2022-06-10
Auto elettrica, gongolano i costruttori e la Cina. La botta è per i cittadini
Con il passaggio obbligato all’elettrico nel 2035 i fatturati schizzeranno soprattutto nel settore del lusso. Le case brindano. Bruxelles ignora la lezione impartita da guerra e pandemia e rinuncia alla sovranità.Per chi ha un box necessario installare dispositivi e contatori. E il rifornimento potrà richiedere fino a 8 ore e 70 euro.Lo speciale contiene due articoli.Anche a 48 ore di distanza la scelta dell’Europarlamento di imporre uno stop ai motori benzina e diesel entro il 2035 appare totalmente ideologica e priva di qualunque valutazione sugli effetti. Sparirà mezzo milione di posti di lavoro. La transizione così celere infatti consentirà di dare salario a nuove figure specializzate ma solo con un rapporto uno a dieci. Aver, inoltre, fissato un paletto così drastico non tiene conto nemmeno della capacità del Continente di essere autonomo dal punto di vista degli approvvigionamenti. Quanta tecnologia dovrà essere importata dall’Asia? Perché, soprattutto, esporsi a tale pericolo? Senza contare il fatto che affidarsi a una sola strada tecnologica uccide lo sviluppo di tutte le altre. Le mette letteralmente fuori mercato, nel senso che uccide qualunque altro mercato. Dunque non ci sarà sviluppo per i motori a idrogeno. Non si studierà alcuna versione di diesel in grado di consumare un litro di carburante per 100 chilometri. E quindi nei fatti si renderanno tutte le aziende dipendenti dall’elettricità. E di base vulnerabili a numerosi eventi esterni. La domanda di base è: perché? Sicuramente uno dei fattori che ha spinto il Parlamento nella direzione della transizione hard è stata la lobby delle case automobilistiche. Per un motivo molto semplice. Più è veloce e drastico il passaggio dal motore a scoppio verso l’elettrico, più i gruppi cresceranno di valore. Un interessante e dettagliato report firmato dalla sigla indipendente Profundo spiega che per le principali case automobilistiche il passaggio alle emissioni zero alla data del 2035 consentirà una crescita del fatturato del 316% che corrisponde alla cifra monstre di 1.727 miliardi. Profundo distingue tra produttori mass market come Volkswagen, Stellantis e Toyota, per i quali la crescita sarà del 237%, e il polo del lusso (Bmw, Volvo e Mercedes) che raggiungerà il 396% di spinta. Con picchi ancor più alti. In cima alla classifica le due tedesche, Mercedes e Bmw, «rischiano» di vedere una crescita rispettivamente di 390 miliardi e di 290 con percentuali intorno al 470%. Grandi soddisfazioni anche per il gruppo Stellantis, che - sempre secondo Profundo - potrebbe registrare 200 miliardi in più di incassi. Ma il dato veramente discriminante è la differenza di incassi che le case automobilistiche si porterebbero a casa in caso di transizione lenta e senza vincoli stringenti. Lo studio dimostra che lascerebbero sul terreno ben 800 miliardi di fatturato. Il motivo si spiega facilmente. Per arrivare al 2035 si deve correre e si imporrà a milioni di automobilisti di rifare il parco auto. Comprimendo le richieste e mantenendo i prezzi alti. Già entro il 2030 le case analizzate da Profundo saranno in grado di portare a casa margini di profitto nettamente superiori rispetto a quelli attuali. Dal momento che già nel 2027 i distinti business plan (elettrico e scoppio) raggiungeranno una parità, a quel punto basterà mettere a confronto i costi di produzione per fare i calcoli futuri. Se paragoniamo il motore tradizionale con quello elettrico è facile vedere come le marginalità siano nettamente diverse e favoriscano gli incassi futuri del circuito cosiddetto green. Da qui la spinta del comparto auto (salve qualche rara eccezione) al sostegno del Fit for 55. Ovviamente la crescita del giro d’affari non è per nulla una panacea. Essa apre a interrogativi di fondo. Chi ha votato a favore della transizione hard sostiene che la crescita del fatturato porterà ricchezza anche all’indotto. Il tema di fondo però è dove sarà localizzato il futuro indotto e chi sarà padrone della filiera. La risposta è la Cina. Facile immaginare che finiremo per metterci nelle sue mani, soprattutto quando Pechino deciderà di chiudere i rubinetti come ha fatto e sta facendo con la scusa del Covid. Fermare l’invio di batterie e componenti sarà sinonimo di stop totale per il Vecchio continente privo di alternative per la mobilità. Per capire, inoltre, quanto saremo dipendenti basta analizzare il flusso della manutenzione dei veicoli. La fabbrica cinese Polestar del gruppo Geely-Volvo ha analizzato il ciclo vita di una delle sue Model 2 paragonandola a una Xc40 a benzina. Ebbene, l’elettrica è più sostenibile soltanto dopo 75.000 chilometri, percorrenza che può già rivelarsi tale da richiedere la sostituzione della batteria. In teoria, un’auto elettrica avrebbe meno costi di manutenzione, ma il prezzo del tagliando di un veicolo elettrico dipende da molti fattori tra i quali lo stato del sistema di raffreddamento delle batterie. Ne consegue che ogni 15-20.000 chilometri circa anche l’auto elettrica finisce in officina. Prendendo ad esempio il controllo dei 50.000 chilometri per l’elettrica Nissan leaf questo costa circa 150 euro, mentre per una Tesla model S sale a 650. Seguendo il medesimo schema, si conclude che il ciclo vitale di una batteria può arrivare ai 200.000 chilometri ma raggiunge il picco a otto anni di vita. Nulla di paragonabile alla durata di un motore tradizionale. Agli automobilisti toccherà dunque o cambiare più spesso l’auto o portarla più spesso in officina. In ogni caso dovranno appellarsi alla filiera asiatica molto più di quanto serva con un motore a scoppio. Pandemia e guerra ci hanno insegnato l’opposto. Cioè, che chi non controlla la propria filiera produttiva rischia di prendere sberle (economiche) ovunque. Un problema che purtroppo sembra non preoccupare l’Ue.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-transizione-ue-fara-incassare-1-700-miliardi-ai-produttori-di-auto-2657486184.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="oltre-20-cent-al-km-il-kit-di-ricarica-costa-fino-a-8-000-euro" data-post-id="2657486184" data-published-at="1654836731" data-use-pagination="False"> Oltre 20 cent al km. Il kit di ricarica costa fino a 8.000 euro Non basterà comprare un’auto elettrica per soddisfare i nuovi diktat di Bruxelles. L’addio ai motori a combustione infatti costringerà ogni proprietario a effettuare delle modifiche sostanziali nella propria casa per riuscire a caricare la vettura parcheggiata. Sui proprietari si abbatteranno vincoli e obblighi che renderanno il conto finale sempre più salato. Per iniziare, l’auto elettrica costa circa il 20 o il 30% in più di quella tradizionale. I rivenditori promettono che con il passare degli anni il suo prezzo diminuirà per un bilanciamento di domanda e offerta, peccato che non abbiano fatto i conti con i rincari delle materie prime. È verosimile quindi, che questa situazione proseguirà a lungo. Il bello è che non finisce qui. Dopo essersi svenati per comprare l’auto elettrica, per ricaricarne la batteria bisognerà intervenire sul proprio box auto o garage: chi non ce l’ha di fatto sarà costretto a comprarne uno, con prezzi che a Milano e Roma possono superare i 50.000 euro. Nella migliore delle ipotesi l’utente possiederà un contatore proprio non condominiale adatto per l’installazione di un wall box (dispositivo per ricaricare le batterie delle vetture elettriche in casa, si differenziano dalle colonnine per le dimensioni più compatte e per il loro montaggio a parete) al costo di circa 2.000 euro. Nella stragrande maggioranza dei casi, però, le persone vivono in condomini e condividono lo spazio dei garage, ed è lì che si complica tutto. Poniamo il caso che in un palazzo ci siano dieci box auto per dieci appartamenti e poniamo anche che tutti quanti siano d’accordo per fare i lavori per l’installazione di dieci wall box. Esistono due strade: o ci si allaccia al contatore condominiale con contatori singoli che servano per la contabilizzazione di ciascun box auto; oppure si contatta il fornitore di energia elettrica locale per chiedere la posa di un nuovo contatore. La prima soluzione, anche se a livello normativo non è molto corretta, sembra essere la più utilizzata e, sempre che tutti siano d’accordo, nel caso di dieci box auto costerebbe a ciascun appartamento dai 6.000 agli 8.000 euro, ai quali si dovranno aggiungere i 2.000 euro dell’installazione del wall box. La seconda soluzione è pure più cara perché dipende dalla distanza tra il contatore da installare e la rete del distributore locale: più sarà distante e più costerà. Naturalmente il totale varia a seconda del distributore, ma parliamo di cifre che valgono almeno il doppio di quanto riportato finora. Un vero e proprio salasso insomma, che quasi fa passare la voglia di lamentarsi del prezzo della benzina che in questi giorni ha di nuovo superato i 2 euro. Non finisce qui, perché chi decide di acquistare un’auto full electric dovrà rivoluzionare il proprio stile di vita. Ricaricare l’auto durante un viaggio non sarà esattamente lo stesso che fermarsi per mettere benzina. Sulle autostrade sono state installate 90 infrastrutture di ricarica, ma una norma del 2018 prevede che ce ne sia una ogni 50 chilometri. All’appello quindi ne mancano ancora 117. Ma cosa succederà quando, secondo le stime, nel 2030 avremo 6 milioni di auto elettriche? Queste non basteranno e si creerà il caos in strada. Inoltre, molti non sono a conoscenza del fatto che, anche se acquisteranno un’auto elettrica, non smetteranno di pagare il rifornimento. Certo non sarà più necessario spendere in benzina o diesel, ma ricaricare la propria auto alle colonnine pubbliche avrà comunque un prezzo. In Italia sono già tante le società che gestiscono una rete di colonnine di ricarica e tutte basano la propria offerta su tariffe a consumo o in abbonamento. La tariffa a consumo è adatta per chi possiede un box auto o un garage con una wall box e ha la possibilità quindi di caricare la propria macchina principalmente in casa: va da 0,40 a 0,79 euro al kilowattora. Le tariffe in abbonamento si differenziano per il tetto di energia utilizzabile ogni mese. Alcune compagnie hanno un costo di attivazione che si aggira intorno ai 30 euro più una rata spalmata su un trimestre. Altri gestori propongono una doppia offerta che va dai 21 ai 25 euro per quella base e dai 38 ai 45 per quella con più kilowattora. Altre invece propongono un solo tipo di abbonamento. Infine i gestori più grossi hanno previsto anche un servizio di prenotazione delle prese di ricarica al costo di 25 euro l’anno. Ogni ricarica dura in media circa 300 chilometri, ma il costo del pieno varia molto a seconda della potenza della batteria. Si parte da un minimo di 15 euro per arrivare a 70 euro, costi che praticamente annullano la differenza con la benzina. A ogni modo, per ogni viaggio superiore ai 300 chilometri bisognerà programmare le soste per la ricarica: oggi servono circa due ore in una stazione veloce, otto in una casalinga. Insomma, si fa presto a dire passiamo all’elettrico, ma è fondamentale capire che questo impatterà enormemente sulla vita di tutti noi sia dal punto di vista sociale sia dal punto di vista economico. Possedere un’auto sarà, come all’inizio del Novecento, un affare da ricchi.