Auto, la svolta sull’elettrico di Stellantis mette a rischio 75 mila posti nell’indotto

Le conseguenze della transizione elettrica dell'auto.
Il «prato verde» rischia di trasformarsi in un deserto. É questo il timore che si coglie a Melfi, dentro lo stabilimento Stellantis ma soprattutto attorno all’intero complesso industriale. Per questo dai sindacati regionali di Cgil, Cisl e Uil è partito ieri un appello al presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi con la richiesta di un incontro urgente per esaminare la situazione.
«Per comprendere la nostra iniziativa dobbiamo fare un salto indietro - spiega Gerardo Evangelista, della Fim Cisl - esattamente al 1992 quando la Fiat decise di investire a San Nicola di Melfi. Si trattava di un progetto innovativo di sviluppo al Sud, denominato ‘prato verde’, che comprendeva non solo la nascita di un impianto produttivo all’avanguardia ma anche il sostegno all’indotto con la creazione di aziende satelliti poste attorno all’impianto principale». «Si pensava così di evitare costi logistici, attivare sinergie e soprattutto di creare occupazione e nuove professionalità in una regione con poco lavoro - prosegue Evangelista. - E l’idea ha avuto successo visto che ad oggi a Melfi lavorano 6.700 persone nello stabilimento ed altri 8mila circa, tra diretti e indiretti, nell’indotto».
Tutto bene sino al varo della transizione elettrica. «Una beffa, perché la svolta verde rischia di mandare in rosso quelle aziende che hanno competenze sulle tecnologie tradizionali - aggiunge ancora il responsabile Cisl - con una emergenza occupazionale senza precedenti». I sindacati non chiedono certo di fermare una svolta che considerano corretta e comunque inevitabile ma di accompagnare nella transizione green anche un indotto che da sempre crede in Stellantis. Da qui, appunto, l’appello alla politica regionale». La questione dei rischi occupazionali legati all’elettrico non riguarda certamente solo Melfi. Lo conferma Fernando Uliano responsabile nazionale Fim Cisl. «Siamo in un momento critico per l’intero settore auto - spiega Uliano - Alle problematiche legate ai cambiamenti tecnologici ora si innesta anche l’emergenza di guerra e covid e la conseguente difficoltà negli approvvigionamenti dei semiconduttori che rallenta le produzioni. Il risultato è meno lavoro e cassa integrazione».
Ma cosa rispondono i sindacati al ceo di Stellantis Carlos Tavares che, presentando il piano «Dare Foward 2030» ( obiettivo zero emissioni di carbonio entro il 2038, con una riduzione del 50%entro il 2030), ha confermato un investimento per il 2025, di 30 miliardi per elettrificazione di tutti i 14 marchi? «É chiaro che il tema della transizione green è fondamentale ed ogni investimento è da salutare con grande favore. Noi tra l’altro non ci siamo mai tirati indietro nel prenderci le nostre responsabilità sul fronte dello sviluppo che significa lavoro. Ma serve maggiore concertazione. E non possiamo non ribadire che il tema dell’indotto è una delle emergenze - risponde Uliano - tra l’altro vediamo che Stellantis sta internalizzando molte attività che prima riguardavano fornitori esterni. Dopo alcuni mesi, finalmente, si è deciso un tavolo con azienda e ministero su come affrontare la situazione. Ma bisogna agire subito perché in alcuni impianti gli effetti sono già visibili. Vitesco, Pratola, Marelli, e la stessa Bosch di Bari stanno già pagando caro per questa transizione.Ma secondo la Cisl il «green deal rischia di colpire a livello nazionale oltre 75mila lavoratori dell’indotto. E Uliano punta l’indice anche sul governo Draghi.
«Abbiamo salutato con favore l’annuncio che 8 miliardi di euro del Pnrr venissero stanziati per attivare un fondo per il settore auto - spiega il responsabile nazionale Fim Cisl -ma noi ci aspettavamo investimenti per la reindustrializzazione. In realtà quella cifra include anche gli incentivi per l’acquisto di auto elettriche». «Per carità gli incentivi sono necessari - tiene a precisare Uliano - anche perché un’auto elettrica costa dal 30 al 50 per cento in più di un auto normale. Ma come avviene negli altri Paesi occorre anche un progetto di politica industriale». Ma torniamo a Melfi, anche perché se la situazione è difficile in tutti gli stabilimenti Stellantis l’allarme rosso riguarda proprio la sede lucana che rappresenta ancora oggi il 40% delle vetture prodotte dalla ex Fiat. Qui infatti c’è stato il crollo più pesante in termini di volumi produttivi nelle auto nel primo trimestre dell’anno (meno 22,4% rispetto al 2021 con 14.116 unità prodotte in meno). Se lo rapportiamo al 2019 la perdita è di oltre 17.000 auto (-26%). «Io credo nell’industria, nella fabbrica - conclude preoccupato il rappresentante Cisl regionale Gerardo Evangelista - io sono della generazione che grazie a Fiat ha avuto una opportunità. Non ho dovuto inchinarmi al politico locale di turno elemosinando un posto di lavoro. Per lavorare facevo 250 chilometri dal mio Paese nel materano a qui. Mio padre faceva l’operaio in Germania, una vita difficile. Io ho avuto più fortuna. Ora penso ai giovani, qui al Sud. Hanno il diritto della speranza».
L’ex procuratore aggiunto di Pavia, Mario Venditti, è inciampato nei ricordi. Infatti, non corrisponde al vero quanto da lui affermato a proposito di quella che appare come un’inversione a «u» sulla posizione di Andrea Sempio, per cui aveva prima annunciato «misure coercitive» e, subito dopo, aveva chiesto l’archiviazione. Ieri, l’ex magistrato ha definito una prassi scrivere in un’istanza di ritardato deposito delle intercettazioni (in questo caso, quelle che riguardavano Andrea Sempio e famiglia) che la motivazione alla base della richiesta sia il fatto che «devono essere ancora completate le richieste di misura coercitiva». Ma non è così. Anche perché, nel caso di specie, ci troviamo di fronte a un annuncio al giudice per le indagini preliminari di arresti imminenti che non arriveranno mai.
L’ergastolo? È passato di moda. Anche se una madre lascia morire di stenti la sua bambina di un anno e mezzo per andare a divertirsi. Lo ha gridato alla lettura della sentenza d’appello Viviana Pifferi, la prima accusatrice della sorella, Alessia Pifferi, che ieri ha schivato il carcere a vita. Di certo l’afflizione più grave, e che non l’abbandonerà finché campa, per Alessia Pifferi è se si è resa conto di quello che ha fatto: ha abbandonato la figlia di 18 mesi - a vederla nelle foto pare una bambola e il pensiero di ciò che le ha fatto la madre diventa insostenibile - lasciandola morire di fame e di sete straziata dalle piaghe del pannolino. Nel corso dei due processi - in quello di primo grado che si è svolto un anno fa la donna era stata condannata al carcere a vita - si è appurato che la bambina ha cercato di mangiare il pannolino prima di spirare.
È un giudice, lo anticipiamo ai lettori, contrario alla riforma della giustizia approvata definitivamente dal Parlamento e voluta dal governo, ma lo è per motivi diametralmente opposti rispetto ai numerosi pm che in questo periodo stanno gridando al golpe. Roberto Crepaldi ritiene, infatti, che l’unico rischio della legge sia quello di dare troppo potere ai pubblici ministeri.
Magistrato dal 2014 (è nato nel 1985), è giudice per le indagini preliminari a Milano dal 2019. Professore a contratto all’Università degli studi di Milano e docente in numerosi master, è stato componente della Giunta di Milano dell’Associazione nazionale magistrati dal 2023 al 2025, dove è stato eletto come indipendente nella lista delle toghe progressiste di Area.














