2020-11-22
La riforma della crisi d’impresa è una mazzata per i commercialisti
Roberto Gualtieri e Giuseppe Conte (Ansa)
Verrà inserita nel Ristori ter al momento della conversione in Aula. Prevede risparmi nelle procedure tagliando il 25% dei compensi: preconcetto verso i professionisti e incapacità di comprendere gli autonomi.Pioggerella di interventi, ma non si parla mai di riduzione di tasse o di investimenti. Rischio paralisi da decreti attuativi non varati.È insoddisfacente anche il fondo di solidarietà alimentare di 400 milioni per i Comuni.Lo speciale contiene tre articoli.Il decreto Ristori ter è appena stato promosso dal Consiglio dei ministri. Dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale dovrà andare filato in commissione al Senato per confluire nel primo decreto Ristori. Già martedì ci sarà la riunione dell'ufficio di presidenza. Tempi così stretti imporranno un vaglio a maglie larghissime dei lavori per l'inserimento di emendamenti. O l'innesto di altre novità di legge. Tra queste è previsto che parte dei lavori ereditati dalla prima commissione Rordorf sulla riforma delle discipline della crisi d'impresa vengano infilati nel decreto in fase di conversione d'Aula. La commissione viene istituita nel 2015. Poi si evolve con l'aggiunta di altri membri e si occupa di migliorare le attività del comparto fallimentare e delle situazioni d'insolvenza. L'obiettivo finale è snellire e rendere meno onerosi i fallimenti o i concordati per le imprese. Da qui l'idea - bisogna dire corretta - di anticipare il disegno di legge e inserirne alcuni pezzi nel dibattimento d'aula. Da gennaio arriverà l'onda nera della crisi e il numero di aziende che porteranno i libri in tribunale o che si rivolgeranno ai professionisti per un concordato sono malauguratamente destinate a crescere in modo esponenziale. Purtroppo, visto che dal dire al fare c'è sempre di mezzo il mare, l'idea individuata per tagliare i costi di accesso alle procedure è qualcosa di molto lontana dal concetto stesso di riforma e semplificazione. Il governo ha deciso che i compensi dei professionisti dovranno essere di fatto tagliati del 25% e subordinati al buon esito della pratica. «In sintesi», spiega a La Verità Andrea Foschi, consigliere nazionale del consiglio dei dottori commercialisti ed esperti contabili con delega alle crisi d'impresa, «è stata inserita la logica del success fee. Un modo a nostro avviso quanto meno anomalo per applicare risparmi nell'iter delle procedure. Se, per esempio, un attestatore a fine lavori bocciasse il concordato per ragioni tecniche vedrebbe il suo compenso svanire nel calderone dei creditori». In pratica, la mossa del governo mira a scaricare sulle spalle dei professionisti gli oneri della procedura. Il 75% del compenso dopo l'entrata in vigore della legge verrà considerato prededucibile, cioè incassabile al momento del concordato o della sentenza fallimentare. Il rimanente 25% finirebbe tra le file dei creditori, il che equivale a un taglio visti i tempi di attesa che si misurano in anni. Se poi la procedura saltasse, allora tutto il compenso verrebbe infilato nello stesso calderone. Una tale mossa denota non solo un preconcetto verso la categoria dei professionisti ma anche una mancata volontà di portare avanti una reale riforma. Al contrario si rischia di ottenere due cose. La prima possibilità è che i compensi vengano alzati in modo aprioristico. Per bilanciare con il primo 75% l'intero lavoro. La seconda, ancora più grave, è che i professionisti siano spinti a mettere il timbro sul concordato per accelerare i tempi e incassare gli onorari. Punendo implicitamente i migliori e i più scrupolosi. Forse a mancare tra le file della maggioranza di governo è proprio la capacità di comprendere la filosofia che sta dietro alla mentalità del lavoratore autonomo. D'altronde basta scorrere i decreti che si sono susseguiti dopo il Cura Italia per vedere la scarsissima considerazione verso le partite Iva e ancor più i professionisti. I bonus a pioggia (ancorché insufficienti sotto il mero punto di vista economico) sono totalmente sbagliati per chi cerca sostegno all'interno della libera impresa. Non servono sussidi né elemosina. Servono meno costi per la burocrazia e meno tasse. Invece lo schema adotto è sempre l'opposto. Si beneficiano dipendenti pubblici e cittadini che bramano il reddito universale. Lo si comprende pure dal botta e risposta dei sindacati della Pa. I quali hanno annunciato sciopero per il prossimo 9 dicembre. Contestano non il mancato rinnovo del contratto ma l'importo dell'aumento. In un momento come questo, in cui i ristoranti sono obbligati a chiudere, la politica dovrebbe fare pressioni contro la Pa. Per evitare almeno di spaccare il Paese in due. E assistere a uno scontro tra chi produce Pil e gli altri. Lungi da noi, infatti, chiedere tagli e l'abolizione di diritti acquisiti. Al contrario massacrare chi non ha rappresentanza elettorale significa azzoppare ciò che rende l'Italia una nazione unica: i milioni di partite Iva, piccolissimi imprenditori e professionisti. Sembra che il sogno sovietico dei giallorossi preveda la normalizzazione di tutte le figure di lavoratori che ai loro occhi rappresentano una anomalia. Lo stillicidio di decreti e di ristori ne è un segno. Da un lato conferma l'incapacità di questo governo di applicare valutazioni ex ante e dall'altro la maligna volontà di erogare aiuti con il contagocce per tenere ideologicamente al guinzaglio che è economicamente libero. Ne va della dignità dei piccoli imprenditori e del futuro della ricchezza diffusa.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-riforma-della-crisi-dimpresa-e-una-mazzata-per-i-commercialisti-2649006335.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="governo-del-gambero-tappa-i-buchi-passati-ma-senza-un-progetto" data-post-id="2649006335" data-published-at="1606013184" data-use-pagination="False"> Governo del gambero. Tappa i buchi passati ma senza un progetto È proprio il governo del gambero: procede all'indietro, e sembra perfino incapace di guardare avanti. Il fallimento in termini di previsione è addirittura conclamato, e si è ripetuto in modo spettacolare in entrambi i «tempi» della «partita» del Covid: in primavera, Roberto Gualtieri era partito da una previsione di sforamento di appena 3,5 miliardi (e fu costretto a moltiplicarla per oltre 30 volte, arrivando a 100 miliardi); in quest'autunno, la scena sembra purtroppo ripetersi, con decretini che si rincorrono a ritmo incessante come toppe per coprire falle che si aprono da tutte le parti. Dunque, sia durante la prima sia durante la seconda ondata, il governo, oltre a non avere una strategia sanitaria, ha mostrato di non possedere nemmeno una strategia economica. Tutto risulta sminuzzato in una pioggerellina di interventi: un sussidio qua, un miniristoro là, una microsospensione di tasse solo per alcuni, senza un progetto complessivo e senza che famiglie e imprese possano contare su certezze stabili. Non si parla di poderose riduzioni di tasse nel 2021 per creare condizioni minime per una ripresa sostenuta; non si parla di anno bianco fiscale (o almeno di semestre bianco); né c'è chiarezza sugli investimenti, viste le incognite che gravano sul Recovery Fund. Lo stesso comunicato stampa finale dell'ultimo Consiglio dei ministri rende l'idea di questo vivere alla giornata, quando parla di un «ricorso all'indebitamento di 8 miliardi di euro in termini di indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche e di fabbisogno e di 5 miliardi di euro per il saldo netto da finanziare del bilancio dello Stato, in termini di competenza e in termini di cassa». Siamo sempre lì, al piccolo cabotaggio, al giorno per giorno, a un bricolage volto ai microinterventi, senza alcuna capacità di guardare avanti. A tutto questo, va sommata l'incapacità operativa e di implementazione da parte del governo, che, anche quando annuncia e decide qualcosa, non riesce poi a tradurla in atti concreti, a «farla accadere» davvero, e lascia che tutto resti impantanato in procedure a cui nessuno sembra in grado di mettere mano, per renderle accettabilmente spedite. Da questo punto di vista, l'anno del Covid ha fatto esplodere in modo spettacolare il tema dell'arretrato, dell'accumulo di decreti attuativi non varati, cioè della mole crescente di interventi normativi di rango inferiore che sarebbero necessari per l'attuazione delle misure annunciate, e che invece non arrivano, creando anche un blocco nella erogazione delle risorse teoricamente stanziate. A metà ottobre, è stato il Centro studi di Confindustria a lanciare l'allarme nel suo «Rapporto di previsione autunno 2020»: «Non è da escludere che anche la farraginosità dei provvedimenti adottati e le difficoltà di implementazione possano incidere sull'effettiva erogazione delle risorse. Complessivamente, infatti, gli interventi decisi dal governo prevedono l'adozione di 208 decreti attuativi (137 nel decreto rilancio, 37 nel decreto agosto e 34 nel Cura Italia). Di questi, a oggi, ne sono stati adottati soltanto 64». Come si vede, secondo gli industriali, un mese fa, meno di un terzo dei decreti necessari risultavano effettivamente adottati. Non differiscono molto dalle stime di Confindustria quelle di Openpolis (siamo sempre a metà ottobre) che ha allargato l'analisi anche ad altri provvedimenti governativi, oltre a quelli già citati. Per il Cura Italia servivano 34 decreti attuativi e, un mese fa, ne erano stati adottati solo 24; per il decreto rilancio ne servivano 137 e ne erano stati adottati 52; per il decreto semplificazioni ne mancavano 38; per il decreto Agosto ancora 36. Considerando anche altri decreti bisognosi di attuazione, il computo complessivo di Openpolis parlava di ben 200 provvedimenti ancora da varare, circa due su tre di quelli teoricamente necessari. La situazione si aggrava se si considera che in qualche caso ci sono termini temporali da rispettare, e in qualche caso no, il che rende tutto ancora più vago e indistinto. Tutto ciò apre riflessioni su diversi piani. Per un verso, c'è una questione di tecnica legislativa: sapendo che si rischia il pantano burocratico, sarebbe bene adottare provvedimenti sostanzialmente autoapplicativi, con un forte grado di automaticità. Se invece si continuano a seguire procedure complesse, la paralisi diventa una certezza. Per altro verso, c'è la discrasia creata dalla fanfara mediatica con cui certe misure sono lanciate da Giuseppe Conte e dai media allineati al governo: il rischio, molto concretamente, è che si dia l'annuncio mediatico di un intervento, si crei una legittima attesa nei cittadini, e che tutto sia invece inghiottito dalle sabbie mobili di un'attuazione lenta o addirittura inesistente. Ma questa trincea sembra drammaticamente non presidiata. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-riforma-della-crisi-dimpresa-e-una-mazzata-per-i-commercialisti-2649006335.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="gia-allocati-i-5-miliardi-del-ristori-ter-mancano-soldi-per-nuovi-interventi" data-post-id="2649006335" data-published-at="1606013184" data-use-pagination="False"> Già allocati i 5 miliardi del Ristori ter. Mancano soldi per nuovi interventi Sul decreto Ristori la situazione è ancora peggiore delle attese. Nell'ultimo Cdm sugli aiuti alle aziende in difficoltà a causa della pandemia che si è concluso intorno alla mezzanotte del 21 novembre il governo ha richiesto, per il 2020, «l'autorizzazione al ricorso all'indebitamento di 8 miliardi di euro in termini di indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche e di fabbisogno e di 5miliardi di euro per il saldo netto da finanziare del bilancio dello Stato, in termini di competenza e in termini di cassa». Il problema è che, leggendo quanto deciso nell'ultimo Consiglio dei ministri, i 5 miliardi da finanziare sarebbero già tutti stati allocati. Il che significa che, per qualunque novità in termini di ristori per il 2021, l'esecutivo dovrà sicuramente mettere ancora mano al portafoglio. Nella notte del 21 novembre il Cdm guidato dal premier Giuseppe Conte ha reso noto che stanzierà per il 2020 altri 1,95 miliardi per il decreto Ristori ter a favore delle «attività economiche interessate, direttamente o indirettamente, dalle misure disposte a tutela della salute, al sostegno dei lavoratori in esse impiegati, nonché con ulteriori misure connesse all'emergenza in corso». In aggiunta a questi fondi è inoltre previsto l'incremento di 1,45 miliardi, per il 2020, della dotazione del fondo previsto dal decreto Ristori bis per compensare le attività economiche che operano nelle Regioni che passano a una fascia di rischio più alta. Destinatarie del contributo a fondo perduto nelle zone rosse, tra l'altro, anche le attività di commercio al dettaglio di calzature. A ciò si aggiunga l'istituzione di un fondo con una dotazione di 400 milioni di euro, da erogare ai Comuni, per l'adozione di misure urgenti di solidarietà alimentare e altri 100 milioni, sempre per il 2020, per aumentare dotazione finanziaria del Fondo per le emergenze nazionali, allo scopo di comprare e distribuire farmaci per la cura dei pazienti affetti da Covid-19. Già così il conto ammonterebbe a circa 3,9 miliardi. A questi però va aggiunto circa un altro miliardo che servirebbe a coprire alcuni buchi legati al primo decreto Ristori. Conti alla mano i cinque miliardi da finanziare sarebbero quindi già andati tutti. Da notare, tra l'altro, che l'iniziativa era già stata finanziata a marzo, nel corso della prima ondata. Anche in quel caso il governo decise di stanziare 400 milioni di euro, ma l'operazione non ebbe il successo sperato. I soldi arrivarono subito nei vari Comuni italiani ma, come spesso capita in questi casi, la burocrazia ha rallentato non poco la distribuzione dei contributi. Così alcune amministrazioni locali si sono mosse subito, altre hanno fatto attendere più del necessario i contribuenti e altre ancora hanno sospeso la distribuzione dei buoni spesa a causa dell'alto numero di domande. Non sono poi mancate le polemiche perché Comuni con lo stesso numero di abitanti avevano percepito sovvenzioni molto diverse tra loro a causa del fatto che il reddito pro capite degli abitanti, in media, era molto diverso. C'è poi il quarto decreto Ristori. La quarta versione della norma verrà finanziata con le risorse aggiuntive di 8 miliardi che arriveranno dopo il via libera delle Camere allo scostamento di bilancio in programma per il prossimo giovedì 26. All'interno del decreto dovrebbe esserci anche il rinvio delle scadenze fiscali e delle rate della rottamazione ter e del saldo e stralcio, che altrimenti ripartirebbero il 10 dicembre. Lo stop dovrebbe riguardare le imprese fino a 50 milioni di fatturato con perdite di almeno il 33%.