«Da oggi il Piano Mattei è una strategia europea». Giorgia Meloni scandisce soddisfatta la frase, consapevole che il progetto - costruito due anni fa anche per regolamentare le migrazioni - avesse un senso, una concretezza e un’adesione al diritto internazionale al di là delle pernacchie da curva sud della sinistra cattodem, dei giudici e delle ong a rimorchio. Alla conversione a U dell’Unione su uno dei temi chiave per la sua stessa esistenza mancava un sì: è arrivato ieri dal Consiglio d’Europa, l’organismo più appiattito sui presunti diritti universali, direttamente collegato alle associazioni umanitarie di ogni ordine e grado, sempre pronto a denunciare violazioni dei diritti umani, con attenzione maniacale alle forze dell’ordine italiane. Ebbene: sì a cambiare politica, sì ai rimpatri dei richiedenti asilo respinti, sì a rispedire al mittente i criminali, sì agli hub in Paesi terzi, per esempio l’Albania.
«La strumentalizzazione della migrazione, il traffico di migranti, la tratta di esseri umani e altre attività criminali che minacciano la stabilità e la sicurezza sono sfide reali e legittime». Lo ha detto il segretario generale del Consiglio d’Europa (da non confondere con il Consiglio Ue) Alain Berset, svegliatosi da un lungo sonno, nel suo discorso a Strasburgo durante il summit sull’immigrazione con i ministri dei 46 Stati membri. Ora anche per il braccio amnesty dell’Europa «elaborare un modello di accordo per i rimpatri e le esternalizzazioni» è diventata una priorità. E lo strumento giuridico dovrà indicare chiaramente «come gli Stati interpretano la convenzione nei casi di migrazione, anche in relazione alle attività criminali».
L’allineamento del Consiglio è arrivato dopo due eventi decisivi. 1) La lettera aperta firmata da nove Stati, fra i quali l’Italia, nella quale si contestava alla Corte europea dei Diritti dell’uomo (Cedu) un’eccessiva interferenza nelle politiche migratorie delle nazioni sovrane. 2) Il voto di 27 Paesi favorevoli al cambio di passo, con richiesta - anche questa promossa da Italia e Danimarca - di aggiornare la Convenzione dei Diritti dell’uomo, abbandonando la visione ideologica per garantire che «la sicurezza ai cittadini sia tutelata e non subordinata a interpretazioni della legge favorevoli a individui che hanno commesso gravi violazioni».
In sintesi i rappresentanti dei Paesi membri hanno ribadito la necessità che «il testo tenga conto della responsabilità fondamentale dei governi di garantire gli interessi vitali nazionali, quali la sicurezza e l’ordine pubblico». Il segretario generale Berset ha fiutato il vento, ha recepito e ha indicato anche una tempistica: subito la stesura di una dichiarazione politica del Comitato dei ministri sui temi dell’immigrazione, da adottare già a maggio nella riunione plenaria di Chisinau (Moldova); in seguito il Consiglio formalizzerà un documento che dovrebbe essere pronto fra 12-18 mesi, con la consueta calma della grassa euroburocrazia.
Una vittoria su tutto il fronte per Giorgia Meloni e il suo governo, che lunedì sul regolamento dei rimpatri avevano incassato il sì del Consiglio affari interni dell’Ue. Ieri a Bruxelles c’era la Conferenza dell’Alleanza globale contro il traffico di migranti, con 80 delegazioni degli Stati membri, partner internazionali, Paesi africani. Collegandosi in video, il premier italiano ha mostrato soddisfazione: «Gestire i flussi migratori è possibile, un’alternativa concreta alla tratta di esseri umani è fattibile e la legalità deve essere al primo posto. Il drastico calo dei flussi migratori irregolari, la significativa diminuzione dei decessi e delle sparizioni nel Mediterraneo dimostrano che la cooperazione sta funzionando. L’Italia ha proposto soluzioni innovative che ora sono viste con interesse e stanno diventando prassi comuni. Mi riferisco in primis al protocollo Albania. Oggi il Piano Mattei non è solo una strategia italiana ma diventa una prassi europea».
Con un problema umano che discende dalla bontà dell’iniziativa: Ursula von der Leyen prova a intestarsi l’idea. Dimenticandosi con un atto di rimozione freudiana del «grande abbraccio ai popoli in cammino» e dell’accoglienza diffusa (tanto cara anche a Sergio Mattarella), il presidente della Commissione ha benedetto la sterzata, ha annunciato che «gli arrivi dei migranti irregolari sono in calo, -26% quest’anno e -37% l’anno scorso». E ha salutato con fervore il contrasto agli scafisti, «perché il traffico di migranti è una forma di schiavitù moderna e dobbiamo fare di più per combatterla». Neanche fosse improvvisamente favorevole a bucare con il trapano le chiglie dei barconi. Con un lampo da commedia dell’arte ha aggiunto, mentre le si allungava il naso: «Il nostro principio guida qui nell’Ue è che siamo noi europei a decidere chi arriva in Europa e ne attraversa i confini, e in quali circostanze, non i trafficanti». Fino all’altro ieri sembrava l’esatto contrario.
In un eccesso trumpiano, la nuova Ursula ha concluso con un’abiura: «Abbiamo un progetto per porre fine al business del traffico di migranti in tutto il mondo. Dobbiamo impedire i viaggi e dimostrare alle potenziali vittime che esistono sempre alternative più sicure». Sembrava Marine Le Pen. Forse sta davvero cambiando il vento. Se così fosse, a fare il tifo per gli scafisti rimarranno i giudici rossi, le associazioni che si arricchiscono sui disperati e Laura Boldrini.













