mostra (sino al 19 ottobre 2025) che ripercorre la vita e le opere di Pablo Picasso svelando le profonde influenze che ebbero sulla sua arte le sue origini e le tradizioni familiari. Un’esposizione affascinante, fra ceramiche, incisioni, design scenografico e le varie tecniche artistiche utilizzate dall’inarrivabile genio spagnolo.
Jose Mourinho (Getty Images)
Con l’esonero dal Fenerbahce, si è chiusa la sua parentesi da «Special One». Ma come in ogni suo divorzio calcistico, ha incassato una ricca buonuscita. In campo era un fiasco, in panchina un asso. Amava avere molti nemici. Anche se uno tentò di accoltellarlo.