2021-07-21
La «rivolta» dei no global di allora oggi è marketing per multinazionali
Naomi Klein (Carsten Koall/Getty Images)
Luca Casarini, Francesco Caruso, Vittorio Agnoletto: le starlette della lotta contro l'«Impero» turbocapitalista si sono imborghesite. Peggio: la loro rivoluzione green è ormai una bandiera delle grandi corporation. Come insegna il caso Greta.Secondo Ernst Jünger, il ribelle è colui che «non si lascia imporre la legge da nessuna forma di potere superiore né con i mezzi della propaganda né con la forza». Egli preferisce «il pericolo alla schiavitù». La gran parte dei sedicenti ribelli che scesero per le vie di Genova nel luglio del 2001, invece, ha optato per una forma più o meno comoda di schiavitù o comunque di sottomissione. Non che siano cambiati, per carità. Anzi, sono rimasti gli stessi, e infatti si sono limitati a cavalcare lo sprazzo di celebrità, più o meno incuranti dell'approdo effettivo delle loro idee.Francesco Caruso, che divenne famoso come leader dei no global napoletani, si fece un giro in Parlamento tra il 2006 e il 2008, sotto le insegne di Rifondazione comunista. Crollato il partito, è sparito anche lui dalla scena. Si è preso un dottorato all'Università della Calabria e dal 2015 insegna (a contratto) Sociologia all'Università degli studi Magna Graecia di Catanzaro. Si era dichiarato «sovversivo a tempo pieno», ma al massimo è riuscito a provocare qualche secondo di polemica digitale quando, nel 2019, ha pubblicato sui social un commento a favore di Cesare Battisti.L'altra starlette dell'epoca, Luca Casarini (già a capo dei Disobbedienti) ha goduto di maggior visibilità, ma non di maggior gloria. Imploso il movimento antiglobalista, Casarini svanì per un po' dai radar, per riapparire nel 2009. Sentì il bisogno di rilasciare un'intervista al Corriere della Sera in cui dichiarò di aver aperto una attività di consulenza, e di aver capito che i nuovi sfruttati erano i possessori di partita Iva. Sembrò, per un soffio, che avesse compreso lo spirito del tempo, ma era solo una trovata per promuoversi. Dato che con il lavoro non gli era andata proprio benissimo, cinque anni dopo si candidò alle Europee nella lista Tsipras, ma non fu eletto. Nel 2017 divenne segretario di Sinistra italiana in Sicilia, ma la vera svolta avvenne nel 2019, allorché fu scelto come capo missione della nave Mare Jonio dell'Ong «istituzionale» Mediterranea. Come sia andata a finire lo sappiamo: indagato dalla Procura di Ragusa con l'accusa di aver imbarcato immigrati in cambio di soldi. I più, adesso, lo ricordano per la frase: «Domani a quest'ora potremmo essere con lo champagne in mano a festeggiare». Secondo gli inquirenti, l'avrebbe pronunciata dopo aver ricevuto un bonifico da 125.000 euro che sarebbero serviti a finanziare il trasbordo di 27 migranti dalla petroliera danese Maersk Etienne sulla Mare Jonio. Niente male.Chi manca all'appello? Ah, sì, Vittorio Agnoletto. Già nel 2001 appariva più pacato degli altri. Medico, anche lui oggi insegna all'università, per la precisione «Globalizzazione e Politiche della Salute nel corso di laurea in “Scienze Sociali della Globalizzazione" a Scienze Politiche all'Università degli Studi di Milano» (anche lui, come Caruso, è a contratto). Inoltre, spiega sul suo sito, opera «come medico del lavoro in alcune aziende e nelle commissioni sull'invalidità dell'Inps». È stato proprio Agnoletto, nei giorni scorsi, a pronunciare parole piuttosto decise: «Vent'anni dopo», ha dichiarato, «possiamo dire di aver avuto ragione su tutto».Eccolo, il nodo vero della questione. In fondo, che cosa facciano adesso gli ex rivoluzionari poco importa: si arrabattino come riescono alla stregua di tutti i comuni mortali. Più rilevante è che fine abbiano fatto le loro idee, e che cosa abbiano prodotto. Il quotidiano Domani, in prima pagina, ha fatto un titolo che dice il vero: «Greta Thunberg è nata a Genova». Nel sottotitolo si leggeva: «Oggi gli attivisti non sono più fuori dalle zone rosse ma parlano con i leader». Ovviamente, secondo i colleghi di Domani tutto ciò è estremamente positivo. A parere di chi scrive, invece, è parecchio inquietante.La lotta alla globalizzazione - specie se guardiamo ai disastri che ha prodotto un po' ovunque, specie in Occidente - aveva dei fondamenti. Era giusto opporsi all'azione livellante di quello che Giulio Tremonti ha chiamato «turbocapitalismo». Era sacrosanto difendere le comunità, i cibi locali, i diritti dei lavoratori, le specificità culturali. I no global di allora, però, non lo hanno fatto. Non sono stati sconfitti, come ha scritto qualcuno, dalla repressione violenta della polizia, bensì dalla ristrettezza delle loro vedute. Al globale non hanno opposto il locale, le tradizioni, i confini. No: si sono rifugiati in una caricatura del comunismo teorizzata da Toni Negri e Michael Hardt, i quali ne hanno ricavato enorme pubblicità e un libro in cima alle classifiche di mezzo mondo (Impero). Si sono adagiati nelle banalità «antagoniste», e ovviamente nel terzomondismo.Mentre i no global se la prendevano con McDonald's (e, in Italia, si facevano inghiottire dall'antiberlusconismo), le multinazionali che essi avversavano si sono prese e mangiate tutti i loro temi, e li hanno trasformati in strategie di marketing. Sono le grandi corporation, oggi, a portare avanti la rivoluzione green. I ribelli hacker che alla fine degli anni Novanta apparivano come la nuova frontiera della sedizione si sono rifugiati nella Silicon Valley a incassare milioni grazie al controllo sociale. Ai tempi di Genova c'era Manu Chao - tornato proprio in questi giorni sul luogo del delitto - a cantare Clandestino (tratta da un album del 1998); oggi è l'intero sistema mediatico-politico a tifare per l'abolizione dei confini. Insomma, tutti i temi forti dei no global hanno finito per nutrire il capitalismo, non per abbatterlo. Hanno alimentato la globalizzazione, non l'hanno affatto arrestata.È vero: Greta è nata a Genova. Nel senso che la Thunberg ben simboleggia i ribelli dei nostri giorni, che sono totalmente integrati, se ne stanno al caldo nel ventre del potere, dalle auto distrutte nella zona rossa sono finiti a prendere applausi a Davos. Lo ha ammesso persino Naomi Klein, cioè l'autrice di No Logo che fu il «libretto rosso delle tute bianche». Nel 2019, in un'introduzione alla ristampa del saggio, ha preso atto della svolta ideologica del neoliberismo, che da qualche tempo si ammanta di valori progressisti, appare come il difensore dei «diritti». La Klein lo sa bene, perché a sua volta è divenuta una sostenitrice della «svolta verde». Come il 1968 ha prodotto (anche) l'edonismo degli anni Ottanta, i no global hanno piantato i semi del «capitalismo illuminato» di oggi.E noi, nel frattempo, siamo diventati molto più poveri.
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)