2025-11-28
L’ex pm di Bergamo smentisce Conte: sapeva dei focolai, chiusure in ritardo
Giuseppe Conte. Nel riquadro, Antonio Chiappani (Ansa)
Audito dalla commissione, Chiappani elenca le omissioni dell’ex premier e Speranza: «Siamo arrivati con l’acqua alla gola quando i morti erano per strada». L’esperto di crisi Ferrari: «Italia impreparata».L’ultima audizione in commissione parlamentare Covid di Antonio Chiappani, già procuratore capo presso il Tribunale di Bergamo, ha riassunto in modo netto le omissioni e le criticità che dovevano essere imputate all’allora ministro della salute Roberto Speranza. «Aver limitato con nota del 24 gennaio i voli solo tra Italia e Cina e aver disposto la sorveglianza epidemiologica solo dal 26 febbraio; aver omesso azioni di sanità pubblica come la dotazione di dispositivi di protezione individuale e sanitario; non aver provveduto tempestivamente all’approvvigionamento vista l’insufficienza delle scorte; aver omesso le azioni per garantire trattamento e assistenza e aver provveduto solo il 24 febbraio al censimento dei reparti di malattie infettive; aver omesso le azioni per garantire adeguata formazione al personale sanitario».Un elenco pesante, per ribadire che c’è stata «una cooperazione colposa, le criticità come fatti ci sono state […] Il focus non è la pandemia ma il non aver ostacolato la diffusione di cluster localizzati che era la fase tre del piano pandemico. Piano forse male interpretato anche dal punto di vista giudiziario».L’ex procuratore capo ha tenuto a sottolineare che non vuole polemizzare con il tribunale dei ministri che ha archiviato la posizione dell’allora premier, Giuseppe Conte, e di Speranza, nell’indagine sulla gestione della prima fase della pandemia in val Seriana. Però puntualizza: «Il tribunale di Brescia dice che Conte non aveva le informazioni sufficienti per poter fare la scelta della “zona rossa”, ma io avevo fatto la ricostruzione delle possibili conoscenze del Comitato tecnico scientifico (Cts) e di quelle governative. I tecnici avevano tutti i giorni, più volte al giorno, delle informazioni che arrivavano. Non so che rapporto ci fosse tra il Cts e la parte politica, ma parlando di conoscenza e partendo dal 22 febbraio c’era stata una escalation. Concateno le cose, non poteva non sapere l’allora presidente del Consiglio». Per poi ricordare: «Il Cts era un organo consultivo, aveva potere di appoggio, non decisionale».Chiappani è stato ancor più chiaro: «Non è vero quello che dichiarò a verbale Conte, che lui aveva saputo della situazione drammatica della Bergamasca solo il 5 marzo, e Speranza solo il 4 marzo. A meno che Cts e governo non si parlassero tra di loro». Alla domanda se la mancata istituzione della zona rossa può avere inciso sull’eccesso di mortalità, l’ex magistrato non ha avuto dubbi: «Se il 28 e il 29 c’era stato il raddoppio dei contagi, aspettare tre, quattro, sei giorni significava morti in più perché era in corso una progressione esponenziale». Per Alice Buonguerrieri, capogruppo di Fratelli d’Italia in commissione Covid, «questa ricostruzione smentisce quanto dichiarato finora da Conte e Speranza riguardo alle tempistiche con cui sarebbero stati avvisati della gravità della situazione. Avrebbero dovuto chiudere prima e soltanto un territorio limitato, invece hanno chiuso tutta l’Italia e tardivamente. Questa loro inerzia, come accertato dalla Procura di Bergamo, potrebbe aver inciso sulla eccessiva mortalità». Il mancato contenimento del focolaio è causa di addebito di tipo penale. La prevenzione, il distanziamento sociale avrebbero arginato la diffusione, invece «siamo arrivati con l’acqua alla gola quando i morti erano per strada», ha dichiarato Chiappani. Per poi ricordare che nel maggio 2020 l’Italia diede 10 milioni di contributo volontario all’Oms, proprio nei giorni in cui la stampa italiana diffondeva la notizia che stava per essere pubblicato il rapporto di Francesco Zambon, fortemente critico sulla gestione della pandemia in Italia. «Rapporto che, è utile ricordare, è stato poi rapidamente ritirato. Si è trattato solo di una strana coincidenza oppure qualcuno, con questa lauta donazione, sperava di censurare il rapporto Zambon?», si interroga Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fdi. L’impreparazione del Paese a fronteggiare la pandemia è stata sottolineata anche dall’audizione di Giovanni Ferrari, esperto di pianificazione emergenze e crisi. «Un piano di gestione pandemia non è emergenziale, è un piano di gestione crisi in grado di essere applicabile in presenza di qualsiasi virus», ha spiegato. Questo significa che «non so che cosa capiterà, non so l’intensità, la violenza dell’agente biologico o virus ma so quali possono essere le conseguenze sul sistema nazionale, so che ci saranno problemi con gli ospedali. Uno dei primi problemi della pianificazione è la riorganizzazione ospedaliera». L’Italia non era preparata, «era inutile bloccare i voli da Wuhan», ha detto Ferrari. «Servivano implementazioni dei piani, bisognava attivarsi per modificare tutte le proprie strutture, a livello nazionale e territoriale». È mancata «la capacità di rendersi conto il più rapidamente possibile che c’era una pandemia in corso».
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Chiara Poggi e Andrea Sempio (Ansa)