A metà marzo, ne ha parlato «Panorama». Il 25, in tv, segnalavo che nelle liste di certe Regioni c'erano troppi infiltrati. Il 27, ne ho scritto in un editoriale. Ma giornali e autorità si sono svegliati solo dopo gli strali di Mario Draghi
A metà marzo, ne ha parlato «Panorama». Il 25, in tv, segnalavo che nelle liste di certe Regioni c'erano troppi infiltrati. Il 27, ne ho scritto in un editoriale. Ma giornali e autorità si sono svegliati solo dopo gli strali di Mario DraghiDopo che ne ha parlato Mario Draghi, i giornaloni hanno scoperto l'esistenza dei furbetti del vaccino. Fino a ieri il loro interesse per la materia si era limitato a segnalare il caso di Andrea Scanzi, il collega del Fatto Quotidiano che, con la scusa dei genitori anziani e delle fiale che rischiavano di finire nella spazzatura, era stato inoculato in anticipo. Ma poi, messo il cronista per qualche giorno sulla graticola, l'argomento aveva perso d'interesse. E dire che già a metà marzo gli abusi erano evidenti, al punto che il settimanale Panorama aveva scelto di dedicare la copertina a una serie di personaggi illustri che, con vari espedienti, avevano scelto di saltare la fila. Sindaci, governatori, onorevoli, parlamentari, consiglieri regionali: chi accampando il titolo di avvocato, mestiere evidentemente ad alto rischio Covid, chi fingendo di passare davanti al centro vaccinale, e perciò di essere inoculato quasi a sua insaputa, la lista dei furbi già un mese fa era piuttosto lunga. Tuttavia, se la copertina di Panorama non fosse bastata, io stesso, in più di un'occasione, mi sono occupato dello scandalo citando i dati che ora, cioè dopo che il presidente del Consiglio ha parlato di trentenni vaccinati prima degli ottantenni, con sorpresa, citano anche i giornaloni. Era il 25 marzo il giorno in cui, durante una puntata di Dritto e rovescio, la trasmissione condotta su Rete 4 da Paolo Del Debbio, ho sventolato i dati che vedevano Sicilia, Campania, Calabria, Toscana in testa nella classifica delle Regioni con il più alto numero di imbucati. Nella Regione amministrata da Nello Musumeci, classificati sotto la voce «altro», c'erano più inoculati di qualsiasi altra categoria. Ottantenni, sanitari, ospiti delle case di riposo: nell'elenco tutti venivano dopo la fascia di persone non meglio identificate. Se alla Sicilia andava il primo posto poi, come detto, seguivano le altre, tutte accomunate dal fatto di aver lasciato che si ingrossasse la fila degli abusivi. Sul fenomeno che ha privilegiato vip e amici degli amici ho anche scritto un editoriale il 27 marzo e, visto il silenzio di chi avrebbe dovuto vigilare, sono tornato a parlarne in tv il giorno dopo, nella trasmissione domenicale di Barbara D'Urso che, segnalo per chi pensasse che la denuncia fosse destinata a rimanere clandestina, in quella puntata fu vista da 2 milioni e mezzo di persone. Insomma, sommando gli ascolti di Del Debbio con quelli della conduttrice di Canale 5 più i lettori della Verità, senza trascurare quelli di Panorama, diciamo che almeno 5 milioni di italiani sapevano che centinaia di migliaia di furbi stavano fregando il vaccino agli ottantenni, ai medici e agli infermieri. Dunque, in molti sapevano, tranne i colleghi che lavorano nei giornaloni e tranne i politici, i quali si atteggiano sempre ad Alice nel paese delle meraviglie. Pardon: degli orrori.Ma poi, ecco arrivare il presidente del Consiglio, con la sua conferenza stampa, e i begli addormentati nel mondo dell'informazione, all'improvviso si svegliano e scoprono che su 11 milioni e rotti di italiani vaccinati, ce ne sono circa 2 milioni che hanno saltato la fila e, guarda caso, in cima alla lista delle Regioni con più imbucati ci sono proprio quelle che modestamente avevo indicato, ovvero Sicilia, Campania, Calabria, Toscana, eccetera. Non serviva avere la vista di un'aquila per scorgere il macroscopico caso. Era sufficiente consultare il sito del governo, che quotidianamente aggiorna i numeri dei vaccinati, dividendo gli inoculati Regione per Regione e suddividendoli anche per categorie: personale sanitario, dipendenti che lavorano nel settore dei servizi sanitari anche senza essere medici o infermieri, addetti alle residenze per anziani, ultra ottantenni, uomini e donne delle forze dell'ordine, insegnanti e, infine, la mitica categoria che ha aperto le porte a ogni genere di furbi: «altro». Ecco, era lì lo scandalo, ma i guardiani del potere non l'hanno visto e se ne sono accorti solo quando la faccenda ha ottenuto il timbro dell'ufficialità.Se 2 milioni di italiani si sono vaccinati anche senza averne titolo, non è però solo colpa dei giornaloni che non hanno denunciato la cosa, ma soprattutto è responsabilità di chi doveva vigilare e non l'ha fatto. La notizia dell'esistenza di vaccinazioni abusive circola da almeno un mese e per tutto questo tempo nessuna autorità ha avuto qualcosa da ridire. Per poche migliaia di italiani che hanno deciso di trascorrere la Pasqua all'estero pur di non soggiacere ai divieti, si è mosso il ministro della Salute e, con un'ordinanza, ha disposto al rientro l'obbligo di quarantena e pure il tampone. Roberto Speranza non poteva fare un'ordinanza per impedire agli abusivi di rubare il vaccino agli ottantenni? Ovvio che no. Era troppo impegnato a occuparsi dei suoi libri, da ritirare dalle librerie prima che qualche lettore si accorgesse di che cosa aveva scritto.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Il ministro dell'Economia sulla legge di bilancio sottolinea l'obiettivo di tutelare e andare incontro alle famiglie e ai lavoratori. Tenendo conto degli altri fattori che incideranno sulla programmazione.
Giorgetti ha poi escluso la possibilità di una manovra correttiva: «Non c'è bisogno di correggere una rotta che già gli arbitri ci dicono essere quella rotta giusta» e sottolinea l'obiettivo di tutelare e andare incontro alle famiglie e ai lavoratori con uno sguardo alle famiglie numerose». Per quanto riguarda l'ipotesi di un intervento in manovra sulle banche ha detto: «Io penso che chiunque faccia l'amministratore pubblico debba valutare con attenzione ogni euro speso dalla pubblica amministrazione. Però queste sono valutazioni politiche, ribadisco che saranno fatte solo quando il quadro di priorità sarà definito e basta aspettare due settimane».
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Il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il direttore de La Verità Maurizio Belpietro
Il terzo panel dell’evento de La Verità ha approfondito la frontiera dell’eolico offshore con l’intervista condotta dal direttore Maurizio Belpietro a Riccardo Toto, direttore generale di Renexia. L’azienda, nata nel 2012 e attiva in Italia e all’estero nel settore delle rinnovabili, del fotovoltaico, delle infrastrutture e della mobilità elettrica, ha illustrato le proprie strategie per contribuire alla transizione energetica italiana.
Toto ha presentato il progetto di eolico offshore galleggiante al largo delle coste siciliane, destinato a produrre circa 2,7 gigawatt di energia rinnovabile. Un’iniziativa che, secondo il direttore di Renexia, rappresenta un’opportunità concreta per creare nuova occupazione e una filiera industriale nazionale: «Stiamo avviando una fabbrica in Abruzzo che genererebbe 3.200 posti di lavoro. Le rinnovabili oggi sono un’occasione per far partire un mercato che può valere fino a 45 miliardi di euro di valore aggiunto per l’economia italiana».
L’intervento ha sottolineato l’importanza di integrare le rinnovabili nel mix energetico, senza prescindere dal gas, dalle batterie e in futuro anche dal nucleare: elementi essenziali non solo per la sicurezza energetica ma anche per garantire crescita e competitività. «Non esiste un’economia senza energia - ha detto Toto - È utopistico pensare di avere solo veicoli elettrici o di modificare il mercato per legge». Toto ha inoltre evidenziato la necessità di una decisione politica chiara per far partire l’eolico offshore, con un decreto che stabilisca regole precise su dove realizzare i progetti e investimenti da privilegiare sul territorio italiano, evitando l’importazione di componenti dall’estero. Sul decreto Fer 2, secondo Renexia, occorre ripensare i tempi e le modalità: «Non dovrebbe essere lanciato prima del 2032. Serve un piano che favorisca gli investimenti in Italia e la nascita di una filiera industriale completa». Infine, Toto ha affrontato il tema della transizione energetica e dei limiti imposti dalla legislazione internazionale: la fine dei motori a combustione nel 2035, ad esempio, appare secondo lui irrealistica senza un sistema energetico pronto. «Non si può pensare di arrivare negli Usa con aerei a idrogeno o di avere un sistema completamente elettrico senza basi logiche e infrastrutturali solide».
L’incontro ha così messo in luce le opportunità dell’eolico offshore come leva strategica per innovazione, lavoro e crescita economica, sottolineando l’urgenza di politiche coerenti e investimenti mirati per trasformare l’Italia in un hub energetico competitivo in Europa.
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2025-09-15
Il Made in Italy alla prova della sostenibilità: agricoltura, industria e finanza unite nella transizione
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Da sinistra, Leonardo Meoli (Group Head of Sustainability Business Integration), Marzia Ravanelli (direttrice Quality & Sustainability) di Bonifiche Feraresi, Giuliano Zulin (La Verità) e Nicola Perizzolo (project engineer)
Dalla terra di Bonifiche Ferraresi con Marzia Ravanelli (direttrice Quality & Sustainability), ai forni efficienti di Barilla con Nicola Perizzolo (project engineer), fino alla finanza responsabile di Generali con Leonardo Meoli (Group Head of Sustainability Business Integration): tre voci, un’unica direzione. Se ne è discusso a uno dei panel dell’evento de La Verità al Gallia di Milano.
Al panel su Made in Italy e sostenibilità, moderato da Giuliano Zulin, vicedirettore de La Verità, tre grandi realtà italiane si sono confrontate sul tema della transizione sostenibile: Bonifiche Ferraresi, la più grande azienda agricola italiana, Barilla, colosso del food, e Generali, tra i principali gruppi assicurativi europei. Tre prospettive diverse – la terra, l’industria alimentare e la finanza – che hanno mostrato come la sostenibilità, oggi, sia al centro delle strategie di sviluppo e soprattutto della valorizzazione del Made in Italy. «Non sono d’accordo che l’agricoltura sia sempre sostenibile – ha esordito Marzia Ravanelli, direttrice del Gruppo Quality & Sustainability di Bonifiche Ferraresi –. Per sfamare il pianeta servono produzioni consistenti, e per questo il tema della sostenibilità è diventato cruciale. Noi siamo partiti dalla terra, che è la nostra anima e la nostra base, e abbiamo cercato di portare avanti un modello di valorizzazione del Made in Italy e del prodotto agricolo, per poi arrivare anche al prodotto trasformato. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di farlo nel modo più sostenibile possibile».
Per Bf, quotata in Borsa e con oltre 11.000 ettari coltivati, la sostenibilità passa soprattutto dall’innovazione. «Attraverso l’agricoltura 4.0 – ha spiegato Ravanelli – siamo in grado di dare al terreno solo quello di cui ha bisogno, quando ne ha bisogno. Così riduciamo al minimo l’uso delle risorse: dall’acqua ai fitofarmaci. Questo approccio è un grande punto di svolta: per anni è stato sottovalutato, oggi è diventato centrale». Ma non si tratta solo di coltivare. L’azienda sta lavorando anche sull’energia: «Abbiamo dotato i nostri stabilimenti di impianti fotovoltaici e stiamo realizzando un impianto di biometano a Jolanda di Savoia, proprio dove si trova la maggior parte delle nostre superfici agricole. L’agricoltura, oltre a produrre cibo, può produrre energia, riducendo i costi e aumentando l’autonomia. È questa la sfida del futuro». Dall’agricoltura si passa all’industria alimentare.
Nicola Perizzolo, project engineer di Barilla, ha sottolineato come la sostenibilità non sia una moda, ma un percorso strutturale, con obiettivi chiari e risorse ingenti. «La proprietà, anni fa, ha preso una posizione netta: vogliamo essere un’azienda di un certo tipo e fare business in un certo modo. Oggi questo significa avere un board Esg che definisce la strategia e un piano concreto che ci porterà al 2030, con un investimento da 168 milioni di euro».Non è un impegno “di facciata”. Perizzolo ha raccontato un esempio pratico: «Quando valutiamo un investimento, per esempio l’acquisto di un nuovo forno per i biscotti, inseriamo nei costi anche il valore della CO₂ che verrà emessa. Questo cambia le scelte: non prendiamo più il forno standard, ma pretendiamo soluzioni innovative dai fornitori, anche se più complicate da gestire. Il risultato è che consumiamo meno energia, pur garantendo al consumatore lo stesso prodotto. È stato uno stimolo enorme, altrimenti avremmo continuato a fare quello che si è sempre fatto».
Secondo Perizzolo, la sostenibilità è anche una leva reputazionale e sociale: «Barilla è disposta ad accettare tempi di ritorno più lunghi sugli investimenti legati alla sostenibilità. Lo facciamo perché crediamo che ci siano benefici indiretti: la reputazione, l’attrattività verso i giovani, la fiducia dei consumatori. Gli ingegneri che partecipano alle selezioni ci chiedono se quello che dichiariamo è vero. Una volta entrati, verificano con mano che lo è davvero. Questo fa la differenza».
Se agricoltura e industria alimentare sono chiamate a garantire filiere più pulite e trasparenti, la finanza deve fare la sua parte nel sostenerle. Leonardo Meoli, Group Head of Sustainability Business Integration di Generali, ha ricordato come la compagnia assicurativa lavori da anni per integrare la sostenibilità nei modelli di business: «Ogni nostra attività viene valutata sia dal punto di vista economico, sia in termini di impatto ambientale e sociale. Abbiamo stanziato 12 miliardi di euro in tre anni per investimenti legati alla transizione energetica, e siamo molto focalizzati sul supporto alle imprese e agli individui nella resilienza e nella protezione dai rischi climatici». Il mercato, ha osservato Meoli, risponde positivamente: «Vediamo che i volumi dei prodotti assicurativi con caratteristiche ESG crescono, soprattutto in Europa e in Asia. Ma è chiaro che non basta dire che un prodotto è sostenibile: deve anche garantire un ritorno economico competitivo. Quando riusciamo a unire le due cose, il cliente risponde bene».
Dalle parole dei tre manager emerge una convinzione condivisa: la sostenibilità non è un costo da sopportare, ma un investimento che rafforza la competitività del Made in Italy. «Non si tratta solo di rispettare regole o rincorrere mode – ha sintetizzato Ravanelli –. Si tratta di creare un modello di sviluppo che tenga insieme produzione, ambiente e società. Solo così possiamo guardare al futuro».In questo incrocio tra agricoltura, industria e finanza, il Made in Italy trova la sua forza. Il marchio non è più soltanto sinonimo di qualità e tradizione, ma sempre di più di innovazione e responsabilità. Dalle campagne di Jolanda di Savoia ai forni di Mulino Bianco, fino alle grandi scelte di investimento globale, la transizione passa per la capacità delle imprese italiane di essere sostenibili senza smettere di essere competitive. È la sfida del presente, ma soprattutto del futuro.
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Boldrini ed eurodeputati si inginocchiarono per George Floyd, un nero pluripregiudicato. Per Kirk, un giovane che ha difeso strenuamente i valori cristiani e occidentali, è stato negato il minuto di silenzio a Strasburgo. Ma il suo sangue darà forza a molti.