2025-10-05
La Nato russofoba ci scarica sul fianco Sud
Giorgia Meloni e Mark Rutte (Ansa)
Con i moniti sui missili di Putin contro Roma, Rutte (e Zelensky) si fossilizzano sul lato Est, ignorando che la sicurezza collettiva, come dice l’Italia, passa pure per le frontiere meridionali. Dove Mosca è altrettanto minacciosa. E la Turchia sta giocando sporco.Prima Volodymyr Zelensky: «L’Italia potrebbe essere la prossima». Poi Mark Rutte: «I più avanzati missili russi potrebbero colpire Roma». Anche a voi sembra una strana doppietta? Perché i nostri alleati dovrebbero provare a diffondere il panico nell’opinione pubblica? Il governo di Giorgia Meloni non è già allineato e coperto? Sì, il premier ha preso le distanze dalle macronate sui volenterosi. Ma sia a Kiev sia a Bruxelles, dove si trova il quartier generale della Nato, sono consapevoli che l’iniziativa anglofrancese è più fumo che arrosto. E allora? Da cosa nasce il bisogno di richiamarci all’ordine?Evidentemente, né al segretario generale dell’Organizzazione nordatlantica né al presidente ucraino è sfuggito il nodo indicato da Palazzo Chigi: quello che riguarda il fianco Sud dell’Europa. Un argomento che in troppi - e a torto - ancora percepiscono come una distrazione di risorse culturali e materiali. Meloni lo ha messo sul tavolo al summit di Copenaghen, mercoledì scorso. La Nato, ha ammonito, non creda che esiste soltanto il teatro dell’Est, dove è appena partita l’operazione Sentinella, concepita sulla scorta dei misteriosi sorvoli di droni su vari aeroporti del continente e degli sconfinamenti, autentici o solo temuti, dei caccia russi sui cieli baltici. Anche il ministro della Difesa, Guido Crosetto, alla Verità ha confermato che il nostro Paese vorrebbe che la protezione delle frontiere meridionali rientri «nel progetto di difesa complessivo». E che il sostegno dei partner non si limiti a dichiarazioni d’intenti. Il messaggio dev’essere arrivato forte e chiaro, perché al vertice danese sono emerse frizioni persino sull’ultimo totem dell’Ue: il muro anti-droni. E alla cautela di Parigi si sono sommate le esigenze manifestate dagli Stati mediterranei, i quali hanno domandato un maggior coinvolgimento. Tradotto: l’Alleanza deve comprendere e mettere nero su bianco che la sicurezza collettiva dell’area nordatlantica passa pure per il fronte Sud. L’Alleanza ha preso atto. Ma ha capito?Sono proprio le parole di Rutte a lasciare qualche dubbio. Le dichiarazioni al Tg1 dell’olandese, che si è profuso in lodi così sperticate alla Meloni da risultare sospette, vanno riportate per intero: i razzi più all’avanguardia nell’arsenale di Mosca, ha osservato il funzionario, «non possono essere intercettati con i nostri sistemi antimissile tradizionali. Perciò sono un gravissimo pericolo. Siamo tutti sul fronte orientale, non solo l’Estonia, la Polonia o la Romania, ma anche l’Italia». Se questa doveva essere una risposta alle richieste del governo italiano, è stata una risposta negativa: la priorità, per una Nato ormai monopolizzata da baltici e polacchi, rimane la linea di attrito con la Russia. E almeno fintantoché i mezzi saranno limitati e l’aumento delle spese militari non avrà recato effetti tangibili, non potremo aspettarci aiuti a Sud.Beninteso: il monito di Rutte è condivisibile. Le vulnerabilità occidentali sono ben note. L’errore sta nel convincersi che i guai possano arrivare solo dal cuore della Federazione. Venerdì, su Repubblica, Gianluca Di Feo illustrava con dovizia di particolari le minacce russe installate a Meridione dell’Europa: ad esempio, i Mig-31. Gli stessi velivoli che hanno invaso per qualche minuto lo spazio aereo dell’Estonia, poi ricacciati indietro dagli F-35 italiani, forse sono stati spostati dalla Siria post-Assad alla Cirenaica. Poi ci sono tre unità navali: una corvetta, una fregata e un sottomarino non nucleare. Capaci di aggirare la sorveglianza marina, anche se non di trasportare gli ipersonici Zirkon, cui nel 2024 la flotta di Vladimir Putin fece solcare il Tirreno e lo Ionio, prima che la caduta del regime siriano compromettesse lo scalo strategico di Tartus.Se è vero quanto sostiene Rutte a proposito del fronte Est, è altrettanto vero che - usiamo la sua espressione - «siamo tutti» anche sul fronte Sud. Nel Mediterraneo, per di più, non c’è il dispiegamento di forze che possono vantare i baltici e la Polonia. La Libia è zeppa di squadre di russi a dare man forte al generale Khalifa Haftar. Prova ne sia l’episodio dello scorso luglio, quando una delegazione Ue, della quale faceva parte il nostro ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, era stata respinta dall’esecutivo di Bengasi. Nelle reticenze della Nato, quanto peseranno le pressioni della Turchia, membro del sodalizio militare, invischiata in Nordafrica ma certo non in nome degli interessi europei? È in quelle aree che amicizie e inimicizie si rimescolano. Ankara e Mosca possono sfruttare, quale arma della «guerra ibrida» di cui tanto si parla a proposito delle incursioni dei droni, anche l’immigrazione. A Bruxelles hanno sempre tergiversato, supponendo che il problema fosse solo italiano, al più greco, maltese, spagnolo. Si sbagliavano. E dovrebbero essersene accorti. Un’Alleanza che rifiuti di conferire a Roma il mandato di stabilizzare la regione mediterranea sarebbe un’Alleanza monca. Prigioniera di una patologica ossessione per l’annientamento finale della Russia, che il disimpegno autentico o paventato degli Usa e il protagonismo dei nemici storici di Mosca hanno aggravato.In effetti, il modo di aggirare i loro diktat, schivare le mine turche e superare le resistenze di Rutte esiste. Lo ha suggerito l’olandese stesso, riconoscendo che Giorgia Meloni è «rispettata negli ambienti governativi» del mondo, «tra i quali è molto importante anche quello di Washington». Ecco: incassare l’investitura di Donald Trump, ancorché interessato alla Nato più in veste di esattore che di attore geopolitico, spalancherebbe quella finestra rimasta finora serrata. L’aria nuova del Sud farebbe bene anche a chi è abituato al Buran della steppa.