2019-01-12
La partigiana di sbieco che le spara grosse
Ossessionata dal «fascismo di ritorno», Lilli Gruber miete audience con una tv intrisa di faziosità che è il sale del suo talk show su La7. Il suo stile è quello dei giornali in crisi di vendite: esagerato. Al quale accompagna, per influenzare, una mimica da film muto. Letto il temino, suor Rosita, insegnante elementare delle Marcelline di Bolzano, esclamò: «Scrivi bene, piccola. Vai avanti così». La piccina, Dietlinde Gruber, la futura Lilli, arrossì per la lode. Ci rimuginò su e cominciò a covare la passione che ha portato la brava giornalista altoatesina ai fasti che conosciamo. Oggi, a 61 anni, Lilli continua a mietere audience con una tv intrisa di partigianeria che è il sale del suo talk show, Otto e mezzo (La7). A ossessionarla è il nazifascismo, in conformità con la sua doppia formazione tedesca e italiana. Ha aperto il 2019 con una puntata sul «fascismo di ritorno», allusione a Matteo Salvini. Le è andata male. Tra gli ospiti, nessuno se l'è sentita di appaiare Salvini ad Achille Starace, neanche il comunistissimo, ma intelligente, professor Luciano Canfora. Il copione che si era prefissa ha fatto flop e Lilli si è stizzita. Ha assunto la celebre posa di tre quarti, puntando il gomito sul tavolo. Ha mosso la lingua a serpentello e, con voce fredda, ha alluso al clima intollerante che si respira con il governo gialloblù. Gli altri però non l'hanno seguita su questo terreno e la padrona di casa si è impantanata. Lo stile Gruber è quello dei giornali in crisi di vendite: spararla grossa. Un aumento del prezzo degli spinaci diventa con lei una carestia biblica. A questo, per influenzare il telespettatore, aggiunge una mimica da film muto. Si parla di Walter Veltroni? Largo sorriso di approvazione. Tocca al Cav? Smorfia di disgusto. Eccetera.il copione fa flop Anni fa, con Berlusconi premier, incentrò una trasmissione su una delle sue sciocche barzellette. Adolf Hitler è ancora vivo e gli adepti gli chiedono di tornare al potere. «Accetto, rispose Hitler, ma a una condizione: stavolta vi voglio davvero cattivi». Gruber voleva fare emergere l'insipienza di un capo del governo che la butta a ridere sul massacratore nazista e la sua indegnità a ricoprire il ruolo. Gli ospiti, però, la delusero, liquidando la faccenda in due battute. Matteo Salvini, che allora era nelle grazie di Lilli in quanto leghista anti Cav, disse solo: «Non l'ho nemmeno capita». Luca Ricolfi, il sociologo piddino con la testa sulle spalle, aggiunse: «Al 90 per cento, i politici dicono sciocchezze. La stampa non dovrebbe occuparsene», con il sottinteso che Gruber aveva fatto male a imbastirci la puntata. Che, in effetti, prese una piega moscia con la conduttrice in depressione.l'infatuazione di montanelli Oggi, Gruber è tuttavia un'assennata signora rispetto all'assatanata degli anni Novanta del secolo scorso. All'epoca, poco più che trentenne, era mezzobusto prima al Tg2, poi al Tg1. Emergeva per i capelli rossi a caschetto, la posa aggressiva, la spalla sguincia che usciva dallo schermo, il broncio perentorio, la mancanza di sorriso. A scoprirla, fu il direttore socialista del Tg2, Antonio Ghirelli. Voleva volti nuovi e li cercò in provincia. Da Telebolzano, suo primo lavoro, arrivò la pupilla di suor Rosita. Fatto il provino, Ghirelli napoletanò: «Lilli, tu si' 'n'animale televisivo» e l'assunse. Divenne in breve così nota che Indro Montanelli l'avrebbe voluta collaboratrice del Giornale. Fu il capo della redazione romana, Guido Paglia, ad avvertire il direttore che Gruber era molto di sinistra e avrebbe stonato in un quotidiano liberale. Fuori dalle quattro mura della Rai, si ignoravano le sue tendenze. Paglia, però, che decenni dopo diventerà capo delle Relazioni esterne dell'azienda, aveva amici nel Tg2. Il sinistrismo gruberiano divenne di dominio pubblico in circostanze curiose. Un'estate, Lilli era stesa nuda su una spiaggia sarda quando un fotografo la immortalò. Novella 2000 pubblicò il servizio incentrandolo sui seni bonsai della reporter. Gruber si inviperì. Tanto più che al suo fianco, malamente nascosto dal cespuglio della sua barba, c'era Beppe Giulietti. Costui era un giornalista, poi per 5 legislature deputato miscellaneo di Pds-Ds-Italia dei Valori-altri, già da anni arcinoto nell'ambiente come suo fidanzato ma che lei continuava a tenere segreto. Lilli chiese i danni al magazine facendo presente che era una conduttrice, non una soubrette e che la taglia delle zucche erano affar suo. Il tribunale le liquidò qualche centinaio di milioni.trovar marito in iraq Giulietti, rifondarolo o giù di lì, fu il mentore della sudtirolese ai primi passi. Era capo indiscusso dell'Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai, temuto dai dirigenti. Lilli, tutt'uno col suo uomo, divenne una pasionaria. Fu perciò detta «la moglie di Mao». Il suo stile tv si precisò nel senso già detto, del graffio e del morso. Col successo, fioccarono i servizi importanti. Di madre lingua tedesca, il Tg2 le affidò la cronaca sul crollo del muro di Berlino. Ne ricaverà un libro. Chiamata da Bruno Vespa al Tg1 (1990), fu spedita in Iraq per la guerra del Golfo. Ne ricaverà un altro libro e, per li rami, 3 o 4 volumi sull'Islam, la donna e l'Islam, l'immigrazione e l'Islam ecc. Ormai camminava da sola. Giulietti sparì tra le nebbie. In Iraq, aveva conosciuto, Jacques Charmelot, un collega dell'agenzia France Presse. Era Giulietti capovolto: lungo e calvo, quanto l'altro barbuto e tarchiato. I due volti dell'amore. Nel 2001, Dietlinde e Jacques si sposarono in una chiesetta della Val di Fiemme, decorata di rose gialle. Al momento degli anelli, si fecero una carineria: alla domanda del prete, «vuoi tu..?», lei disse oui e lui sì. la rossa all'europarlamento Nel 2004, Lilli volle provare l'ebbrezza della politica, cedendo alle avances dell'Ulivo. Si candidò per Strasburgo, prendendo più di un milione di voti nella circoscrizione di casa, il Nord-Est. Fu abbastanza assidua, 58 per cento di presenze e si occupò di migrazioni, dicendo con 15 anni di anticipo ciò che ripete oggi, Tito Boeri: via libera ai migranti, perché ci pagheranno le pensioni Inps. Potevamo fare a meno di Boeri. Tuttavia, in capo a 4 anni, Lilli si disamorò. Firmò il contratto con La7 e lasciò il parlamento con anticipo, alla faccia dei suoi elettori. La perfetta italianità di Gruber, così rara nei sudtirolesi, è dovuta all'adolescenza trascorsa a Verona. Qui, il padre aveva un'azienda di macchine edili, la Tiger. In famiglia, però, si parlava tedesco. Lilli aveva due fratelli più grandi, Federica e Wienfred. Federica, più bella, era fonte di qualche complesso per Dietlinde, combattuta tra un'alta opinione di sé e una mostruosa insicurezza. Frequentava gli amici dei maggiori ma era considerata bambina e lasciata in disparte.postura dovuta a scoliosi Per farsi notare, portava vertiginose mini che facevano risaltare belle gambe tuttora ricordate. Soffriva però di una leggera scoliosi che, come ha raccontato lei stessa, è all'origine del suo sedersi sbieca in tv, risultando la posizione più comoda. Lilli era spesso infelice e considerata bizzarra per gli sbalzi d'umore. La separazione dei genitori aggravò la situazione. I figli seguirono la mamma in Alto Adige e Lilli concluse il liceo a Bolzano dalle solite Marcelline. Verona però l'attirava irresistibilmente e ci tornava spesso. Finché si trasferì a Venezia, dove si laureò in Lettere straniere. A darle un'altra botta, fu un amore travagliato con un architetto trentino. Finché, stufa di piangersi addosso, si buttò nel lavoro, mandò all'inferno tutti e diventò Lilli Gruber.
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