
La Open arms annuncia che sta puntando verso il nostro Paese con a bordo 121 migranti rifiutati da Malta. Matteo Salvini: «Non c'è emergenza, è una provocazione». L'Ue: «Non abbiamo competenza sui porti di sbarco».Primo stress test per il Decreto sicurezza bis, fresco di approvazione. Dopo sei giorni di navigazione raminga nel Mediterraneo con 121 immigrati a bordo, dal peschereccio adattato a nave di salvataggio della Ong spagnola Open arms fanno sapere che puntano verso l'Italia con a bordo gli immigrati rifiutati da Malta. È stato Oscar Camps, il fondatore della Ong spagnola in persona, ad annunciarlo: «Se la situazione a bordo si farà grave entreremo in acque italiane». E un attimo dopo i legali della Open arms hanno depositato un ricorso urgente al Tribunale per i minorenni e alla Procura minorile di Palermo chiedendo di far scendere subito i 32 minori che la Ong dichiara essere a bordo, affinché vengano anche nominati i tutori per quelli che viaggiano da soli. Ma quella di Open arms è una sfida. All'Italia, ma anche a Malta, che l'altro giorno ha vietato alla loro nave di attraccare. «Siamo testimoni della loro prepotenza e del loro abuso istituzionalizzato», ha spiegato in un video il presidente di Open arms Italia Riccardo Gatti, «ma anche del silenzio dell'Unione Europea». E subito dopo lancia il guanto all'Italia: «Faremo di tutto affinché le convenzioni internazionali, le normative, gli obblighi ed evidentemente anche i diritti di queste persone, vengano rispettati». Se questa è la premessa, sembra ripetersi la storia della Sea Watch di Carola Rackete. Con una differenza. L'Italia ha il nuovo scudo del Decreto sicurezza bis. E infatti dal ministro dell'Interno Matteo Salvini è arrivato il primo avvertimento: «Si ricordi la Open arms che per lei le acque territoriali italiane sono chiuse e siamo pronti a sequestrare la nave». Tutto è cominciato con l'annuncio, il 1° agosto, del recupero di 68 persone in mare: «Ora abbiamo bisogno di un porto sicuro per farle sbarcare». Due donne incinte e la sorella di una di loro in cattive condizioni di salute sono state fatte scendere dalla nave e accolte dalla Guardia costiera italiana. In questi sei giorni, ovviamente, «la Open Arms», sottolinea Salvini, «avrebbe avuto tutto il tempo per raggiungere la Spagna, che ha dato la bandiera alla nave, e dove alcuni sindaci si sono esposti a favore dell'accoglienza». Per poi arrivare al dunque: «Forse questi signori vogliono fare solo una provocazione politica. Evidentemente la vita delle persone a bordo non è la loro vera priorità, ma vogliono a tutti i costi trasferire dei clandestini nel nostro Paese».La Spagna, però, nell'ultimo anno ha già accolto 15.000 migranti e la Guardia costiera ha tolto sei mesi fa alla Open Arms l'autorizzazione a svolgere attività di ricerca e soccorso, motivando il provvedimento e le multe, che arrivano fino a 1 milione di euro, proprio con la chiusura dei porti italiani.Ecco svelato l'arcano: la Open arms, nonostante la disponibilità dei sindaci di Valencia e Barcellona, non ha titolo per andare in Spagna. E allora è rimasta a galleggiare per un po' guardando l'Italia a distanza. Dall'Ue fanno sapere di non aver ancora ricevuto richieste di coordinamento per il caso della Open arms. Un portavoce dell'esecutivo comunitario spiega: «La Commissione europea non ha competenza sulle operazioni di ricerca e salvataggio o sui porti di sbarco. Ma questo episodio dimostra ancora una volta l'urgente necessità di un meccanismo prevedibile e sostenibile per il Mediterraneo». Mentre Cipro ha scritto una lettera a Bruxelles chiedendo il ricollocamento di 5.000 immigranti arrivati sul suo territorio. La Commissione, come al solito, ha tempi lunghi e ha fatto sapere che sta analizzando il documento. Poi, ieri, di colpo, è arrivato l'annuncio di Open arms: «Se la situazione a bordo dovesse peggiorare e ci fossero problemi seri per i 121 migranti, entreremo nelle acque italiane». La leva è sempre la stessa, quella buonista: «La situazione a bordo è complicata», dice in un'intervista a Catalunya Radio Oscar Camps, «ci sono casi che necessitano di assistenza medica quotidiana e altri che hanno bisogno di assistenza psicologica costante per quel che hanno subito in Libia». Come era facile prevedere, alcuni fedeli di Lampedusa, come avevano già fatto durante il braccio di ferro tra governo italiano e Sea watch, sono tornati a dormire sul sagrato della chiesa come segno di solidarietà. «L'intera Europa», affermano dal gruppo Lampedusa solidale, «sembra aver loro voltato le spalle, negando finora un approdo sicuro in violazione delle leggi e delle convenzioni internazionali. È Lampedusa il porto sicuro più vicino. A fianco delle persone a bordo di Open arms e nel rispetto della Costituzione italiana ci impegniamo a tenere accesa una fiamma ogni notte fin quando tutte le persone non saranno fatte scendere a terra in un porto sicuro». E anche da Sinistra italiana è arrivato il solito sermone: «Se fossimo un Paese normale», ha dichiarato Erasmo Palazzotto, «quelle 121 persone a bordo dovrebbero essere fatte sbarcare subito come prevede la legge, bisognerebbe prestargli assistenza, verificarne le condizioni e poi discutere con gli altri Paesi europei come gestirne l'accoglienza. Purtroppo siamo in un Paese dove le forze politiche al governo hanno costruito su questo terreno una narrazione totalmente falsa». Dall'Italia, che ritiene la nave spagnola una minaccia, è partita già la notifica del divieto di ingresso firmato, come previsto dal Decreto sicurezza, da Salvini e dai ministri di Difesa e Infrastrutture. Ora tocca a Open arms la prossima mossa.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





