2020-07-19
La strategia delle tensione di Erdogan. Siria, Libia e ora un fronte in Armenia
Dopo l'attacco dell'Azerbaigian al confine con la Repubblica di Erevan, il sultano turco si schiera con Baku e promette armi. Un modo per gestire l'opinione pubblica interna e rafforzare il ruolo estero dell'intelligence.Dopo la Libia, il sultano della Turchia apre un nuovo fronte militare con l'obiettivo di allargare la sfera d'influenza e di dominio al di fuori dei confini. Stavolta Recep Erdogan approfitta del conflitto tra azeri e armeni. Lo scorso 12 luglio dalle parti di Movses, nella Regione armena del Tavush, militari dell'Azerbaigian a bordo di un fuoristrada varcano il confine. Vengono allontanati dall'esercito armeno con l'uso di soli megafoni. Un'ora dopo, gli azeri invece di una jeep tentano l'assalto con colpi di artiglieria, vengono respinti e lasciano sul terreno tre morti. Gli attacchi sono andati avanti per un'intera giornata andando poi scemando d'intensità. Per riaccendersi il 16 luglio con l'intervento delle forze speciali. Dalla parte armena due soli feriti, salvo il fatto di essere stati aggrediti e trovarsi a denunciare, per la prima volta dal 2016, un attacco sul proprio suolo. Infatti negli ultimi anni gli scontri si erano limitati al territorio del Nagorno Karabakh.Negli ultimi anni, di pari passo con l'acquisto di ingenti quantità di armamenti da parte, l'Azerbaigian ha costantemente perseguito una politica volta a mantenere la tensione lungo il confine armeno-azerbaigiano, ampliando gradualmente anche i confini geografici della tensione che, oltre alla regione di Tavush, comprende anche la regione di Nakhijevan, dove, la parte azera, attraverso costanti lavori tecnici e ingegneristici, ha cercato di rafforzare le postazioni militari allo scopo di rendere vulnerabili le infrastrutture militari e civili armene. Secondo le autorità di Erevan, Baku userebbe tale strategia per rafforzare la situazione politica interna. «Non solo», aggiunge in un colloquio telefonico l'ambasciatrice in Italia Tsovinar Hambardzumyan , «notiamo che l'escalation che ha portato ai fatti più recenti possa essere legata al calo dei prezzi del petrolio, alle conseguenze economiche della pandemia in corso e più in generale l'uso propagandistico del conflitto del Nagorno Karabakh per distogliere l'attenzione della propria popolazione dai problemi interni del Paese». Insomma, una situazione complessa che la comunità internazionale cerca di gestire dopo l'accordo di Minsk, anche se con scarsi risultati. E che adesso torna utile alla Turchia per il rafforzamento a Est. Ieri Erdogan è intervenuto ribadendo il proprio sostegno a Baku e rigirando la frittata. Ha definito l'Azerbaigian «un fratello» assalito e come tale sarà difeso con l'offerta di un sostegno economico e con l'aiuto a riattivare i flussi di armamenti provenienti da Ankara. L'obiettivo è tenere alta la tensione, avviare collaborazioni militari e Est per garantirsi la via libera verso la Siria e soprattutto attraverso il Mediterraneo. In fondo, la strategia anti armena è molto simile a quella che la Turchia sta portando avanti in Libia e pure in Africa. Due giorni fa, i servizi di intelligence turchi hanno liberato una famiglia moldava rapita in Siria dalle forze Ypg dei curdi. In realtà la donna e i quattro figli erano rimasti intrappolati in un campo profughi dopo la morte del marito in Siria per lavoro. Le immagini della liberazione hanno fatto il giro di tutti i tg turchi; un modo per chiamare a raccolta i cuori della popolazione fedele a Erdogan e per fare sponda con le dichiarazione belliche anti armene. Ma non si può non notare una forte somiglianza con la liberazione di Silvia - ora Aisha - Romano. A salvare Natalia Barkal e portarla a Chisinau sono stati i servizi della madre patria con l'aiuto di quelli turchi. Esattamente ciò che è avvenuto in Kenya per la nostra connazionale. Segno che non si tratta di avvenimenti scollegati e che l'intelligence di Erdogan ormai domina dalla Siria alla costa orientale dell'Africa e, verso il Mediterraneo, fino ai confini con la Tunisia. Certo in mezzo c'è l'Egitto guidato da Abdel Fattah al-Sisi, che si dimostra un osso duro da scalfire. Motivo in più per Erdogan di rendersi flessibile e mischiare la diplomazia dell'intelligence con quella della forza convenzionale. Per aggirare l'Egitto e chiudere il cerchio c'è il canale d'influenza che Ankara è riuscita a scippare all'Europa grazie al sostegno diretto fornito al governo di Tripoli. In mezzo passano aiuti e gas. Ma ci sono le navi Onu a bloccare le armi. Anche nell'ex regno di Muhammar Gheddafi, il sultano si è infilato sfruttando la strategia della tensione e le divisioni del Vecchio Continente. È subentrato a noi e pure, parzialmente, alla Francia. Ad Erdogan manca un ultimo tassello per chiudere questo cerchio virtuale e abbracciare una fetta di globo. E sono appunto le coste territoriali della Libia. Per questo il voto in Aula favorevole agli aiuti italiani alla guardia costiera libica è stato una benedizione. Se i nostri fondi venissero meno sulla base della spinta ideologica della sinistra (che il Pd si è rimangiato), sarebbe sostituiti da quelli turchi. Già l'indomani. E significherebbe dire addio del tutto al filo sottile che ancora ci lega al Sud del Mediterraneo.
Giorgia Meloni al Forum della Guardia Costiera (Ansa)
«Il lavoro della Guardia Costiera consiste anche nel combattere le molteplici forme di illegalità in campo marittimo, a partire da quelle che si ramificano su base internazionale e si stanno caratterizzando come fenomeni globali. Uno di questi è il traffico di migranti, attività criminale tra le più redditizie al mondo che rapporti Onu certificano aver eguagliato per volume di affari il traffico di droga dopo aver superato il traffico di armi. Una intollerabile forma moderna di schiavitù che nel 2024 ha condotto alla morte oltre 9000 persone sulle rotte migratorie e il governo intende combattere. Di fronte a questo fenomeno possiamo rassegnarci o agire, e noi abbiamo scelto di agire e serve il coraggio di trovare insieme soluzioni innovative». Ha dichiarato la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni durante l'intervento al Forum della Guardia Costiera 2025 al centro congresso la Nuvola a Roma.
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