2020-09-18
La scuola di Conte jr riapre per finta. E sugli alunni piovono regole illogiche
L'istituto dove studia il figlio del premier tiene i corsi in presenza una o due volte a settimana. Sulla «Stampa», ragazza denuncia: «Banchi assurdi, ci vietano persino di scambiarci penne. E andare in bagno è un'impresa».«L'ho accompagnato fino all'ultimo miglio, poi è andato da solo. Mi sembra corretto nei confronti dell'istituto che io abbia solo la veste di padre e non di Presidente del Consiglio». Parole e musica di Giuseppe Conte, quattro giorni fa, il 14 settembre, quando il premier si è tenuto alla larga dalla scuola media di Roma, in zona Prati, dove studia suo figlio. Non dubitiamo che le cose siano andate esattamente come sostiene l'avvocato di Volturara Appula, e cioè che non abbia varcato i cancelli per un mix di delicatezza, riserbo e naturale ritrosia. Tuttavia, alla luce delle notizie giunte ieri dall'Istituto Belli-Col di Lana, può sorgere il dubbio, tra i più maliziosi, che Conte non si sia avvicinato anche per motivi diversi, forse temendo le reazioni di chiunque avesse incontrato sulla sua strada. Ma cosa è successo ieri? I primi a raccontarlo sono stati i cronisti di Leggo, il free press diretto da Davide Desario. In pratica, un gruppo di genitori giustamente indignati ha organizzato una protesta per denunciare il fatto che l'attività scolastica, chiacchiere a parte, non è mai davvero cominciata. Motivo? Mancanza di docenti, e quindi lezioni in presenza che saltano sistematicamente (assicurate uno, massimo due giorni a settimana). Per sovrammercato, per ciò che riguarda le medie inferiori (e le elementari), nemmeno si può supplire con la didattica a distanza, cioè con l'insegnamento online. Morale: tutti a casa, e giorni di lezione irrimediabilmente andati in fumo. Entrando nei dettagli, il quadro si fa impressionante. In seconda media, a quanto pare, è previsto un giorno solo di lezione per tre ore. Per le classi di prima e terza media, i giorni diventano due a settimana, sempre per tre ore. Una situazione letteralmente intollerabile per tutti, ma che assume il sapore della beffa in particolare per chi inizia il corso (i ragazzi di prima) e per chi dovrebbe fare a fine anno l'esame per accedere alle superiori (i ragazzi di terza). Sempre su Leggo, fanno impressione le dichiarazioni dignitose ma lapidarie dei genitori: «Se continua così, portiamo via i nostri ragazzi». E ancora: «Non ci sono altre scuole medie in zona che potrebbero accoglierci tutti, dovremo andare alla scuola privata: è il fallimento della scuola pubblica». Ed ecco un'altra mamma: «Ho due figli, uno in prima e uno in terza, praticamente sono sempre a casa. Come posso andare a lavorare? Siamo stati avvisati dell'ingresso a scuola dei nostri figli ieri per oggi. Non c'è programmazione e così non possiamo neanche organizzarci». Alla luce di queste testimonianze, si può capire come mai il premier si sia tenuto alla larga. Meglio continuare a raccontare che l'anno scolastico sia iniziato nel migliore dei modi. Ma purtroppo per Conte, i guai non finiscono qui. Sempre ieri, sulla Stampa, quotidiano non certo ostile al governo, è stata pubblicata la lettera di un'altra ragazza di Roma, Gemma, studentessa liceale, che con garbo frammisto a stupore, ha raccontato la sua disavventura («Io, prigioniera dei banchi a rotelle»). Dapprima, la scoperta della tragica scomodità dei banchi: «È bastato dover prendere un appunto con un piccolo quaderno. Una volta appoggiato, c'era spazio giusto per la penna e la mascherina. Non so come farò quando dovrò tenere sul banco mobile un libro o un dizionario». Tutte cose a cui gli ineffabili Lucia Azzolina e Domenico Arcuri non devono aver pensato. Gemma racconta che alla sua amica mancina è andata ancora peggio, per evidenti ragioni. E inevitabile, puntuale e prevedibile, è arrivata la «gara di autoscontri» all'intervallo tra i compagni maschi. Poi il passaggio più avvilente per un governo di sinistra, quando Gemma spiega che «molti di noi stanno pensando di farsi regalare un Ipad in cui scaricare i libri, e non è detto che tutti avranno i soldi per farlo». Ma Gemma, che mostra più giudizio di ministri e commissari straordinari, non si ferma qui, e mostra anche l'assurdità delle regole e dei protocolli comunicati ai ragazzi: quando si va in bagno, «è vietato rimanere in attesa fuori della porta». Si domanda la ragazza: «Non ho ancora capito come si può evitare». E soprattutto: «Quando chiederò all'insegnante di andarci, lui o lei non potrà sapere se mi troverò fuori dalla porta». Ennesima dimostrazione del fatto che, nella loro furia di regolamentare ogni singolo e minuto aspetto della nostra vita, i burocrati non si sono nemmeno preoccupati di verificare l'applicabilità materiale delle loro disposizioni.Poi si passa ai divieti: «Ci hanno detto di non passarci le penne, e non possiamo comprare nulla dalle macchinette della scuola». Fino alla parte finale della lettera di Gemma, che ripropone pari pari il problema sperimentato dai genitori della scuola del figlio di Conte: «Per il momento andiamo a scuola un giorno sì e uno no. Quando arriverà l'orario definitivo, faremo una settimana sì e una no». La ragazza, giudiziosa e seria, mostra non buona ma addirittura ottima volontà («tutti - noi e i professori - rispetteremo queste limitazioni nella speranza di riavere al più presto la normalità»), ma è evidente che, in questa situazione, parlare di didattica e di servizio scolastico appare come una clamorosa presa in giro ai danni dei ragazzi, dei docenti, dei genitori, e di tutti i contribuenti.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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Lo ha detto il vicepresidente esecutivo della Commissione europea per la Coesione e le Riforme Raffaele Fitto, a margine della conferenza stampa sul Transport Package, riguardo al piano di rinnovamento dei collegamenti ad alta velocità nell'Unione Europea.