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2025-09-12
Pure tra i macronisti cresce il dubbio se sostenere il neo premier Lecornu
Sébastien Lecornu (Ansa)
Il nuovo premier francese Sébastien Lecornu ha effettuato ieri delle visite protocollari ai presidenti dei due rami del Parlamento, ma ha anche incontrato l’ex presidente della Repubblica Nicolas Sarkozy. Così facendo ha dato ragione a chi, un po’ malignamente, pensa che il neo primo ministro non sia destinato a cambiare i destini della Francia. In effetti viene da chiedersi come mai, oltre a vedere i vertici istituzionali come vuole la tradizione repubblicana, Lecornu abbia avuto bisogno di andare a far visita ad un ex leader che, sebbene influente, sta attraversando un periodaccio. Ad inizio anno è stato condannato in via definitiva nel processo «des écoutes» (le intercettazioni). E poi Sarkozy è in attesa della sentenza del processo sui presunti finanziamenti libici della campagna presidenziale del 2007. L’ex inquilino dell’Eliseo è stato privato recentemente anche della Legione d’onore a causa delle vicende giudiziarie. Certo, il nuovo capo del governo francese (ancora da formare) può incontrare chi vuole, ed è anche vero che la sua militanza politica è iniziata proprio nel partito fondato da Sarkozy. Ma che bisogno c’era di correre dal proprio ex «capo» quando ci si appresta a guidare un Paese? Le Figaro ha riportato le parole entusiaste usate dallo staff dell’ex presidente dopo l’incontro con Lecornu. «Nicolas Sarkozy è stato contento di questo momento» e «ha ribadito la sua amicizia e testimoniato il suo sostegno». Da segnalare che, sempre ieri, l’ex capo dello Stato francese ha incontrato l’ex premier macronista Gabriel Attal.
Lasciando da parte il marito di Carla Bruni, ieri l’ex premier Dominique de Villepin ha usato il vetriolo per commentare la nomina di Lecornu. Su France info, De Villepin ha dichiarato che il neo premier «non deve essere il simpatico cagnolino del presidente» e che la deve smettere di fare il gioco «dei ragazzini che divertono il presidente, con in mano un bicchiere di whisky, raccontando storielle o prendendo in giro qualcuno» visto che «è questo che hanno fatto, l’uno e l’altro, nel corso degli anni».
Tornando agli incontri istituzionali, il primo si è svolto all’Assemblea nazionale, dove Lecornu era atteso dal presidente di questo ramo del Parlamento, la macronista Yaël Braun-Pivet. Dopo il rendez-vous, Braun-Pivet ha scritto su X che «i francesi si aspettano che sappiamo unire le nostre forze invece di rimarcare le nostre differenze». Il presidente della Camera bassa transalpina ha si è anche rivolto ai suoi colleghi dicendo che spetta «ai deputati l’andare oltre le differenze per far progredire il nostro Paese». Parole interessanti quelle di Braun-Pivet, una donna al vertice di un’aula parlamentare che, quando si è trattato di eleggere i vicepresidenti e altre cariche dopo le elezioni dell’anno scorso, ha fatto di tutto per tagliare fuori i deputati del Rassemblement national di Marine Le Pen. E pazienza se questo partito avesse ottenuto un terzo degli scranni.
L’incontro con Gérard Larcher, il presidente del Senato e seconda carica dello Stato, è avvenuto nel pomeriggio ma, quando questa edizione della Verità andava in stampa, non c’erano ancora aggiornamenti rilasciati dalla Camera alta del Parlamento francese. Tuttavia, già in mattinata su Bfm tv, Larcher aveva criticato la mozione per la destituzione di Macron e aperto la porta ai socialisti tentati di sostenere il governo.
Nel frattempo, ieri alcuni partiti e sindacati hanno fatto delle nuove mosse e inviato segnali non proprio di pace al neo premier. In merito alla riforma delle pensioni, un portavoce del sindacato Cfdt, ha dichiarato all’agenzia di stampa France Presse che per la sua sigla «è fuori questione che si rilanci il conclave sulle pensioni». Questo nome ecclesiale era stato scelto dall’ex premier François Bayrou per battezzare le trattative tra governo, sindacati e imprenditori, che avrebbero dovuto portare ad una nuova normativa previdenziale.
Ma oltre alle pensioni, il neo premier ha anche altre gatte da pelare. In primis l’ostilità di una buona fetta dell’Assemblea nazionale. È da questo emiciclo che, sempre ieri, la deputata di estrema sinistra de La France Insoumise, Mathilde Panot, ha fatto sapere via X che la mozione per la destituzione del presidente Emmanuel Macron ha già ottenuto le firme di 104 deputati di sinistra. Lecornu rischia inoltre di perdere il sostegno di alcuni deputati macronisti che sarebbero tentati da un avvicinamento con alcune posizioni del Partito socialista come la tassazione dei «ricchi» o la riduzione dei tagli di bilancio.
E poi c’è il capitolo sicurezza che, come si è visto con le devastazioni provocate dall’estrema sinistra e dai black block nelle manifestazioni di mercoledì, è davvero un’emergenza nazionale con la quale Lecornu dovrà fare i conti. Alle minacce minacce alla convivenza civile, promosse dall’estrema sinistra e da disobbedienti vari, vanno aggiunte quelle provenienti dal narcotraffico, che sta rendendo la Francia sempre più simile al Messico, nonché le insidie provenienti dagli islamisti che infiltrano sempre di più la società e le istituzioni transalpine. Purtroppo per Lecornu, inoltre, oggi Fitch renderà noto il suo rating sulla Francia, mentre il 18 settembre è previsto un nuovo sciopero generale.
Via l’immunità al deputato di Afd
Il Bundestag, ossia il Parlamento federale tedesco, ha revocato l’immunità parlamentare di Maximilian Krah, deputato dell’Alternative für Deutschland. La decisione ha consentito agli inquirenti di procedere a una serie di perquisizioni negli uffici e nelle abitazioni del politico. Al centro del procedimento vi sarebbe un’indagine per sospetto di corruzione e riciclaggio di denaro con presunti legami a fonti cinesi.
Il retroterra della vicenda riguarda un’inchiesta per presunta corruzione e riciclaggio di denaro. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, durante il periodo trascorso al Parlamento europeo, tra il 2019 e il 2025, Krah avrebbe ricevuto pagamenti da ambienti imprenditoriali cinesi. Le informazioni sarebbero emerse da indagini già in corso sul suo ex collaboratore a Strasburgo, Jian G., arrestato nell’aprile 2024 con l’accusa di spionaggio a favore della Repubblica popolare cinese e attualmente sotto processo a Dresda.
Proprio attraverso l’analisi dei rapporti di Jian G., gli investigatori avrebbero individuato versamenti considerati sospetti a favore di due studi legali presso i quali Krah aveva lavorato in passato. Si tratterebbe, in base agli atti, di oltre 50.000 euro transitati tra il 2019 e il 2022. L’accusa ritiene che parte di queste somme provenissero da società cinesi e da aziende tedesche legate allo stesso Jian G. Una di queste società, con sede nel Rheinland e attiva formalmente nel commercio di tende da sole e arredi per ufficio, era gestita da una collaboratrice di Jian G., la cittadina cinese Min Z.
Le autorità parlano di fatture sospette e di pagamenti ricorrenti che avrebbero interessato le strutture professionali collegate a Krah. Secondo gli investigatori, si sarebbe trattato di un meccanismo volto a mascherare compensi indebiti. Al momento, tuttavia, non sono state rese note prove documentali oltre ai flussi finanziari già descritti e nessuna imputazione formale è stata depositata nei confronti del deputato.
Krah, incalzato nelle scorse settimane dai giornalisti, ha sempre respinto ogni addebito. Ha definito le accuse «assurde e politicamente pilotate» e ha precisato di aver svolto una «piena e normale attività legale», spiegando che ogni pagamento ricevuto dalle società citate era legato a prestazioni professionali, fatturato in maniera regolare e dichiarato al fisco. «Non è stato mai nascosto nulla», ha ribadito.
La revoca dell’immunità è un provvedimento che consente azioni investigative invasive contro un deputato in carica. Afd, formazione politica già sotto pressione per altre vicende giudiziarie riguardanti suoi esponenti, vede così coinvolto uno dei suoi rappresentanti più conosciuti a livello europeo. Non mancano, tra l’altro, valutazioni critiche sulla tempistica dell’operazione, avvenuta a pochi mesi dalle elezioni regionali in Germania orientale, dove Krah gode di una base elettorale significativa.
Il profilo politico del deputato contribuisce ad accrescere l’attenzione e, incidentalmente, anche il sospetto del deputato medesimo. Durante il suo mandato a Strasburgo, Krah si è distinto per posizioni considerate vicine a quelle di Pechino. Nel 2019, ad esempio, si era opposto a una risoluzione che denunciava la repressione degli uiguri in Cina, definendo le notizie sui campi di detenzione «propaganda anticinese». Nel 2022 votò contro il rapporto di un comitato che proponeva misure per limitare l’influenza cinese e russa in Europa.
Anche nelle discussioni parlamentari, Krah aveva più volte sostenuto che una linea di conflitto con la Cina avrebbe condotto l’Europa «fuori strada» e che la politica europea avrebbe dovuto evitare il disaccoppiamento economico.
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Il nuovo capo del governo, che ieri ha visto il suo ex leader Nicolas Sarkozy, rischia di perdere il sostegno perfino di alcuni parlamentari eletti nel partito del presidente. Mozione di 104 deputati contro l’inquilino dell’Eliseo.A pochi mesi dalle Regionali, il Parlamento tedesco toglie le garanzie a Maximilian Krah, accusato di aver ricevuto soldi dalla Cina: perquisiti i suoi uffici e la sua casa.Lo speciale contiene due articoli Il nuovo premier francese Sébastien Lecornu ha effettuato ieri delle visite protocollari ai presidenti dei due rami del Parlamento, ma ha anche incontrato l’ex presidente della Repubblica Nicolas Sarkozy. Così facendo ha dato ragione a chi, un po’ malignamente, pensa che il neo primo ministro non sia destinato a cambiare i destini della Francia. In effetti viene da chiedersi come mai, oltre a vedere i vertici istituzionali come vuole la tradizione repubblicana, Lecornu abbia avuto bisogno di andare a far visita ad un ex leader che, sebbene influente, sta attraversando un periodaccio. Ad inizio anno è stato condannato in via definitiva nel processo «des écoutes» (le intercettazioni). E poi Sarkozy è in attesa della sentenza del processo sui presunti finanziamenti libici della campagna presidenziale del 2007. L’ex inquilino dell’Eliseo è stato privato recentemente anche della Legione d’onore a causa delle vicende giudiziarie. Certo, il nuovo capo del governo francese (ancora da formare) può incontrare chi vuole, ed è anche vero che la sua militanza politica è iniziata proprio nel partito fondato da Sarkozy. Ma che bisogno c’era di correre dal proprio ex «capo» quando ci si appresta a guidare un Paese? Le Figaro ha riportato le parole entusiaste usate dallo staff dell’ex presidente dopo l’incontro con Lecornu. «Nicolas Sarkozy è stato contento di questo momento» e «ha ribadito la sua amicizia e testimoniato il suo sostegno». Da segnalare che, sempre ieri, l’ex capo dello Stato francese ha incontrato l’ex premier macronista Gabriel Attal. Lasciando da parte il marito di Carla Bruni, ieri l’ex premier Dominique de Villepin ha usato il vetriolo per commentare la nomina di Lecornu. Su France info, De Villepin ha dichiarato che il neo premier «non deve essere il simpatico cagnolino del presidente» e che la deve smettere di fare il gioco «dei ragazzini che divertono il presidente, con in mano un bicchiere di whisky, raccontando storielle o prendendo in giro qualcuno» visto che «è questo che hanno fatto, l’uno e l’altro, nel corso degli anni».Tornando agli incontri istituzionali, il primo si è svolto all’Assemblea nazionale, dove Lecornu era atteso dal presidente di questo ramo del Parlamento, la macronista Yaël Braun-Pivet. Dopo il rendez-vous, Braun-Pivet ha scritto su X che «i francesi si aspettano che sappiamo unire le nostre forze invece di rimarcare le nostre differenze». Il presidente della Camera bassa transalpina ha si è anche rivolto ai suoi colleghi dicendo che spetta «ai deputati l’andare oltre le differenze per far progredire il nostro Paese». Parole interessanti quelle di Braun-Pivet, una donna al vertice di un’aula parlamentare che, quando si è trattato di eleggere i vicepresidenti e altre cariche dopo le elezioni dell’anno scorso, ha fatto di tutto per tagliare fuori i deputati del Rassemblement national di Marine Le Pen. E pazienza se questo partito avesse ottenuto un terzo degli scranni.L’incontro con Gérard Larcher, il presidente del Senato e seconda carica dello Stato, è avvenuto nel pomeriggio ma, quando questa edizione della Verità andava in stampa, non c’erano ancora aggiornamenti rilasciati dalla Camera alta del Parlamento francese. Tuttavia, già in mattinata su Bfm tv, Larcher aveva criticato la mozione per la destituzione di Macron e aperto la porta ai socialisti tentati di sostenere il governo.Nel frattempo, ieri alcuni partiti e sindacati hanno fatto delle nuove mosse e inviato segnali non proprio di pace al neo premier. In merito alla riforma delle pensioni, un portavoce del sindacato Cfdt, ha dichiarato all’agenzia di stampa France Presse che per la sua sigla «è fuori questione che si rilanci il conclave sulle pensioni». Questo nome ecclesiale era stato scelto dall’ex premier François Bayrou per battezzare le trattative tra governo, sindacati e imprenditori, che avrebbero dovuto portare ad una nuova normativa previdenziale. Ma oltre alle pensioni, il neo premier ha anche altre gatte da pelare. In primis l’ostilità di una buona fetta dell’Assemblea nazionale. È da questo emiciclo che, sempre ieri, la deputata di estrema sinistra de La France Insoumise, Mathilde Panot, ha fatto sapere via X che la mozione per la destituzione del presidente Emmanuel Macron ha già ottenuto le firme di 104 deputati di sinistra. Lecornu rischia inoltre di perdere il sostegno di alcuni deputati macronisti che sarebbero tentati da un avvicinamento con alcune posizioni del Partito socialista come la tassazione dei «ricchi» o la riduzione dei tagli di bilancio. E poi c’è il capitolo sicurezza che, come si è visto con le devastazioni provocate dall’estrema sinistra e dai black block nelle manifestazioni di mercoledì, è davvero un’emergenza nazionale con la quale Lecornu dovrà fare i conti. Alle minacce minacce alla convivenza civile, promosse dall’estrema sinistra e da disobbedienti vari, vanno aggiunte quelle provenienti dal narcotraffico, che sta rendendo la Francia sempre più simile al Messico, nonché le insidie provenienti dagli islamisti che infiltrano sempre di più la società e le istituzioni transalpine. Purtroppo per Lecornu, inoltre, oggi Fitch renderà noto il suo rating sulla Francia, mentre il 18 settembre è previsto un nuovo sciopero generale.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/dubbi-tra-macronisti-premier-lecornu-2673987960.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="via-limmunita-al-deputato-di-afd" data-post-id="2673987960" data-published-at="1757665866" data-use-pagination="False"> Via l’immunità al deputato di Afd Il Bundestag, ossia il Parlamento federale tedesco, ha revocato l’immunità parlamentare di Maximilian Krah, deputato dell’Alternative für Deutschland. La decisione ha consentito agli inquirenti di procedere a una serie di perquisizioni negli uffici e nelle abitazioni del politico. Al centro del procedimento vi sarebbe un’indagine per sospetto di corruzione e riciclaggio di denaro con presunti legami a fonti cinesi.Il retroterra della vicenda riguarda un’inchiesta per presunta corruzione e riciclaggio di denaro. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, durante il periodo trascorso al Parlamento europeo, tra il 2019 e il 2025, Krah avrebbe ricevuto pagamenti da ambienti imprenditoriali cinesi. Le informazioni sarebbero emerse da indagini già in corso sul suo ex collaboratore a Strasburgo, Jian G., arrestato nell’aprile 2024 con l’accusa di spionaggio a favore della Repubblica popolare cinese e attualmente sotto processo a Dresda.Proprio attraverso l’analisi dei rapporti di Jian G., gli investigatori avrebbero individuato versamenti considerati sospetti a favore di due studi legali presso i quali Krah aveva lavorato in passato. Si tratterebbe, in base agli atti, di oltre 50.000 euro transitati tra il 2019 e il 2022. L’accusa ritiene che parte di queste somme provenissero da società cinesi e da aziende tedesche legate allo stesso Jian G. Una di queste società, con sede nel Rheinland e attiva formalmente nel commercio di tende da sole e arredi per ufficio, era gestita da una collaboratrice di Jian G., la cittadina cinese Min Z.Le autorità parlano di fatture sospette e di pagamenti ricorrenti che avrebbero interessato le strutture professionali collegate a Krah. Secondo gli investigatori, si sarebbe trattato di un meccanismo volto a mascherare compensi indebiti. Al momento, tuttavia, non sono state rese note prove documentali oltre ai flussi finanziari già descritti e nessuna imputazione formale è stata depositata nei confronti del deputato.Krah, incalzato nelle scorse settimane dai giornalisti, ha sempre respinto ogni addebito. Ha definito le accuse «assurde e politicamente pilotate» e ha precisato di aver svolto una «piena e normale attività legale», spiegando che ogni pagamento ricevuto dalle società citate era legato a prestazioni professionali, fatturato in maniera regolare e dichiarato al fisco. «Non è stato mai nascosto nulla», ha ribadito.La revoca dell’immunità è un provvedimento che consente azioni investigative invasive contro un deputato in carica. Afd, formazione politica già sotto pressione per altre vicende giudiziarie riguardanti suoi esponenti, vede così coinvolto uno dei suoi rappresentanti più conosciuti a livello europeo. Non mancano, tra l’altro, valutazioni critiche sulla tempistica dell’operazione, avvenuta a pochi mesi dalle elezioni regionali in Germania orientale, dove Krah gode di una base elettorale significativa.Il profilo politico del deputato contribuisce ad accrescere l’attenzione e, incidentalmente, anche il sospetto del deputato medesimo. Durante il suo mandato a Strasburgo, Krah si è distinto per posizioni considerate vicine a quelle di Pechino. Nel 2019, ad esempio, si era opposto a una risoluzione che denunciava la repressione degli uiguri in Cina, definendo le notizie sui campi di detenzione «propaganda anticinese». Nel 2022 votò contro il rapporto di un comitato che proponeva misure per limitare l’influenza cinese e russa in Europa.Anche nelle discussioni parlamentari, Krah aveva più volte sostenuto che una linea di conflitto con la Cina avrebbe condotto l’Europa «fuori strada» e che la politica europea avrebbe dovuto evitare il disaccoppiamento economico.
Sergio Mattarella (Ansa)
Si torna quindi all’originale, fedeli al manoscritto autografo del paroliere, che morì durante l’assedio di Roma per una ferita alla gamba. Lo certifica il documento oggi conservato al Museo del Risorgimento di Torino.
La svolta riguarderà soprattutto le cerimonie militari ufficiali. Lo Stato Maggiore della Difesa, in un documento datato 2 dicembre, ha infatti inviato l’ordine a tutte le forze armate: durante gli eventi istituzionali e le manifestazioni militari nelle quali verrà eseguito l’inno nella versione cantata - che parte con un «Allegro marziale» -, il grido in questione dovrà essere omesso. E viene raccomandata «la scrupolosa osservanza» a tutti i livelli, fino al più piccolo presidio territoriale, dalla Guardia di Finanza all’Esercito. Ovviamente nessuno farà una piega se allo stadio i tifosi o i calciatori della nazionale azzurra (discorso che vale per tutti gli sport) faranno uno strappo alla regola, anche se la strada ormai è tracciata.
Per confermare la bontà della decisione del Colle basta ricordare le indicazioni che il Maestro Riccardo Muti diede ai 3.000 coristi (professionisti e amatori, dai 4 agli 87 anni) radunati a Ravenna lo scorso giugno per l’evento dal titolo agostiniano «Cantare amantis est» (Cantare è proprio di chi ama). Proprio in quell’occasione, come avevamo raccontato su queste pagine, il grande direttore d’orchestra - che da decenni cerca di spazzare via dall’opera italiana le aggiunte postume, gli abbellimenti non richiesti e gli acuti non scritti dagli autori, ripulendo le partiture dalle «bieche prassi erroneamente chiamate tradizioni» - ordinò a un coro neonato ma allo stesso tempo immenso: «Il “sì” finale non si canta, nel manoscritto non c’è».
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Scott Bessent (Ansa)
Partiamo da Washington, dove il Pil non solo non rallenta, ma accelera. Nel terzo trimestre dell’anno, da luglio a settembre, l’economia americana è cresciuta del 4,3%. Non un decimale in più o in meno: un punto pieno sopra le attese, ferme a un modesto 3,3%. Un dato arrivato in ritardo, complice lo stop federale che ha paralizzato le attività pubbliche, ma che ha avuto l’effetto di una doccia fredda per gli analisti più pessimisti. Altro che frenata da dazi: rispetto al secondo trimestre, l’incremento è stato dell’1,1%. Altro che economia sotto anestesia. Una successo che spinge Scott Bessent, segretario del Tesoro, a fare pressioni sulla Fed perché tagli i tassi e riveda al ribasso dal 2% all’1,5% il tetto all’inflazione. Il motore della crescita? I consumi, tanto per cambiare. Gli americani hanno continuato a spendere come se i dazi fossero un concetto astratto da talk show. Nel terzo trimestre i consumi sono saliti del 3,5%, dopo il più 2,5% dei mesi precedenti. A spingere il Pil hanno contribuito anche le esportazioni e la spesa pubblica, in un mix poco ideologico e molto concreto. La morale è semplice: mentre la politica discute, l’economia va avanti. E spesso prende un’altra direzione.
E l’Europa? Doveva essere la prima vittima collaterale della guerra commerciale. Anche qui, però, i numeri si ostinano a non obbedire alle narrazioni. L’Italia, per esempio, a novembre ha visto rafforzarsi il saldo commerciale con i Paesi extra Ue, arrivato a più 6,9 miliardi di euro, contro i 5,3 miliardi dello stesso mese del 2024. Quanto agli Stati Uniti, l’export italiano registra sì un calo, ma limitato: meno 3%. Una flessione che somiglia più a un raffreddore stagionale che a una polmonite da dazi. Non esattamente lo scenario da catastrofe annunciata.
Anche la Bce, che per statuto non indulge in entusiasmi, ha dovuto prendere atto della resilienza dell’economia europea. Le nuove proiezioni parlano di una crescita dell’eurozona all’1,4% nel 2025, in rialzo rispetto all’1,2% stimato a settembre, e dell’1,2% nel 2026, contro l’1,0 precedente. Non è un boom, certo, ma nemmeno il deserto postbellico evocato dai più allarmisti. Soprattutto, è un segnale: l’Europa cresce nonostante tutto, e nonostante tutti. E poi c’è la Cina, che osserva il dibattito globale con il sorriso di chi incassa. Nei primi undici mesi del 2025 Pechino ha messo a segno un surplus commerciale record di oltre 1.000 miliardi di dollari, con esportazioni superiori ai 3.400 miliardi. Altro che isolamento: la fabbrica del mondo continua a macinare numeri, mentre l’Occidente discute se i dazi siano il male assoluto o solo un peccato veniale.
Alla fine, la lezione è sempre la stessa. I dazi fanno rumore, le previsioni pure. Ma l’economia parla a bassa voce e con i numeri. E spesso, come in questo caso, si diverte a smentire chi aveva già scritto il copione del disastro. Le cassandre restano senza applausi. Le statistiche, ancora una volta, si prendono la scena.
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Paolo Barletta, Ceo Arsenale S.p.a. (Ansa)
Il contributo di Simest è pari a 15 milioni e passa dalla Sezione Infrastrutture del Fondo 394/81, plafond in convenzione con il ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, dedicato alle imprese italiane impegnate in grandi commesse estere che valorizzano la filiera nazionale. In termini di struttura, il capitale sociale congiunto copre la componente di rischio industriale, mentre la componente del fondo saudita sostiene la rampa di avvio del progetto, riducendo il fabbisogno di capitale a carico dei partner italiani e rafforzando la bancabilità dell’iniziativa nel Paese ospitante, presentata come modello pubblico-privato nel segmento ferroviario di lusso.
L’intesa è inserita nella collaborazione Italia-Arabia Saudita, richiamando l’apertura della sede Simest a Riyadh e il Memorandum of Understanding tra Cdp, Simest e Jiacc. «Dream of the Desert» è indicato come progetto apripista di un modello pubblico-privato nel trasporto ferroviario di lusso.
«Dream of the Desert è un progetto simbolo per il nostro gruppo e per l’industria ferroviaria internazionale. Valorizza le Pmi italiane e costituisce un caso apripista di partnership pubblico-privata nel settore ferroviario di lusso. L’accordo siglato con Simest e le istituzioni saudite conferma come la collaborazione tra imprese e istituzioni possa creare valore duraturo e promuovere le eccellenze italiane nel mondo», commenta Paolo Barletta, amministratore delegato di Arsenale.
Regina Corradini D’Arienzo, amministratore delegato di Simest, aggiunge: «L’intesa sottoscritta con un primario attore industriale come Arsenale per la realizzazione di un progetto strategico per il Made in Italy, conferma il rafforzamento del ruolo di Simest a sostegno del tessuto produttivo italiano e delle sue filiere. Attraverso la prima operazione realizzata nell’ambito del Plafond di equity del fondo pubblico di Investimenti infrastrutturali», continua la numero uno del gruppo, «Simest interviene direttamente come socio per accrescere la competitività delle nostre imprese impegnate in progetti infrastrutturali ad alto valore aggiunto, favorendo al contempo l’espansione del Made in Italy in mercati strategici ad elevato potenziale di crescita, come quello saudita. Lo strumento, sviluppato da Simest sotto la regia del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e in collaborazione con Cassa depositi e prestiti, si inserisce pienamente nell’azione del Sistema Italia, che, sotto la regia della Farnesina, vede il coinvolgimento di Cdp, Simest, Ice e Sace. Un approccio integrato volto a garantire alle imprese italiane un supporto strutturato e complementare, dall’azione istituzionale a quella finanziaria, per affrontare con efficacia le principali sfide della competitività internazionale».
Sul piano industriale, Arsenale dichiara un treno interamente progettato, prodotto e allestito in Italia: gli hub Cpl (Brindisi) e Standgreen (Bergamo) operano con Cantieri ferroviari italiani (Cfi) come general contractor, coordinando una rete di Pmi (design, meccanica avanzata, ingegneria, lusso e hospitality). Per il committente estero, questa configurazione «turnkey (chiavi in mano, ndr.)» concentra in un unico soggetto il coordinamento di produzione, integrazione e allestimento; per l’ecosistema italiano, sposta volumi e valore aggiunto lungo la catena domestica, fino alla finitura degli interni ad alto contenuto di design.
Il prodotto sarà un treno di ultra lusso con itinerari da uno a due notti: partenza da Riyadh e collegamenti verso destinazioni iconiche del Regno, tra cui Alula (sito Unesco) e Hail, fino al confine con la Giordania. Gli interni sono firmati dall’architetto e interior designer Aline Asmar d’Amman, fondatore dello studio Culture in Architecture. La prima carrozza è stata consegnata a settembre 2025; l’avvio operativo è previsto per fine 2026, con prenotazioni aperte da novembre 2025.
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Matteo Hallissey (Ansa)
Il video è accompagnato da un post: «Abbiamo messo in atto», scrive l’ex perfetto sconosciuto Hallisey, «un flash mob pacifico pro Ucraina all’interno di un convegno filorusso organizzato dall’Anpi all’università Federico II di Napoli. Dopo aver atteso il termine dell’evento con Alessandro Di Battista e il professor D’Orsi e al momento delle domande, decine di studenti e attivisti pro Ucraina di +Europa, Ora!, Radicali, Liberi Oltre, Azione e della comunità ucraina hanno mostrato maglie e bandiere ucraine. È vergognoso che non ci sia stata data la possibilità di fare domande e che l’attivista che stava interloquendo con i relatori sia stato aggredito e spinto da un rappresentante dell’Anpi fino a rompere il microfono. Anch’io sono stato aggredito violentemente», aggiunge il giovane radicale, «mentre provavo a fare una domanda a D’Orsi sulla sua partecipazione alla sfilata di gala di Russia Today a Mosca due mesi fa. Chi rivendica la storia antifascista e partigiana non può non condannare queste azioni di fronte a una manifestazione pacifica».
Rivedendo più volte il video al Var, di aggressioni non ne abbiamo viste, a parte come detto qualche spinta, ma va detto pure che quando Hallissey scrive «mentre provavo a fare una domanda a D’Orsi», omette di precisare che quella domanda è stata posta al professore, ma in maniera tutt’altro che pacata: le urla del buon Matteo sono scolpite nel video da lui stesso, ripetiamo, pubblicato. Per quel che riguarda la rottura del microfono, le immagini, viste e riviste non chiariscono se il fallo c’è o no: si vede un giovane attivista che contende un microfono a D’Orsi, ma i frame non permettono di accertare se alla fine si sia rotto o sia rimasto intero.
Quello che è certo è che ieri sono piovuti nelle redazioni i soliti comunicati di solidarietà, non solo da parte di Azione, degli stessi Radicali e di Benedetto Della Vedova, ma anche del capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami, che su X ha vergato un severo post: «Solidarietà a Matteo Hallissey, presidente dei Radicali italiani», ha scritto Bignami, «aggredito a un evento Anpi per aver provato a porre domande in un flash mob pacifico. Da chi ogni giorno impartisce lezioni di democrazia ma reagisce con violenza, non accettiamo lezioni». Non si comprende, come abbiamo detto, dove sia la violenza, perché per una volta bisogna pur mettere da parte il politically correct e l’ipocrisia dilagante e dire le cose come stanno: dal video emerge in maniera cristallina la natura provocatoria del flash mob pro Ucraina, e da quelle urla e da quegli atteggiamenti, per noi che abbiamo purtroppo l’abitudine a pensar male, anche se si fa peccato, fa capolino pure che magari l’obiettivo era proprio quello di scatenare una reazione violenta da parte dei partecipanti al convegno.
Non lo sapremo mai: quello che sappiamo è che i Radicali, sigla che nella politica italiana ha avuto un ruolo di primissimo piano per tante battaglie condotte in primis dal compianto Marco Pannella, sono ormai ridotti a praticare forme di puro macchiettismo politico, pur di ottenere un po’ di visibilità: ricorderete lo show di Riccardo Magi, deputato di +Europa, che vaga nell’aula di Montecitorio vestito da fantasma. A proposito di Magi: il congresso che lo scorso febbraio ha rieletto segretario di +Europa il deputato fantasma è stato caratterizzato da innumerevoli polemiche e altrettante ombre. Poche ore prima della chiusura del tesseramento, il 31 dicembre, dalla provincia di Napoli, in particolare da Giugliano e Afragola, arrivano la bellezza di 1.900 nuovi iscritti, praticamente un terzo dell’intera platea di tesserati, iscritti che poi si traducono in delegati che eleggono i vertici del partito. Una conversione di massa alla causa radicale degli abitanti di questi due popolosi comuni del Napoletano in sostanza stravolge gli equilibri congressuali. Tra accuse e controaccuse, un giovanissimo militante, alla fine dello stesso congresso, sconfigge nella corsa alla presidenza di +Europa uno storico esponente del partito come Benedetto Della Vedova. Si tratta proprio di Matteo Hallissey.
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