Respinto l’emendamento del Ppe per una transizione graduale: in arrivo 500.000 disoccupati in più. La beffa: le macchine verdi sono ecologiche solo sulla carta.
Respinto l’emendamento del Ppe per una transizione graduale: in arrivo 500.000 disoccupati in più. La beffa: le macchine verdi sono ecologiche solo sulla carta.Il dado dell’auto elettrica è tratto. L’Europarlamento al termine di una due giorni di plenaria ha votato sulla proposta Fit for 55 della Commissione, lo sciagurato progetto che porta all’eliminazione sulla carta delle emissioni inquinanti. Gli europarlamentari hanno bocciato uno solo dei pilastri del pacchetto. Fermata la riforma del mercato Ue degli Ets, i permessi destinati alle aziende che emettono anidride carbonica. Il riesame della proposta a Strasburgo potrebbe non arrivare prima di settembre; per ora e soltanto per ora (visto l’andazzo) saltano il meccanismo di tassazione della CO2 alle frontiere (Cbam) e il Fondo sociale per il clima. Lo stop temporaneo si porta dietro due toppe. Per ora tira un sospiro di sollievo anche il settore immobiliare, poiché il provvedimento avrebbe penalizzato le case storiche e quelle prive di efficientamento energetico. Niente dazi alle frontiere per i prodotti realizzati in Paesi con emissioni superiori a quelle definite dalle norme europee. Le buone notizie finiscono qui. I voti successivi hanno invece approvato il mercato degli Ets in relazione al solo settore dell’aviazione e l’intero spicchio che prevede norme rigidissime sulle regole di assorbimento delle emissioni tramite attività del comparto della silvicultura. Ma l’escalation ecologista ha avuto il suo picco alle 19 quando, seppur con una maggioranza risicata, i nostri rappresentanti in Europa hanno approvato il divieto di produrre auto a benzina e diesel a partire dal 2035. Bocciato persino l’emendamento del Ppe che mirava a mantenere una quota di motori a scoppio almeno del 10%. Invece la follia pseudo ambientalista ha avuto il sopravvento. Sì, pseudo, perché per prima cosa la scelta di ieri è frutto di un brodo culturale che spaccia per beneficio ciò che in realtà non lo è. È falso che il veicolo elettrico inquini meno degli altri. Se prendiamo come riferimento un’automobile che trasporti cinque persone, tra la versione elettrica e quella con motore endotermico diesel euro 6 la prima darà veri vantaggi ambientali soltanto dopo avere percorso almeno 150.000, sempre che abbiamo sostituito le batterie quando prescritto, poiché dopo cinque anni d’uso l’efficienza degli accumulatori attuali si riduce del 30%, e con loro l’autonomia. Ma per percorrere quel chilometraggio un automobilista medio impiega almeno 12/15 anni, periodo che vede spesso la necessità di cambiare mezzo per altri motivi. Comunque un tempo nel quale avremmo dovuto cambiare batteria almeno tre volte. E qui arriviamo al tema dello smaltimento e della filiera. Un singolo set di batterie per auto elettriche può pesare fino a 500 chilogrammi e per la sua fabbricazione servono lo scavo, lo spostamento e il trattamento di oltre 225 tonnellate di materie prime che si trovano in Cina o nella Repubblica Democratica del Congo. Giovanni Brussato, ingegnere minerario e autore di Energia verde? Prepariamoci a scavare (Edizioni Montaonda) spiega chiaramente il bluff: «Il 70% delle emissioni di gas serra è legato all’estrazione, alla produzione e all’uso di beni: se il mondo non lo riduce scavando meno materiali dalla terra, non saremo in grado di affrontare il cambiamento climatico». Per non parlare dell’impatto che avranno sull’ambiente il nichel, la grafite, il litio, il cobalto, il manganese e il rame una volta che la batteria passerà a miglior vita. Tutti elementi che vengono accuratamente nascosti dalla Commissione quando fa lobby pro elettrico. Ammesso pure che gli europarlamentari non siano andati a informarsi sull’intero ciclo vitale della nuova tecnologia, per votare a favore del motore a scoppio sarebbero bastate le informazione pubbliche, diffuse da qualche giornale e sostenute pure da una fetta della politica. La transizione verso l’elettrico costerà al Vecchio continente qualcosa come 500.000 posti di lavoro. In Italia ne perderemo 73.000 a fronte di nuovi impieghi che non saranno comunque superiori alle 6.000 unità. Il saldo è spaventosamente negativo. Eppure ieri il Pd ha festeggiato perché prima viene l’ambiente. Quale non si sa. Certo non l’ambiente africano che soffrirà tremendamente a seguito dello stop ai motori a scoppio. E per quanto riguarda l’Italia chi sostiene tale transizione hard non solo non si preoccupa dell’impoverimento collettivo, ma sembra anche non preoccuparsi della trasformazione che sarà imposta alla nostra società. L’auto elettrica aumenterà la forbice del divario tra regioni più o meno industrializzate, tra Nord e Sud e tra ricchi e poveri. Se prendiamo in considerazione il numero di vetture elettriche immatricolate in Italia, circa 53.000 (la metà del totale) ha residenza in Trentino e Lombardia. Alla base del fenomeno della forbice che taglia in due la nazione ci sono diversi fattori: la differenza e la stabilità dei salari in primo luogo, che determina la possibilità di acquistare una nuova auto più frequentemente, la maggiore presenza di ampie flotte aziendali e autonoleggi e l’imposizione delle restrizioni alla circolazione dettate dalla densità abitativa e quindi dalla presenza di alti volumi di traffico nella medesima area. Accelerare sulla transizione aumenterà il divario. Mentre non farà male ai bilanci delle aziende multinazionali. La corsa all’elettrico e l’aumento dei prezzi consentiranno alle case, secondo uno studio della società indipendente Profundo, di portare i margini di profitto a un livello superiore a quelli dei motori a scoppio in cinque anni e a crescere con i fatturati del 316% entro il 2030. Ultimo tema, ma non meno rilevante. Dopo aver discusso di sovranità energetica, l’Ue decide di affidarsi mani e piedi alla Cina, leader delle batterie elettriche. Quando dovremo far volare gli aerei o mandare avanti i carri armati a chi chiederemo? La domanda è retorica, ma non ha nulla a che fare con la retorica green dei competenti.
Andrea Orcel (Ansa)
L’assemblea di Piazzetta Cuccia suggella le nozze con .il Monte, che fa eleggere Vittorio Grilli alla presidenza e Alberto Melzi d’Eril nuovo ad. Il capo di Unicredit intanto riduce le masse affidate al gestore francese e rilancia il suo piano per dar vita a «campioni europei».
Bill Gates (Ansa)
Incredibile giravolta dell’investitore miliardario in vista della Cop30: «Il clima sta cambiando? Adattiamoci». Poi rilancia: «Il focus sia la sanità». E l’ex ceo di Stellantis, Tavares, affossa i dogmi contro il motore termico.






