2025-11-02
«Il papà del “No” è un figlio delle correnti»
Luca Palamara (Getty Images)
L’ex magistrato Luca Palamara: «Grosso, leader del comitato anti riforma, mi tira in ballo per il “vecchio sistema opaco” del Csm e dice che è già stata fatta pulizia. Dovrebbe essere più prudente. Probabilmente ignora come siano stati nominati i suoi prossimi congiunti».La campagna per il referendum sulla riforma della giustizia elaborata dalla maggioranza è iniziata in modo scoppiettante e c’è chi ha pensato bene di riesumare il fantasma del «Sistema Palamara» per tentare di confinare nel passato i peccati della magistratura. L’ultimo è il prof Enrico Grosso, nuovo volto del fronte del No, che su Repubblica ha affermato: «I magistrati non sono immuni da errori e cadute ed è esistito un caso Palamara. Le correnti sono citate ormai solo con accezione deteriore, una parola diventata oggetto contundente. Ma si deve stare anche ai fatti: una volta emerso quel sistema opaco con Palamara, è stata fatta pulizia, lo stesso Csm ha dimostrato che le degenerazioni appartenevano al passato». Parole che all’ex presidente dell’Anm devono essere suonate come una provocazione. E ora Palamara ribatte senza filtri: «Troppa polvere è stata lasciata sotto il tappeto» da una magistratura che non si è affatto liberata dalle correnti e che, anzi, «ha spostato l’asse a sinistra».È corretto parlare di purificazione?«Il 29 maggio del 2019, ai magistrati italiani gli organi di informazione di riferimento hanno raccontato di apocalittici episodi di corruzione al Csm e di nomine vendute per 40.000 euro. Ovvio che all’interno della magistratura ci sia stato in quel momento chi ha voluto cavalcare l’onda terrorizzando chi non si allineava a quella linea di pensiero con una conseguenza inevitabile, quella di spostare la magistratura a sinistra. Oggi, guarda caso, sono quegli stessi organi di informazione che rilanciano temi che trasudano di ipocrisia. Infatti, a proposito del “sistema opaco” evocato da Grosso, a quest’ultimo andrebbe ricordato che proprio quel sistema ha portato alla nomina di quei dirigenti che ancora oggi occupano le più importanti poltrone, a iniziare dalla Procura nazionale antimafia per finire agli uffici giudiziari del Piemonte nel cui ambito operano gli stessi prossimi congiunti di Grosso».Una sorta di pulizia, però, c’è stata…«Fossi in Grosso userei molta attenzione a sostenere che il Csm abbia fatto pulizia. Troppa polvere è stata lasciata sotto il tappeto e chi gli ha fatto da suggeritore farebbe bene a consigliargli di non accostare il mio nome a fatti e vicende che, forse, non conosce bene. Basterebbe, ad esempio, che si facesse una chiacchierata con l’ex consigliera del Csm Ilaria Pepe, la quale, sentita come testimone a Brescia, ha dichiarato che sulla nomina del procuratore di Roma aleggiavano delle forze oscure. Oppure dovrebbe riflettere sulle ragioni per cui gli ultimi tre procuratori nazionali Antimafia sono transitati direttamente dalle fila della magistratura a quelle della politica. Qui non parliamo del passato, ma di fatti successivi a quelli a cui si riferisce Grosso. E, ovviamente, gli esempi potrebbero continuare».Lei conosce personalmente Grosso?«No. Però ho avuto il privilegio di conoscere suo padre, Carlo Federico, che sovente invitavamo ai convegni dell’Associazione nazionale magistrati e del Csm. Enrico Grosso l’ho conosciuto attraverso i racconti del papà, che lo descriveva come un amante della barca a vela, e di miei colleghi di Torino nel cui distretto giudiziario opera anche la moglie».A proposito della polvere sotto il tappeto a cosa si riferisce?«Nei miei racconti non ho mai inteso togliermi sassolini dalle scarpe, ma semmai far comprendere all’opinione pubblica i meccanismi interni di funzionamento dell’ordine giudiziario e le storture che inevitabilmente hanno riguardato magistrati di tutte le correnti, rispetto alle quali lo stesso Csm e i probiviri dell’Anm hanno fatto ricorso al doppiopesismo, i miei amici sono stati “mascariati”, quelli che hanno preso le distanze da me, in qualche modo, sono stati salvati».Inevitabilmente il suo nome ritorna al centro della discussione politica…«È evidente che oggi non siamo nel 2019: sicché ogni qualvolta il mio nome verrà indebitamente tirato in ballo e, soprattutto, accostato alla parola scandalo reagirò in tutte le sedi giudiziarie e istituzionali. Se il comitato del No non è in grado di spiegare le proprie ragioni senza ricorrere all’ipocrisia dovrebbe tacere».Dopo questa fatwa i promotori dei comitati del No, forse, dovrebbero toccare ferro. Molti di quelli che hanno avuto un ruolo nella sua cacciata dalla magistratura hanno avuto a loro volta problemi giudiziari, da Giuseppe Pignatone a Pier Camillo Davigo…«Il grande bluff che si celava dietro al presunto scandalo di sei anni fa è ormai chiaro a tutti. Pignatone ha inviato a Perugia l’informativa da cui è partita la valanga che mi ha travolto. Ma quello scandalo gli si è un po’ ritorto contro, visto che, a mio giudizio, era pronto a ricoprire incarichi istituzionali come ha fatto il nostro ex collega Piero Grasso. Successivamente è pure rimasto incagliato nella vicenda di Caltanissetta che in qualche modo ha fatto riemergere gli spettri della Palermo degli anni Novanta. Per quanto riguarda Davigo, a un certo punto, ha deciso di cavalcare l’onda perché immagino che molti all’interno di quel Csm gli avessero rinfacciato l’appoggio a un candidato a capo della Procura di Roma che era anche il mio e quello dei renziani. Dopo pochi mesi è rimasto impigliato pure nella vicenda dei verbali della fantomatica Loggia Ungheria. Si tratta di fatti e vicende su cui c’è ancora molto da raccontare. E come sempre su questo mi rendo disponibile a essere audito nelle sedi competenti e quindi anche all’interno del Csm proprio per discutere del “sistema opaco” denunciato da Grosso».Entriamo un po’ nel merito della riforma della giustizia approvata definitivamente dal Parlamento: che giudizio dà alla separazione delle carriere tanto avversata da molti suoi vecchi colleghi?«Io penso che su questo argomento sarà necessaria grande chiarezza con i cittadini. Una delle obiezioni critiche alla separazione delle carriere è legato al fatto che il nostro modello ordinamentale a carriera unica è un modello invidiatoci dagli altri Stati. In realtà la separazione delle carriere è tipica dei sistemi caratterizzati da un processo accusatorio come avviene ad esempio in Spagna, Germania, Svezia, Inghilterra, Stati Uniti, Canada, Australia, Giappone, India e soprattutto in Portogallo, tipico esempio di ordinamento caratterizzato da carriere separate e da un pubblico ministero titolare dell’esercizio dell’azione penale in maniera assolutamente indipendente dal potere politico. Questo per dire che chi è contrario alla separazione delle carriere anziché lanciare il ballon d’essai del controllo politico sull’azione del pubblico ministero, dovrebbe preoccuparsi della necessità di garantire al Paese la terzietà e imparzialità di chi è chiamato a giudicare ridisegnando il ruolo dell’accusa e così riportarla su un piano di parità rispetto a quella della difesa».Che cosa pensa, invece, del sorteggio dei consiglieri di Palazzo Bachelet?«Io ritengo che la magistratura abbia bisogno di una nuova classe dirigente staccata dalla correntocrazia che, purtroppo, influenza ancora i meccanismi decisionali del potere giudiziario. Nonostante lo sforzo degli attuali componenti del Csm, il sistema interno alla magistratura è incentrato sulla correntocrazia che, inevitabilmente, finisce per valorizzare l’appartenenza rispetto al merito con il conseguente ricorso al giudice amministrativo. Alle nuove generazioni il compito di affrontare l’ardua impresa del rinnovamento al di fuori del condizionamento di quei magistrati politicizzati che all’interno della magistratura ancora pensano di fare il bello e cattivo tempo facendosi ospitare nei salotti televisivi di riferimento».
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