2020-03-07
La Spagna ha avuto dei morti molto prima che da noi scoppiasse il caso Codogno
Il 13 febbraio un anziano è stato ucciso dal Covid-19, ma le autorità hanno mantenuto il riserbo. Una donna racconta : «Ho scoperto per caso com'è scomparsa mia madre».In Spagna il coronavirus si è diffuso in 16 Regioni autonome su 17. Solo a Murcia non risultano ancora casi di contagio e i 365 colpiti da Covid-19 si trovano soprattutto a Madrid (137), Paesi Baschi (45) e Comunità valenciana (30). L'ultimo bollettino del ministero della Salute, come al solito molto sintetico, ieri riportava gli ultimi dati: 104 nuovi infettati in un solo giorno, più che quadruplicati rispetto a giovedì quando segnarono +24. I morti sono saliti a 6 (5 solo in questa settimana). Poi un lungo elenco di numeri e percentuali di malati degli altri Paesi, Italia in primis. Per giorni lo sport preferito del governo spagnolo è stato definire gli italiani degli «untori», con poca originalità visto che rimane il passatempo preferito di tutti i nostri alleati Ue e di gran parte del mondo. I ministri ripetevano che i casi segnalati erano «importati» dal Nord Italia, mentre solo il 3 marzo è stato comunicato che la prima vittima per coronavirus in Spagna risaliva allo scorso 13 febbraio. Ci sono voluti 20 giorni per stabilire che il paziente di 69 anni, deceduto a Valencia per una polmonite di origine sconosciuta, era invece morto per il Covid-19. «Abbiamo dovuto aspettare l'esito dell'autopsia», ha spiegato alla stampa Ana Barcelò Chico, consigliera alla Sanità della Comunidad valenciana. In Italia, il primo decesso per coronavirus fu registrato il 21 febbraio in Veneto e subito era scattata l'emergenza contagio, in Spagna una settimana prima moriva un anziano rientrato da un viaggio in Nepal, dopo aver accusato problemi respiratori e nessuno pensò di fargli un tampone? «Situazione sotto controllo», ripetevano dalla Moncloa, ma se essere tranquilli significa non verificare allora qualcuno non ha preso seriamente il rischio epidemia o pandemia. L'Italia è isolata, blindata, nessuno vuole venire nei nostri hotel e nemmeno a comprare il Parmigiano, pensando che sia infetto, mentre gli altri Paesi come la Spagna prendono tempo per effettuare controlli? A Valencia nessuno è finito in quarantena, adesso il governo di Pedro Sánchez deve pensare a fermare quello che sta diventando un serio problema per le case di riposo presenti sul territorio. Un'emergenza di anziani colpiti dal coronavirus, senza avere avuto contatti con l'Italia. A preoccupare, senza però ammetterlo, sono soprattutto le modalità d'intervento messe in atto in questi ultimi giorni nei confronti di due ultrasettantenni, morti dopo aver contagiato gli altri ospiti di due residenze per anziani di Madrid, una centralissima, l'altra alle porte della capitale. Fatalità, il virus che colpisce come da noi persone molto fragili e con patologie serie? Non solo questo, parrebbe, stando alla testimonianza della figlia della signora di 99 anni, seconda vittima in Spagna. Carolina, questo il suo nome, ha raccontato al País che aveva sollecitato il ricovero in ospedale della madre alloggiata in una struttura, La Paz, perché da alcuni giorni l'anziana accusava febbre persistente. Quarantott'ore dopo, dal reparto ospedaliero le comunicarono che era deceduta e solo nel certificato di morte compariva, «in caratteri minuscoli, che era per coronavirus». La signora, angosciata, spiega che aveva potuto farle visita, abbracciarla, starle accanto senza precauzione alcuna, all'oscuro di tutto. Ora aspetta la conferma di essere stata contagiata, le hanno fatto il tampone, teme per la nipotina di 6 mesi. Nel centro per anziani La Paz sono 15 gli ospiti risultati positivi, un'altra settantina sta vivendo ore di apprensione assieme a parenti, operatori che sono stati per giorni vicino alla mamma di Carolina che tossiva e stava male, ma nessuno si insospettiva mentre da settimane l'emergenza Covid-19 era una realtà angosciante per l'Italia, un po' meno per il resto d'Europa. Noi forse facciamo troppi tamponi, la Spagna preferiva fare a finta di nulla. Il decesso, giovedì pomeriggio, per Covid-19 di un settantaseienne ospitato in una struttura di Valdemoro, a una trentina di chilometri da Madrid, con test risultati positivi su 15 anziani (quattro dei quali sono in terapia intensiva), e la quinta morte ieri, di un signore di 87 anni a Saragozza, sempre in una casa di riposo, hanno finalmente messo in allarme il ministero della Salute. Venerdì è stata decisa la chiusura per un mese di 213 strutture per anziani della capitale. Senza tanto clamore, molto in sordina, per non preoccupare i cittadini spagnoli e accompagnando la notizia con le ultime news dai fronti caldi dell'Italia e della Cina. Per carità, che non si parli di vero allarme. Accanto alla decisione di chiudere le strutture per ultrasettantenni, il ministero ha finalmente redatto un protocollo di misure da seguire, quali isolamento dei casi sospetti e confinamento degli anziani «in luoghi ben ventilati e possibilmente con bagno proprio». Nessuna procedura particolare riguardo all'igiene «si farà secondo le disposizioni dei singoli centri». Sperando che altri vecchietti non si ammalino nella Spagna più brava e virtuosa, ci limitiamo a registrare il flusso continuo di turisti in arrivo alle Canarie, provenienti anche dall'Italia. Nessun controllo della febbre, nessuna mascherina. Eppure i contagiati sono 13, undici dei quali italiani: 7 a Tenerife, 4 a Gran Canaria. Ma il business è business meno che per noi.
(Guardia di Finanza)
I Comandi Provinciali della Guardia di finanza e dell’Arma dei Carabinieri di Torino hanno sviluppato, con il coordinamento della Procura della Repubblica, una vasta e articolata operazione congiunta, chiamata «Chain smoking», nel settore del contrasto al contrabbando dei tabacchi lavorati e della contraffazione, della riduzione in schiavitù, della tratta di persone e dell’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Le sinergie operative hanno consentito al Nucleo di polizia economico-finanziaria Torino e alla Compagnia Carabinieri di Venaria Reale di individuare sul territorio della città di Torino ed hinterland 5 opifici nascosti, dediti alla produzione illegale di sigarette, e 2 depositi per lo stoccaggio del materiale illecito.
La grande capacità produttiva degli stabilimenti clandestini è dimostrata dai quantitativi di materiali di contrabbando rinvenuti e sottoposti a sequestro: nel complesso più di 230 tonnellate di tabacco lavorato di provenienza extra Ue e circa 22 tonnellate di sigarette, in gran parte già confezionate in pacchetti con i marchi contraffatti di noti brand del settore.
In particolare, i siti produttivi (completi di linee con costosi macchinari, apparati e strumenti tecnologici) e i depositi sequestrati sono stati localizzati nell’area settentrionale del territorio del capoluogo piemontese, nei quartieri di Madonna di Campagna, Barca e Rebaudengo, olre che nei comuni di Caselle Torinese e Venaria Reale.
I siti erano mimetizzati in aree industriali per dissimulare una normale attività d’impresa, ma con l’adozione di molti accorgimenti per svolgere nel massimo riserbo l’illecita produzione di sigarette che avveniva al loro interno.
I militari hanno rilevato la presenza di sofisticate linee produttive, perfettamente funzionanti, con processi automatizzati ad alta velocità per l’assemblaggio delle sigarette e il confezionamento finale dei pacchetti, partendo dal tabacco trinciato e dal materiale accessorio necessario (filtri, cartine, cartoncini per il packaging, ecc.), anch’esso riportante il marchio contraffatto di noti produttori internazionali autorizzati e presente in grandissime quantità presso i siti (sono stati infatti rinvenuti circa 538 milioni di componenti per la realizzazione e il confezionamento delle sigarette recanti marchi contraffatti).
Gli impianti venivano alimentati con gruppi elettrogeni, allo scopo di non rendere rilevabile, dai picchi di consumo dell’energia elettrica, la presenza di macchinari funzionanti a pieno ritmo.
Le finestre che davano verso l’esterno erano state oscurate mentre negli ambienti più interni, illuminati solo artificialmente, erano stati allestiti alloggiamenti per il personale addetto, proveniente da Paesi dell’Est europeo e impiegato in condizioni di sfruttamento e in spregio alle norme di sicurezza.
Si trattava, in tutta evidenza, di un ambiente lavorativo degradante e vessatorio: i lavoratori venivano di fatto rinchiusi nelle fabbriche senza poter avere alcun contatto con l’esterno e costretti a turni massacranti, senza possibilità di riposo e deprivati di ogni forma di tutela.
Dalle perizie disposte su alcune delle linee di assemblaggio e confezionamento dei pacchetti di sigarette è emersa l’intensa attività produttiva realizzata durante il periodo di operatività clandestina. È stato stimato, infatti, che ognuna di esse abbia potuto agevolmente produrre 48 mila pacchetti di sigarette al giorno, da cui un volume immesso sul mercato illegale valutabile (in via del tutto prudenziale) in almeno 35 milioni di pacchetti (corrispondenti a 700 tonnellate di prodotto). Un quantitativo, questo, che può aver fruttato agli organizzatori dell’illecito traffico guadagni stimati in non meno di € 175 milioni. Ciò con una correlativa evasione di accisa sui tabacchi quantificabile in € 112 milioni circa, oltre a IVA per € 28 milioni.
Va inoltre sottolineato come la sinergia istituzionale, dopo l’effettuazione dei sequestri, si sia estesa all’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Ufficio dei Monopoli di Torino) nonché al Comando Provinciale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco di Torino nella fase della gestione del materiale cautelato che, anche grazie alla collaborazione della Città Metropolitana di Torino, è stato già avviato a completa distruzione.
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