2018-06-15
La scelta di tenere chiusi i porti è piaciuta a sette italiani su dieci
Un sondaggio di Gpf fotografa l'apprezzamento per la linea dura usata dal ministro dell'Interno con le Ong È maggioranza anche chi chiede una soluzione europea all'emergenza flussi. Sale il consenso per il governoUna telefonata notturna dell'Eliseo sblocca l'impasse diplomatica. Il premier Giuseppe Conte stamani sarà a Parigi: «Il presidente ci teneva a incontrarmi». Sul tavolo il superamento dei vincoli del trattato di Dublino: l'asse si sposterà sulla difesa delle frontiere dell'EuropaLa sorte che tocca ai disperati imbarcati dalle navi-soccorso è nefasta ma non c'entra nulla con un incidente in mare. Le Ong li raccolgono dove li abbandonano gli scafisti. Un odioso copione che la sinistra nascondeLo speciale contiene tre articoli Soltanto buonisti e sinistra militante continuano a definire Matteo Salvini un «ministro incompetente» o un «mostro privo di umanità» non curandosi di quello che pensa la gente, quella che non pontifica nei talk show e che da un pezzo non li vota più. L'ultimo sondaggio, realizzato da Gpf Srl (in collaborazione con Qapp) mostra che il 67,3% degli italiani (quasi 7 su 10) è pienamente d'accordo con la posizione del governo e con la decisione del ministro dell'Interno di chiudere i porti e quindi di non accettare in Italia la nave Aquarius, rimasta in attesa nel Mediterraneo tra Malta e la Sicilia due giorni prima di partire alla volta della Spagna. Una «battaglia navale» che ha interessato tutti visto che soltanto il 2,2% dice di non sapere cosa sia successo. Pochi si sono scandalizzati di fronte alla decisione di chiudere i nostri porti dopo il rifiuto di Malta di far attraccare a La Valletta la nave gestita dalla Ong Sos Méditerranée, battente bandiera olandese, con 629 migranti a bordo partita dalle coste libiche perché «non di sua competenza». E delle manifestazioni di piazza degli «italiani solidali» gli «altri» italiani non se ne sono neanche accorti. Nemmeno a Milano dove, con il Pd, c'era anche il cantautore Roberto Vecchioni che ha sottolineato come «bisogna manifestare per forza. Ogni volta che succede una cosa che è contro i principi fondamentali dell'umanità bisogna farsi vedere». Secondo il sondaggio Gpf Salvini, il quale secondo il diritto internazionale del mare può chiudere i porti se c'è il sospetto che la nave in arrivo possa violare le leggi nazionali sull'immigrazione, ha ovviamente dalla sua il pieno sostegno dei militanti della Lega, con un consenso che sfiora il 99%, ma è alta anche l'adesione da parte di chi ha votato M5s o i partiti che sostengono il governo. Non sbagliava dunque il leader leghista in campagna elettorale a spingere sul tasto immigrazione se il 56,5% degli intervistati ritiene che Salvini abbia fatto bene perché l'Italia non può farsi carico da sola dei profughi (56,5%), ed è quindi il momento che faccia sentire finalmente la sua voce in Europa (secondo il 47,1%), rispondendo così alle parole del presidente francese Emmanuel Macron che ha definito «cinica» l'Italia sulla questione migranti (mentre il portavoce del suo partito l'ha definita «vomitevole») e che però se n'è ben guardato dall'invitare l'Aquarius a far rotta verso Nizza o Marsiglia o verso la Corsica. Soltanto una piccola percentuale, il 14,6%, invece ritiene che l'Italia debba concentrarsi sui suoi problemi interni prima di pensare ai problemi dei migranti. Tra quelli che invece non sono d'accordo (il 30%) con il primo atto politico del ministro dell'Interno, il 62,1% ritiene prevalentemente che non si possa speculare sulla vita dei migranti, e che inoltre questa è una decisione che dovrebbe essere discussa nel Parlamento europeo (per il 40%). Seppur inevitabilmente messo in ombra dal vicepremier leghista, il pentastellato Luigi Di Maio può stare tranquillo perché dalla lettura complessiva del sondaggio emerge che per la stragrande maggioranza della popolazione il modo in cui il neo esecutivo ha gestito sino a questo momento la vicenda avrà effetti positivi sulla popolarità del governo stesso: 6 intervistati su 10 infatti ritengono che sia cresciuta. Benché anche in questo caso siano soprattutto i sostenitori dei partiti di governo a ritenere che la compagine di Giuseppe Conte trarrà benefici in termini di popolarità, anche all'interno degli altri schieramenti la percentuale di chi comunque ritiene che il governo ne trarrà conseguenze positive non scende quasi mai al di sotto del 50%. Del resto, secondo alcuni sondaggi d'inizio settimana, gran parte degli italiani sono convinti che il governo gialloblù realizzerà tutto o gran parte del contratto sottoscritto da Di Maio e Salvini. Sabrina Biraghi <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-scelta-di-tenere-chiusi-i-porti-e-piaciuta-a-sette-italiani-su-dieci-2578115973.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="macron-si-piega-oggi-si-tratta-sui-confini" data-post-id="2578115973" data-published-at="1757930907" data-use-pagination="False"> Macron si piega, oggi si tratta sui confini L'incontro in programma oggi a Parigi tra il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron e il premier italiano Giuseppe Conte ci sarà. Le turbolenze che avevano messo a rischio il summit, sono state appianate la scorsa notte, quando Macron ha telefonato a Conte per mettere fine alle polemiche tra Roma e Parigi. La conversazione tra Conte e Macron è stata lunga e cordiale, e ha spazzato via le nubi che incombevano sui rapporti tra Italia e Francia. I due leader, del resto, hanno un rapporto molto stretto: si sentono quasi tutti i giorni, e non a caso Macron fu l'unico leader a congratularsi con Conte quando il presidente del Consiglio affrontò la sua prima esperienza da premier incaricato. «Il presidente Macron», ha spiegato Palazzo Chigi attraverso una nota diffusa ieri mattina, «ha sottolineato di non aver pronunciato alcuna espressione volta ad offendere l'Italia e il popolo italiano. Il presidente della Repubblica francese e il presidente del Consiglio hanno confermato l'impegno della Francia e dell'Italia a prestare i soccorsi nel quadro delle regole di protezione umanitaria delle persone in pericolo. Il presidente della Repubblica francese», prosegue il comunicato, «ha ricordato di aver sempre difeso la necessità di una solidarietà europea accresciuta nei confronti dell'Italia. L'Italia e la Francia devono approfondire la loro cooperazione bilaterale ed europea per una politica migratoria efficace con i paesi di origine e di transito attraverso una migliore gestione europea delle frontiere e un meccanismo di solidarietà nella presa in carico dei rifugiati. Macron e Conte hanno convenuto che, in vista del Consiglio europeo di fine giugno, sono necessarie delle nuove iniziative da discutere insieme. Per evocare questi temi», conclude la nota, «e i numerosi dossier di comune interesse, il presidente della Repubblica e il primo ministro Conte si incontreranno a Parigi venerdì (oggi per chi legge, ndr) per un pranzo di lavoro seguito da una conferenza stampa». Tutto risolto, dunque, come ha confermato poco dopo lo stesso Macron attraverso una nota ufficiale dell'Eliseo: «Il presidente Emmanuel Macron», recita il comunicato della presidenza della Repubblica francese, «e il presidente del Consiglio dei ministri italiano Giuseppe Conte hanno avuto un colloquio mercoledì sera. Hanno discusso della situazione della nave Aquarius e hanno avuto uno scambio sulle loro posizioni. Il presidente della Repubblica», prosegue la nota dell'Eliseo, «ha sottolineato di non aver fatto alcuna osservazione volta ad offendere l'Italia e il popolo italiano. Il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio hanno confermato l'impegno della Francia e dell'Italia ad organizzare i soccorsi nel quadro delle regole di protezione umanitaria delle persone in pericolo». «L'Italia e la Francia», ha chiarito la presidenza francese, «devono approfondire la loro cooperazione bilaterale ed europea per svolgere una politica migratoria efficace con i paesi di origine e di transito, attraverso una migliore gestione europea comune delle frontiere e attraverso un meccanismo europeo di solidarietà nella gestione dei rifugiati. Emmanuel Macron e Giuseppe Conte hanno concordato, in vista del prossimo consiglio europeo di fine giugno, che nuove iniziative sono necessarie e dovranno essere discusse insieme». «Il caso con Parigi», ha sottolineato ieri pomeriggio Giuseppe Conte, «è assolutamente chiuso, ora bisogna lavorare alla riforma del regolamento di Dublino. Ho ricevuto ieri sera tardi una telefonata da Emmanuel Macron il quale ci ha tenuto a precisare che le dichiarazioni uscite non sono a lui attribuibili, quindi non ha mai offeso l'Italia e il suo popolo. Una conversazione dai toni molto cordiali. Dopo questo chiarimento iniziale», ha proseguito Conte, «abbiamo concordato sulla necessità di cooperare in modo stretto ma coinvolgendo tutti i paesi europei perché la questione immigrazione è una questione la cui soluzione non può essere demandata solo all'Italia. Abbiamo quindi concordato che la mia visita a Parigi resta, lui ci teneva molto a mantenere questo invito e sarà da me raccolto». Il meeting è in programma alle 13 e 30 di oggi. Di cosa parleranno, Conte e Macron? Certamente della necessità di sostenere l'Italia sul fronte dell'immigrazione: la nostra nazione deve essere considerata una frontiera esterna dell'Europa, e tutti gli stati dell'Unione devono farsi carico della questione. La linea sembra tracciarla Salvini in serata: «Il problema non è redistribuire chi arriva ma evitare che arrivino. Noi stiamo cercando alleanze per presidiare le frontiere europee. Non voglio disseminarli in giro per l'Italia». Non solo: i due leader discuteranno anche della questione Fincantieri, dei risvolti internazionali dell'incontro tra Donald Trump e Kim Jong-un, degli scambi commerciali tra Italia e Francia e delle politiche economiche europee. Non mancherà un approfondimento sul tema della lotta al terrorismo. L'Italia del governo Lega-M5s in poche settimane ha già riconquistato un ruolo centrale nella politica europea e internazionale. Carlo Tarallo <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-scelta-di-tenere-chiusi-i-porti-e-piaciuta-a-sette-italiani-su-dieci-2578115973.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="sono-vittime-dei-mercanti-di-uomini-chiamarli-naufraghi-e-da-ipocriti" data-post-id="2578115973" data-published-at="1757930907" data-use-pagination="False"> Sono vittime dei mercanti di uomini. Chiamarli «naufraghi» è da ipocriti Ieri i responsabili di Sos Méditerranée scrivevano su Twitter, in preda all'angoscia: «Meteo in peggioramento: onde alte 4 metri e vento a 35 nodi fino a giovedì. Molte persone sulla Aquarius hanno mal di mare e vengono assistite. È un nuovo calvario per i 630 naufraghi dopo la Libia, l'angoscia a bordo di barconi e 4 giorni trascorsi sul ponte di una nave». Posto che avere mal di mare non significa esattamente trovarsi tra la vita e la morte, di sicuro i migranti che si trovano sulla nave della Ong non sono impegnati in una scampagnata. C'è però, nella loro vicenda, un dettaglio non irrilevante, che è bene esaminare per fare un po' di chiarezza. Non soltanto gli attivisti umanitari, ma la gran parte dei sostenitori delle frontiere aperte, in queste ore, si stracciano le vesti per i «naufraghi» in difficoltà. Forse è ora di dire che le cose stanno un po' diversamente e che gli stranieri provenienti dalla Libia non sono dei «naufraghi». Un naufrago, secondo la Treccani è «chi ha fatto naufragio, riferito sia a chi vi è perito, sia, più frequentemente, a chi è riuscito a scamparne». Gli immigrati in arrivo dalle coste africane, però, non hanno «fatto naufragio». Non si trovavano a bordo di navi che, per qualche colpo di sfortuna, si sono guastate o hanno finito il carburante in mezzo al Mediterraneo. No, sono stati accompagnati al largo a bordo di barconi (o barchini o gommoni) e lasciati lì in attesa dell'arrivo di qualche nave delle Ong o della marina italiana. Se permettete, la differenza è sostanziale. La presenza di africani nelle acque del (fu) Mare nostrum non è casuale. Essi vengono portati lì perché esiste una rete di personaggi di vario tipo che lucra sulle migrazioni di massa. E questi personaggi (scafisti e miliziani libici, bande più o meno organizzate ma pure mafie internazionali) conta sulla presenza di navi italiani o «umanitarie». Lo scriveva, già nel 2014, l'agenzia europea per il controllo delle frontiere chiamata Frontex: nel rapporto Q3 spiegava testualmente che i network criminali «hanno sfruttato la presenza di navi italiane in prossimità della costa libica durante l'operazione Mare nostrum, spesso utilizzando imbarcazioni insicure e troppo cariche e contando sulla prontezza delle forze italiane per la ricerca e il salvataggio». In quel caso, il riferimento era alle imbarcazioni della nostra marina impegnate nelle operazioni di search and rescue. Ma lo stesso discorso vale anche per i vascelli delle Ong. È interessante, a questo proposito, ascoltare l'opinione di Abu Ajila Abdellari, colonnello della Guardia costiera libica che nei giorni scorsi ha parlato con Notizie geopolitiche. Sentite che cosa ha detto: «Se le autorità italiane decidono di non accettare i migranti nei loro porti, questo scoraggerà i trafficanti». Se invece «continueranno ad accettare migranti in arrivo dal mare», garantiranno un «ingresso sicuro». Il ragionamento non è complicato. Come ha scritto pochi giorni fa su Panorama l'autorevole Fausto Biloslavo, «da Tripoli una fonte in prima linea nella lotta ai trafficanti spiega che «le navi delle Ong, complice il Ramadan, si avvicinano sempre più alle coste, con un effetto calamita per i migranti». E aggiunge: «Gli umanitari puntano a provocare una tragedia in mare, coinvolgendo la Guardia costiera libica, per mettere in difficoltà il nuovo governo italiano». La fonte sarà pure anonima, ma pare decisamente credibile. Le inchieste aperte nei mesi scorsi sulle Ong in alcuni casi si sono concluse con un nulla di fatto, anche perché gli strumenti in possesso degli investigatori non sono decisamente sufficienti. Tuttavia, hanno illustrato alla perfezione il funzionamento del meccanismo di partenze dalla Libia e recuperi in mare. Le «operazioni di salvataggio» avvengono per lo più su appuntamento. Gli scafisti danno in mano ai migranti telefoni satellitari che possono essere rintracciati dalla nostra guardia costiera. In altri casi, sono ferventi attivisti ad avvisare le autorità italiane. Uno di questi, sempre molto attivo, è padre Mussie Zerai, sacerdote eritreo che mesi fa fu indagato proprio nell'ambito di una inchiesta sulle Ong. Capite bene che è una cosa è naufragare, un'altra è essere spediti tra i flutti mentre qualcuno avvisa i soccorritori, contando sulla loro prontezza di riflessi. Per questo è fuorviante parlare di «naufraghi». Perché il naufrago ispira immediata compassione. Andare a salvare un naufrago è per forza un atto di umanità, una cosa totalmente positiva. Diverso è correre e recuperare un barcone che i trafficanti hanno mandato in acqua ben consapevoli del fatto che sarebbe stato raggiunto da navi più grandi. Se non ci chiariamo sul significato delle parole, non riusciamo a comprendere la gravità e la complessità di ciò che sta accadendo nel Mediterraneo. No, i migranti non sono naufraghi. Sono vittime di un sistema che i ferventi attivisti umanitari continuano a difendere. Francesco Borgonovo
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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