Il problema non sono i conti pubblici, ma il deficit della bilancia commerciale. Dovuto a una moneta troppo forte, che ha permesso acquisti all’estero illimitati. Ora per tornare competitivi serve rigore, ma senza poter smorzare le tensioni sociali con la svalutazione.
Il problema non sono i conti pubblici, ma il deficit della bilancia commerciale. Dovuto a una moneta troppo forte, che ha permesso acquisti all’estero illimitati. Ora per tornare competitivi serve rigore, ma senza poter smorzare le tensioni sociali con la svalutazione.Ci sono prevalentemente due modi per analizzare e commentare le difficoltà politiche ed economiche della Francia. Il primo è quello di affidarsi alla spiegazione facile del deficit e del debito pubblico su livelli storicamente elevati. Il secondo è comprendere che il problema è molto più a monte e la situazione delle finanze pubbliche è solo l’ultimo sottoprodotto di squilibri di altra natura. In ogni caso, le difficoltà politiche - con sette primi ministri alternatisi dal 2017 durante la seconda presidenza di Emmanuel Macron - sono l’inevitabile e logico effetto di quegli squilibri. Infatti per porvi rimedio, con l’unico percorso socialmente devastante che è possibile nell’unione monetaria, è difficile trovare il consenso politico.È dalla accertata modesta competitività dell’economia che bisogna partire. A cascata, segue tutto il resto. Il termometro è costituito dai conti con l’estero. Il primo dato è quello della posizione netta sull’estero (Niip l’acronimo), cioè il saldo tra attività finanziarie detenute dai francesi all’estero e attività finanziarie detenute dal resto del mondo in Francia. Qui siamo alla rilevante cifra di un debito verso l’estero di 793 miliardi al 31 marzo 2025, circa il 25% del Pil. L’Italia al confronto è creditrice netta per 283 miliardi. Il vero rischio è quello che i creditori esteri girino le spalle a Parigi, di cui comunque detengono circa il 50% del debito pubblico. Se questo è il «livello dell’inondazione», i rubinetti che la alimentano sono diversi. Il più importante è la bilancia commerciale delle merci in strutturale deficit (59 miliardi nel 2024), appena bilanciata dai 56 miliardi del surplus dei servizi. Ed è proprio questo aspetto che salva oggi la Francia da difficoltà ancora superiori. Infatti la forza del suo settore finanziario, oltre a vendere servizi in tutto il mondo, le consente anche di incassare consistenti flussi di dividendi e interessi (redditi primari) per 55 miliardi nel 2024. Il saldo delle partite correnti torna però negativo a causa delle rimesse degli immigrati soprattutto nordafricani residenti in Francia per 49 miliardi.Il combinarsi di questi flussi, soprattutto a partire dal 2016/2017, ha portato la Francia dov’è oggi. Per recuperare competitività e correggere quegli squilibri è obbligata a una dolorosa deflazione che passa anche attraverso una drastica riduzione del deficit pubblico. A tutt’oggi quasi sempre ben al di sopra della soglia del 3%.Quando si chiama in causa una politica di bilancio restrittiva è solo per ricordare il suo necessario concorso al processo di deflazione e recupero di competitività, per gli ovvi effetti dal lato della domanda. Questa consapevolezza stenta a farsi largo nell’opinione pubblica francese, con l’eccezione di un eccellente editoriale uscito mercoledì su Le Figaro, firmato da Jean-Pierre Robin, dal significativo titolo «La doppia trappola dell’euro per i francesi». La prima trappola è stata quella del venir meno del vincolo della bilancia dei pagamenti. Infatti, in un mondo normale (diverso dall’eurozona) l’acquisto illimitato di prodotti esteri sarebbe stato impedito dall’esaurirsi delle riserve valutarie e dalla svalutazione della moneta. La classica crisi di bilancia dei pagamenti. Invece «abbandonando il franco, che era stato svalutato tredici volte tra il 1944 e il 1987, i francesi si sono appropriati del marco tedesco, la matrice dell’euro, e hanno abusato di questa moneta forte che offriva loro prospettive allettanti». Credito a volontà per tutti in uno scenario di tassi reali decrescenti. Sembrava Bengodi ma in realtà era una trappola. Una crescita a credito, dove non si passa mai a saldare il conto, che è sempre aperto presso la Bce (il saldo Target 2).Chi sa dov’è il problema e quali sono i rimedi, come il governatore della Banca di Francia, François Villeroy de Galhau, ha lapidariamente dichiarato che «non abbiamo alcun controllo sul cambio dell’euro, il che rende molto più difficili rispetto al passato gli aggiustamenti necessari per riequilibrare i disavanzi pubblici ed esteri». Peccato che quegli stessi «aggiustamenti difficili» siano stati imposti all’Italia nella sciagurata stagione 2011-2014, senza che nessuno obiettasse nulla. Allo stesso modo denuncia la situazione Jacques de Larosière, ex direttore del Fmi e della Banca di Francia: «La moneta unica si è accompagnata, in alcuni Paesi, a un indebitamento pubblico inimmaginabile, senza guadagni di efficienza (aumenti di produttività, allocazione delle risorse) in cambio […] Ci siamo indebitati per soddisfare i nostri bisogni correnti invece di investire, come dimostrano la deindustrializzazione e i deficit commerciali senza precedenti».La seconda trappola è proprio quella che, non avendo alcun controllo sulla moneta, costringe a recuperare competitività passando solo attraverso una drastica deflazione. Esattamente ciò che la Francia rifiuta di fare da almeno 10 anni, senza che la politica fiscale pro imprese di Macron sia riuscita a ottenere risultati tangibili. Il classico ruolo di ammortizzatore, almeno di breve periodo, degli shock economici esercitato dalla moneta è oggi impossibile. Invece la «svolta del rigore» del 1983 era stata accompagnata dalla terza svalutazione del franco in due anni, sufficiente a smorzare le inevitabili tensioni sociali. In questo caso, «l’aiutino» della Bce, proprio ieri dichiaratasi pronta al soccorso, potrebbe non bastare.I francesi devono attuare la stessa «cura Monti» imposta all’Italia nel 2011, avendo meno tempo a disposizione e con meno consenso sociale. Con l’euro funziona così: prima ti illude, poi ti punisce.
Christine Lagarde (Ansa)
I tassi restano fermi. Forse se ne parlerà a dicembre. Occhi sulla Francia: «Pronti a intervenire per calmare i mercati».
Peter Mandelson, amico di Jeffrey Epstein, e Keir Starmer (Getty)
Il primo ministro: «Rimosso per rispetto delle vittime». Pochi giorni fa lo difendeva.
2025-09-12
Migranti, Meloni: «Il governo non si rassegna. Combattiamo il traffico di esseri umani»
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Giorgia Meloni al Forum della Guardia Costiera (Ansa)
Il premier al Forum della Guardia Costiera: «Il Calo degli sbarchi è incoraggiante. Il nostro approccio va oltre le inutili ideologie».
«Il lavoro della Guardia Costiera consiste anche nel combattere le molteplici forme di illegalità in campo marittimo, a partire da quelle che si ramificano su base internazionale e si stanno caratterizzando come fenomeni globali. Uno di questi è il traffico di migranti, attività criminale tra le più redditizie al mondo che rapporti Onu certificano aver eguagliato per volume di affari il traffico di droga dopo aver superato il traffico di armi. Una intollerabile forma moderna di schiavitù che nel 2024 ha condotto alla morte oltre 9000 persone sulle rotte migratorie e il governo intende combattere. Di fronte a questo fenomeno possiamo rassegnarci o agire, e noi abbiamo scelto di agire e serve il coraggio di trovare insieme soluzioni innovative». Ha dichiarato la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni durante l'intervento al Forum della Guardia Costiera 2025 al centro congresso la Nuvola a Roma.
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