
La luna di miele tra Pedro Sanchez e gli immigrati è già finita. Al nuovo assalto di Ceuta, Madrid ha risposto con il pugno duro: chi è passato è stato respinto in violazione degli obblighi umanitari. Ma l'Europa tace.Sono finiti i tempi in cui il premier spagnolo, Pedro Sanchez, si faceva bello agli occhi dell'Unione europea accogliendo a braccia aperte la nave Aquarius con il suo carico di migranti. Si guadagnò un profluvio di elogi: lui sì che era solidale, al contrario del governo italiano con la sua brutale politica di chiusura dei porti.Si scopre adesso però che Madrid come brutalità non è seconda a nessuno. Le prime avvisaglie c'erano già state quando sbarcarono 450 migranti un mese fa a Pozzallo. Il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, concesse lo sbarco, ma sulla base d'impegni precisi dei partner. Peccato che poi le cose siano andate diversamente: solo la Francia ha mantenuto i patti, accogliendone 47 sui 50 promessi, mentre la Spagna si è elegantemente defilata. Anche loro dovevano ospitare 50 stranieri, ma non ne hanno preso neppure uno. La Spagna, eroica e generosa all'inizio, si è resa conto di non essere in grado di reggere all'urto di una immigrazione che non concede tregua. Quindi, come da tradizione, ha scaricato il problema sulle spalle dell'Italia. Ma quanto successo in questi giorni a Ceuta è ancora più emblematico: racconta di un Paese che predica la solidarietà e applica i respingimenti, non disdegnando le maniere forti. Quella brutalità che condannava. A fare le spese della «politica d'accoglienza» del governo socialista è stato un folto gruppo di migranti, proveniente dalla zona più povera del continente, quella subsahariana, che mercoledì ha assaltato e cercato di scavalcare il filo spinato alto sette metri che divide l'enclave di Ceuta dal Marocco. Ci hanno provato in 300 a fare il «salto de la valla», il salto della rete, ci sono riusciti in 116. C'è stata una vera battaglia tra gli immigrati e gli uomini della guardia civil, con lanci di acido, escrementi e calce viva da un lato, fumogeni, idranti ad alta pressione e manganellate dall'altro. Alla fine ci sono stati parecchi feriti, sette tra gli agenti, ma molti di più tra i migranti. Anche se le autorità non hanno fornito cifre in merito. Quello che è certo è che, infischiandosene degli «obblighi umanitari» più volte sbandierati, Sanchez li ha già rimandati tutti in Marocco senza neppure chiedersi se tra loro ci fossero profughi in fuga dalla guerra o meno. Sostiene di poterlo fare perché l'operazione è stata condotta sulla base di un'intesa che Spagna e Marocco hanno siglato nel 1992. L'accordo prevede che il Paese maghrebino debba riprendere nel suo territorio, su esplicita richiesta di Madrid, individui provenienti da nazioni terze entrati illegalmente in Spagna e quindi in Europa attraverso il confine con il territorio marocchino.Insomma, Pedro Sanchez ha mostrato il suo vero volto. Che non è quello dell'accoglienza e della solidarietà, a meno che non si tratti di criticare l'Italia. Anche perché per la prima volta la Spagna si trova in prima linea nel fronteggiare il fenomeno migranti illegali. È stato il capo di Frontex, Fabrice Leggeri, a riepilogare dati e modalità: sono stati 75.000 gli arrivi di stranieri in Europa nei primi sette mesi di quest'anno (-43% rispetto allo scorso anno) laddove nel 2015 furono 1.800.000. Uno tsunami umano che si è scaricato in massima parte sull'Italia, ma che ora sta iniziando a premere sulle enclave iberiche di Ceuta e Melilla. Questo il motivo del drastico cambio di rotta di Madrid, non più solo spettatore dell'invasione dall'Africa. Infatti Sanchez ha deciso di portare avanti l'appello dell'esecutivo popolare dell'ex premier, Mariano Rajoy, contro la condanna per i respingimenti immediati alle frontiere, decisa dalla Corte europea dei diritti umani nel 2014. Sposando quindi la linea della destra e rinnegando la propria.Si tratta del secondo massiccio assalto all'enclave di Ceuta in meno di un mese: il 26 luglio, dopo violenti scontri, erano riusciti a sfondare la barriera nello stesso punto in 602. Secondo il quotidiano El Pais, dietro questi assalti dei migranti ci sono le mafie. Il giornale cita un rapporto della guardia civil, secondo il quale la criminalità organizzata incassa 200 dirham marocchini, poco più di 18 euro, da ciascun immigrato, per tentare l'ingresso in Europa. I capi e i loro uomini di fiducia raccolgono il denaro e dirimono i conflitti tra migranti, con l'imposizione di punizioni, tra le quali l'esclusione dal gruppo. I trafficanti dopo un'accurata ispezione decidono ora e luogo del salto. Poi una volta stabiliti i dettagli tolgono i cellulari ai migranti e li restituiscono solo quando sono in prossimità della rete. Quando arriva il momento, un capo dà l'ordine di iniziare la sassaiola contro gli agenti per tenerli impegnati mentre il gruppo inizia la corsa. In caso di fallimento, i migranti devono anche ripagare la cifra.Ma che dietro il traffico di esseri umani, sui barconi o meno, ci siano le organizzazioni criminali non è certo una novità. Quello che più colpisce sono i due pesi e le due misure applicate da Bruxelles: strali sull'Italia che attende un accordo per dare il via libera allo sbarco della Diciotti e silenzio assoluto sulla Spagna, che rispedisce nel Sahara i profughi, minori compresi, senza chiedere a nessuno il permesso.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





