2020-03-09
La scuola al computer? Sì, ma quanti soldi buttati
Lavagne elettroniche e dispositivi distribuiti a pioggia ma senza gli assistenti capaci di farli funzionare. E i bonus per la formazione sono usati per regalare libri e tablet.«Si tira a campare con la buona volontà di qualche docente». La segretaria Cisl Scuola Maddalena Gissi denuncia la mancanza di laboratori e personale. «Ma attenti: le lezioni in aula restano insostituibili».Lo speciale comprende due articoli. Lezioni a distanza, uso delle piattaforme online al posto delle classi. In questi giorni di emergenza coronavirus con la decisione del governo di chiudere tutte le scuole non si sente parlare d'altro, come se, all'improvviso, il Paese si fosse svegliato dal torpore tecnologico, scoprendosi digitale. Ed ecco le «google-classroom», insegnanti in chat con gli alunni o in diretta streaming, la creazione di gruppi Facebook e di classi virtuali. Il ministro per l'Innovazione, Paola Pisano, parla di «una grande opportunità per spingere il Paese verso il digitale, per puntare sulle nuove tecnologie».Ma dietro le parole c'è una realtà che ancora fa fatica a sintonizzarsi con le soluzioni informatiche.Le lavagne interattive sono presenti quasi dappertutto, come pure i laboratori e i pc. Cioè i soldi sono piovuti a pioggia, nell'arco di un ventennio: da tanto il tema è dibattuto e cavalcato da ogni governo. Peccato che manchino coloro che sanno usare questi strumenti che così restano abbandonati in un angolo, o chiusi a doppia mandata. Perché bisogna proteggerli dai furti, altro grande problema. Da un recente rapporto dell'Agcom sulla digitalizzazione della scuola, emerge che poco più della metà degli insegnanti usa gli strumenti digitali in maniera sporadica, mentre il 47% ne fa un uso quotidiano. Dal 2017 a oggi sono stati finanziati dal ministero dell'istruzione, tramite fondi strutturali o fondi di bilancio relativi al Piano nazionale per la scuola digitale, 39.685 ambienti didattici digitali anche dotati di dispositivi per la didattica a distanza.Ma quanti di questi laboratori funzionano? L'annuale rapporto di Skuola.net sull'uso delle tecnologie in classe ci dice che le aule computer, pur essendo presenti in 9 istituti su 10, solo nel 39% dei casi vengono usate frequentemente (nel 21% tutti i giorni e nel 18% almeno una volta alla settimana); il 17% accende i pc una volta al mese. Ma deve preoccupare il fatto che il 34% (che al Sud sale al 52%) non abbia mai usato il laboratorio, pur avendolo a disposizione.Che cosa tiene lontani gli studenti da quella che dovrebbe essere la nuova frontiera dell'apprendimento? Non è certo svogliatezza o mancanza di interesse. Il problema è la mancanza di assistenti tecnici. Come spiega la Cisl scuola, spesso gli strumenti digitali e informatici rimangono inutilizzati perché gli insegnanti non possono essere affiancati da esperti che si occupano della manutenzione o che intervengono in caso di problemi. Così nell'incertezza, preferiscono chiudere a chiave i laboratori o servirsene di tanto in tanto. Il grande tema è quello della formazione dei docenti. Matteo Renzi lanciò la Carta del docente, operazione costata finora 1 miliardo di euro ma con scarsi risultati per l'aggiornamento degli insegnanti che però hanno goduto di libri, teatri, cinema, concerti, musei, computer e tablet pagati dallo Stato. A partire dall'anno scolastico 2016-2017, ogni 12 mesi nelle tasche di 750.000 insegnanti sono arrivati 500 euro. I confini di spesa erano talmente ampi che solo un quarto dei fondi, cioè 250 milioni di euro, secondo fonti sindacali, è stato impiegato per corsi di formazione. Il resto, da 4 anni, gli insegnanti preferiscono utilizzarlo per attività ricreative o per comprare tablet, pc e libri, magari per regalarli a qualcuno che con la scuola ha poco a che fare. È stata effettuata una verifica se la Carta va a beneficio solo del docente o se ci sono stati abusi? Non risulta.Eppure, qualcuno avrebbe dovuto insospettirsi se solo il 20% dell'importo era utilizzato per la formazione. Il ministero dell'Istruzione fa sapere che lo scorso anno questa percentuale è salita al 30%, ma questo dato mette insieme la formazione con i libri, che possono anche non riguardare i temi della didattica. Quindi è difficile capire se gli insegnanti spendono di più in corsi o in libri e, per questi ultimi, quanti sono su tematiche legate alla scuola.Secondo l'ultima rilevazione del ministero, negli ultimi due anni solo il 47% dei docenti della scuola primaria ha fatto una formazione specifica sugli strumenti digitali. Una percentuale che arriva al 56% per la secondaria di primo grado e scende di nuovo al 48% per la secondaria di secondo grado. Solo il 43% degli insegnanti delle medie ha seguito corsi sull'uso pedagogico delle nuove tecnologie.Pc e tablet restano gli acquisti più amati. Eppure, secondo il sondaggio di Skuola.net sono ancora in maggioranza quelli che non utilizzano alcun device per la didattica frontale: in media il 58%, nel Mezzogiorno addirittura il 78%.Anche la lavagna multimediale interattiva, la Lim, diffusa, secondo il ministero dell'Istruzione, nel 91,95% delle scuole, nel 17% (secondo il sondaggio) non è utilizzata. Nel Mezzogiorno il 32% dei ragazzi sostiene che nella propria classe la Lim c'è ma è perennemente spenta. In generale, a livello nazionale, il 44% l'accende tutti i giorni (54% al Nord), il 16% almeno una volta alla settimana e il 10% una volta al mese. Influisce molto la difficoltà di connessione. Dal rapporto dell'Agcom emerge che il 3% delle scuole non ha una rete wifi e appena l'11,2% ha una connessione superiore a 30 Mbps. Un 13% può sfruttare solo la copertura presente in alcune aree comuni della scuola o nei laboratori, ma comunque è insufficiente a sostenere la navigazione di più utenti. Il 31%, invece, si deve accontentare di una connessione tramite il cavo lan.La scarsa alfabetizzazione digitale e la difficoltà nella connessione influenzano anche la programmazione didattica. Non tutti gli insegnanti sfruttano la rete per cercare materiale utile alla didattica. Per affrontare l'emergenza coronavirus, il ministero dell'Istruzione ha pubblicato sul proprio sito due call per tutti quegli istituti che vogliono effettuare le lezioni a distanza e si stanno attivando per evitare buchi nella continuità dell'anno scolastico. Ma solo una percentuale minoritaria, come si è visto, è in grado di far propria questa alternativa. Anche chi è attrezzato, le scuole di eccellenza, non potranno reggere a lungo questa situazione. Finora una sola scuola ha attivato per le primarie e le medie la didattica a distanza. Si tratta della Ungaretti di Melzo che ha riunito un gruppo di docenti coinvolgendo circa 700 studenti del primo ciclo scolastico. Le lezioni a orario prestabilito e ridotto rispetto alla normalità si svolgono tramite incontri in streaming tra insegnanti e alunni. Ma si tratta di un caso singolo.La ministra dell'Istruzione Lucia Azzolina ha parlato di una task force che andrà a fare formazione ai docenti, ma non ha detto come e in quali tempi. Inoltre, l'adesione al progetto delle lezioni a distanza sarà su base volontaria in quanto il contratto di categoria non prevede che gli insegnanti siano tenuti a svolgere questa attività. A meno che non vi siano delibere del collegio dei docenti. E comunque anche in questo caso dovrebbero avere a disposizione tutta la tecnologia necessaria . Non sono tenuti a utilizzare la fibra o l'Adsl privata. E infine come farebbero a seguire le lezioni i ragazzi di famiglie sprovviste di connessione e di un computer?<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-scuola-al-computer-si-ma-quanti-soldi-buttati-2645432951.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="si-tira-a-campare-con-la-buona-volonta-di-qualche-docente" data-post-id="2645432951" data-published-at="1758061932" data-use-pagination="False"> «Si tira a campare con la buona volontà di qualche docente» «I 500 euro che l'ex premier Matteo Renzi ha assegnato come “card" annuale agli insegnanti non è certo servita alla formazione. Non ha portato a quell'aggiornamento di massa che sarebbe stato necessario. I docenti che ora in alcune scuole stanno svolgendo le lezioni a distanza, servendosi dei sistemi digitali, hanno raggiunto una competenza soprattutto per iniziativa personale, spinti dall'amore per la scuola». Maddalena Gissi, segretario generale della Cisl Scuola, lancia il sasso. Vuol dire che è mancato un vero piano di formazione dei docenti sulle nuove tecnologie? Eppure, sono vent'anni che se ne discute. «È stato varato un grande piano della scuola digitale ma non si conoscono i risultati. Lo scorso settembre si era parlato di creare delle equipe formative territoriali che dovevano realizzare un progetto di coinvolgimento delle scuole ma non abbiamo riscontri su dove e come sono stati fatti. La formazione è affidata soprattutto alla buona volontà del singolo perché non è obbligatoria e non è remunerata. Qualora il collegio dei docenti dovesse decidere corsi extra orario, verrebbero pagati 17 euro lordi l'ora e nessuno li farebbe, ammesso che la scuola disponga di tali somme. E qualora fossero inseriti nell'orario delle lezioni, si porrebbe il problema di coprire le assenze con i supplenti. Non è un'operazione semplice». E la Carta del docente di 500 euro l'anno data da Renzi per aggiornarsi come procede? «Innanzitutto, non è destinata in modo specifico alla formazione digitale. Con i 500 euro si possono acquistare libri, biglietti per cinema, concerti, teatri, o strumenti che dovrebbero servire alla didattica come i tablet». Ogni anno un tablet? «Magari lo si compra per figli e parenti. Avrebbe dovuto insospettire che l'80% della spesa stanziata vada a beni e non a corsi di formazione. Inoltre, i precari sono esclusi dalla Carta nonostante al Nord rappresentino oltre il 40% del corpo docente». Le spese non devono essere documentate e rendicontate? «Certamente. Ma non è escluso che qualche furbetto si metta d'accordo con un commerciante e con quei soldi acquisti un elettrodomestico. Il ventaglio di possibilità nell'utilizzo dei soldi è ampio. Ricordo un fatto che mi sorprese: la Costa Crociere organizzò un'attività di formazione sulla nave pagabile attraverso la Carta. Con 500 euro forse Renzi pensava di risolvere il problema dell'aggiornamento degli insegnanti». Non c'è un grande piano di formazione obbligatorio? «No. Tutto è affidato alla buona volontà individuale, nulla di più». I laboratori informatici quanto sono diffusi? E vengono utilizzati o restano chiusi a chiave? «Ci sono situazioni di eccellenza anche grazie a investimenti privati, ma in altre realtà mancano sia i laboratori sia le classi. Un fenomeno molto diffuso, specialmente nella primaria e nelle medie, è la carenza di assistenti tecnici. Il maestro di scuola elementare spesso si è auto formato, coltivando una vocazione personale. Ma là dove il tecnico manca, il laboratorio rimane chiuso perché non si può fare la manutenzione o intervenire qualora sorga un problema. Poi ci sono casi, non sporadici, di laboratori saccheggiati e devastati dai ladri. È successo nelle zone terremotate. Subito dopo le devastazioni, nelle scuole ci sono stati numerosi furti di strumenti informatici». L'ex ministro dell'Istruzione Francesco Profumo, nel 2012, disse che avrebbe abolito la carta dalle scuole e consegnato un tablet a ogni insegnante del Sud. Che ne è stato? «Ma chi li ha visti questi tablet? E comunque io andrei cauta su queste enunciazioni per una “scuola 2.0". Non vorrei che in questi giorni, sulla scia dell'emergenza del coronavirus, passasse il messaggio che si possa fare lezione anche online, sostituendo le classi. Non vorrei svegliarmi un giorno e scoprire che Amazon organizza corsi sulla piattaforma digitale, con tanto di diploma virtuale inviato per mail». Il sindacato è contrario alle nuove tecnologie? «Il sindacato non è contro la digitalizzazione della scuola ma contro la pretesa di inventare un modello didattico dall'oggi al domani, e di farlo diventare “il modello" didattico. L'educazione a distanza può rappresentare un fatto episodico legato a una situazione eccezionale, ma non può sostituire le classi. L'attività didattica è ricca quando c'è il confronto che avviene in una relazione tra insegnanti e ragazzi, quando c'è un rapporto umano, di scambio di esperienze, di dibattito e di critica. Va bene l'uso delle lavagne elettroniche, ma non possono essere il modello per eccellenza dell'apprendimento. C'è una tendenza dei ragazzi e anche delle famiglie a fare tutto in autonomia che secondo me è preoccupante. L'insegnamento a distanza effettuato per l'emergenza non può aprire la strada a un modo diverso di concepire l'insegnamento, deve invece avviare una riflessione sull'uso intelligente delle nuove tecnologie. L'educazione in presenza deve restare prioritaria». Peraltro l'insegnamento a distanza non è una novità. «In passato, circa dieci anni fa, in località di montagna dove la neve rendeva difficile raggiungere la scuola, i bambini si riunivano negli uffici dei piccoli Comuni e seguivano video lezioni. In questo modo veniva assicurata la continuità didattica. Ma parliamo sempre di condizioni straordinarie». Alcune aziende si sono fatte avanti per intervenire in questa emergenza e aiutare le scuole per le lezioni digitali. «È proprio ciò che mi preoccupa. Il ministero ha messo a disposizione un sistema online e alcuni soggetti privati hanno fiutato l'affare. Occorre un monitoraggio». Scatti una foto dell'informatizzazione del sistema scolastico. «Ci sono realtà dove non c'è nemmeno il 3G e non sono solo nel Sud, che non hanno copertura. Alcune scuole vivono in situazioni di grande criticità per la mancanza di fondi, della dirigenza scolastica e di personale stabile. Se il 50% dei docenti sono precari come si può avviare una politica di formazione digitale e di insegnamento delle nuove tecnologie?».