2019-11-24
La Trenta è un nuovo, piccolo Falstaff. Ha scordato la sacralità dello Stato
L'ex ministra avrebbe dovuto fare tesoro della lezione di William Shakespeare: se chi governa non vive il suo ruolo di servitore della comunità, diventa schiavo di interessi e comodità personali (come la casa in centro a Roma). Nella melmosità quotidiana dell'era giuseppina il grido dell'ex ministra della difesa Elisabetta Trenta: «La casa grande mi serve! Ora ho una vita di relazioni» si è alzato con sconsiderata protervia sopra al tintinnio di monetine che già accompagna l'attività politica di ogni giorno, come puntualmente riferiscono i colleghi della Verità. Un grido bizzarro e perentorio, diverso dalle scuse a mezza bocca degli avvocati degli altri incolpati quotidiani della politica («siamo sicuri di essere nel giusto», «abbiamo rispettato la legge»...).Nelle parole fuori luogo dell'ex capo dei carri armati c'è dolore assieme a una prepotenza carrista, le pene di un passato dove non ti filava nessuno assieme alle ambite dolcezze un po' scrostate dell'ambiguo generone romano, che ora ti accoglie con i suoi portoni umbertini e i suoi monumenti sotto casa, come da cartolina. Trenta (e simili) non ci piacciono ma sono tuttavia personaggi, con una loro sgradevole verità. Che vale la pena di vedere bene, perché è all'origine di buona parte dei problemi dell'Italia, e in genere dei Paesi in crisi.Si tratta della riluttanza di quelli che dovrebbero essere i servitori dello Stato, i politici e i funzionari in generale, a moderare i propri appetiti e desideri, e soprattutto a non soddisfarli a spese dei cittadini. Un problema antico, che ispira da sempre una quantità di riflessioni letterarie, filosofiche; anche teatrali, dove a rappresentarlo è Falstaff, amico della giovinezza scapigliata del principe Hal, figlio del re d'Inghilterra Enrico IV. Ne parla con acutezza, nel libro Il demone di Shakespeare pubblicato in questi giorni da Rizzoli, Harold Bloom, grande critico ed esperto del teatro di Shakespeare, morto poche settimane fa a 89 anni.Falstaff (a differenza di Trenta & co.) riconosce perfettamente il proprio problema: l'irresistibile spinta a soddisfare i propri desideri immediati. Come dichiara in un crescendo di franchezza nell'Enrico IV: «La mia pancia, la mia pancia, la mia pancia mi rovina». È ciò che Sigmund Freud chiamerà qualche secolo dopo la «pulsione orale» (la più potente): divorare tutto, persone, cose, affetti, beni, pur di soddisfare i propri appetiti.Invece - anche allora - il servitore dello Stato doveva tenere a bada i propri desideri, e non violare leggi, regolamenti e alla fine danneggiare la comunità per cui lavora. Gli appetiti extralarge già nell'Inghilterra della regina Elisabetta I erano una debolezza che il servitore di uno Stato ben funzionante non poteva permettersi. E infatti a Falstaff si fa notare: «I vostri scherzi, un giorno o l'altro vi porteranno sul palo della forca». Un rischio che oggi non si corre, ma che nel dramma preannuncia ciò che accadrà.È appunto il controllo degli appetiti fuori misura (sempre spia di problemi personali che diventano poi gravi anche per gli Stati ) lo snodo centrale non solo della vita di Falstaff, ma soprattutto della buona amministrazione dello Stato e della visione etica che vi presiede.Nell'Enrico IV e V di Shakespeare affinché la nazione si salvi e si sviluppi occorre un cambiamento profondo nel figlio del re, il principe che fino a poco prima della morte del padre ha partecipato agli scherzi e alle sregolatezze e abusi dell'esuberante e narcisista Falstaff e della sua banda. Ed è ciò che in effetti accadde. Lo scapestrato principe Hal nel momento in cui Enrico IV morì rinunciò spontaneamente non solo ai propri desideri egoisti (magari meno banali degli appartamentoni delle signore di cui si parla), ma anche ai legami affettivi per i compagni di bagordi di prima, a cominciare da Falstaff che ne era l'ispiratore, e diventò così Enrico V, il vero fondatore della monarchia inglese. Una trasformazione possibile solo quando si riconosce la sacralità dello Stato, di cui il re per primo diventa il devoto e disinteressato servitore.Senza questo cambiamento, senza un vertice che viva la propria missione come sacra, il personale dello Stato diventa fatalmente una banda di profittatori, com'era quella di Falstaff. È ancora questo il problema delle democrazie contemporanee, dove l'estraneità del personale politico a qualsiasi esperienza sacrale riduce il servizio alla Nazione a una questione di interessi e comodità personali. Ciò che questi nuovi politici e funzionari perseguono con il massimo impegno diventa allora l'allontanarsi il più rapidamente possibile dalla condizione dei più poveri: la casa di prima, dignitosa ma modesta nel quartiere popolare del Pigneto, dove, come dirà l'ex ministra, «sotto si spaccia la droga» (fastidio riservato al popolo), e dove lei e il marito maggiore dell'esercito «stavamo uno addosso all'altro» dato che i locali erano tre, e non sei. È in questo precipitoso distacco dal popolo che le élite politiche perdono il contatto con coloro che dovrebbero rappresentare e diventano costose e oppressive.Si può però fare diversamente (come mostra appunto il re Enrico V), anche se i Falstaff di ieri e di oggi, non se l'aspettano. Quando in una locanda non proprio come si deve sir John Falstaff viene a sapere che Enrico IV è morto, contando sull'amicizia per il principe comincia subito a promettere regali sontuosi alle sue «relazioni», che ha lì davanti: l'alfiere Pistol cui giura «ti coprirò di onorificenze», e il mastro Shallow cui assicura «scegli qualsiasi ufficio, in tutto il paese: è tuo». E corrono a presenziare all'incoronazione del nuovo re.Durante la quale Falstaff grida: «O mio Re, mio Giove. Io parlo a te, mio dolce fanciullo». Il sovrano però, che non è già più il vanesio principe Hal, guarda freddamente l'antico compagno di disordini e dice: «Non ti conosco, vecchio. Quanto poco si addicono i capelli bianchi a uno sciocco, a un buffone. Non credere che io sia la stessa persona di prima perché Dio sa (e presto se ne accorgerà anche il mondo) che sono un altro uomo». Enrico IV è appena morto, ma Enrico V è già diventato il sovrano guerriero che per difendere la patria distruggerà l'esercito francese nell'incredibile battaglia di Azincourt. Vanità e piaceri sono alla spalle; ora deve occuparsi della Nazione. In questa nuova visione non c'è più spazio per volgari soprusi: «Ti proibisco di avvicinarti alla nostra persona per un raggio di 10 miglia», intima a Falstaff il suo antico allievo di vanità. Enrico V non ha più bisogno di lui perché, anche grazie ai disastri vissuti da ragazzo, sa che la vita alla Falstaff finisce in morte e desolazione, mentre lui deve costruire l'Inghilterra.Nelle democrazie postmoderne vanità e piaceri sono considerati quasi un dovere. Come ha scritto il filosofo Slavoj Zizek: al Super Io è stato sostituto il principio di piacere. Trenta, brava a contare ma inesperta di anima, ha creduto di poter gridare ad alta voce il nuovo principio di governo, ma ha perso. Il più, però, è ancora da fare. La cosa pubblica va considerata sacra, e l'apparato dello Stato deve servire la comunità e i contribuenti. Meglio affrettarsi a capirlo e cambiare, o saranno guai.
Pedro Sánchez (Getty Images)
Alpini e Legionari francesi si addestrano all'uso di un drone (Esercito Italiano)
Oltre 100 militari si sono addestrati per 72 ore continuative nell'area montana compresa tra Artesina, Prato Nevoso e Frabosa, nel Cuneese.
Obiettivo dell'esercitazione l'accrescimento della capacità di operare congiuntamente e di svolgere attività tattiche specifiche dell'arma Genio in ambiente montano e in contesto di combattimento.
In particolare, i guastatori alpini del 32° e i genieri della Legione hanno operato per tre giorni in quota, sul filo dei 2000 metri, a temperature sotto lo zero termico, mettendo alla prova le proprie capacità di vivere, muoversi e combattere in montagna.
La «Joint Sapper» ha dato la possibilità ai militari italiani e francesi di condividere tecniche, tattiche e procedure, incrementando il livello di interoperabilità nel quadro della cooperazione internazionale, nella quale si inserisce la brigata da montagna italo-francese designata con l'acronimo inglese NSBNBC (Not Standing Bi-National Brigade Command).
La NSBNBC è un'unità multinazionale, non permanente ma subito impiegabile, basata sulla Brigata alpina Taurinense e sulla 27^ Brigata di fanteria da montagna francese, le cui componenti dell'arma Genio sono rispettivamente costituite dal 32° Reggimento di Fossano e dal 2° Régiment étranger du Génie.
È uno strumento flessibile, mobile, modulare ed espandibile, che può svolgere missioni in ambito Nazioni Unite, NATO e Unione Europea, potendo costituire anche la forza di schieramento iniziale di un contingente più ampio.
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