- Il generale americano Cristopher Cavoli lancia l’allarme: «Un tempo c’erano dei segnali per non fraintendere le intenzioni di Mosca. Ora questi canali di comunicazione con la Russia sono saltati, è molto pericoloso. E il suo esercito si è rafforzato».
- Dietro il muso duro, la Francia è il Paese europeo che ha più incrementato l’importazione di gnl russo.
Il generale americano Cristopher Cavoli lancia l’allarme: «Un tempo c’erano dei segnali per non fraintendere le intenzioni di Mosca. Ora questi canali di comunicazione con la Russia sono saltati, è molto pericoloso. E il suo esercito si è rafforzato».Dietro il muso duro, la Francia è il Paese europeo che ha più incrementato l’importazione di gnl russo.Lo speciale contiene due articoli.Qualcuno si ostina a evocare scenari di guerra con la Russia. Ma i vertici militari della Nato sono preoccupati. Per due motivi: è alto il rischio di un incidente che trascinerebbe il mondo in un conflitto nucleare; e Mosca sta vendendo carissima la pelle. L’allarme lo ha dato, questa settimana, il generale Cristopher Cavoli, nientemeno che il comandante in capo delle forze Usa e Nato in Europa. Lunedì scorso, intervenendo alla Georgetown University per un convegno sui 75 anni dell’Alleanza, Cavoli è stato chiaro: gli Stati Uniti e la Russia devono riaprire dei canali di comunicazione, così da evitare equivoci capaci di innescare uno scontro atomico.Quando è iniziata l’invasione dell’Ucraina, Washington e Mosca avevano rispolverato la «linea rossa», uno dei simboli della guerra fredda, utilizzata per l’ultima volta da Barack Obama nel 2016, per intimare al Cremlino di non interferire con le elezioni presidenziali. Secondo il generale, però, la qualità dei contatti non è al livello di quella che c’era negli anni della contrapposizione con l’Urss: «Eravamo in grado di leggere gli uni i segnali degli altri. Sapevamo come inviarci segnali reciproci… Quasi tutto questo ormai si è perso». «Eravamo in grado», ha aggiunto Cavoli, di «comunicare verbalmente e non verbalmente le nostre intenzioni, in modo da dare prevedibilità e comprensione all’altra parte. Questo era stato uno degli elementi principali impiegati per gestire l’escalation e ottenere la deterrenza senza rischi significativi». La situazione oggi è aggravata dalla comparsa di un convitato di pietra: Pechino. «Non ci sono più solo due parti principali» chiamate a confrontarsi su potenziali tensioni. «Sullo sfondo, c’è la Cina». L’avvertimento del militare è inquietante: «I miglioramenti nella prontezza di combattimento della Nato», ha osservato, «non hanno trovato riscontro a livello strategico, rispetto alla garanzia che le potenze nucleari non fraintendano le reciproche intenzioni». Mica sono quisquilie. Basti ricordare che, nel 1983, nonostante fosse in piedi quell’apparato di cui ha nostalgia il generale, per via di un’esercitazione dell’Alleanza atlantica, che simulava il passaggio alla massima allerta bellica (Defcon 1) e un fittizio attacco nucleare all’Unione sovietica, si sfiorò l’apocalisse. La crisi rischiò uno sbocco tragico, quando i radar russi segnalarono per errore il lancio di un missile balistico dal territorio americano. Quell’episodio terrorizzò persino Ronald Reagan, altrimenti un falco anticomunista, spingendolo ad avviare negoziati per limitare gli arsenali nucleari.Cavoli parla russo e ha garantito che la Nato - al netto dei proclami muscolari - sta «tentando di ristabilire dei canali» con il Cremlino. Non è facile: a ostacolare l’impresa c’è «la guerra calda» in corso in Ucraina. E intanto, alla faccia delle migliori speranze - o delle peggiori illusioni - coltivate dagli occidentali, il Paese di Vladimir Putin è lungi da un esiziale logoramento. Il generalissimo l’ha riferito mercoledì allo United States House armed services committee, una delle commissioni permanenti della Camera dei rappresentanti americana. «Prima di tutto», ha sottolineato Cavoli, «le forze nucleari della Russia non sono state intaccate dal conflitto e la Russia mantiene il più vasto arsenale al mondo di armi nucleari schierate e non schierate». Inoltre, «continua a modernizzare le proprie forze nucleari e continua a compiere sforzi per sviluppare sistemi di missili balistici intercontinentali con capacità nucleari, vettori ipersonici armati con testate nucleari, missili cruise e droni sottomarini ad alimentazione nucleare, armi anti satellite e armi nucleari orbitali». Come se non bastasse, sono pressoché intatte «le forze strategiche, l’aviazione a lungo raggio, le capacità cyber, spaziali e quelle nello spettro elettromagnetico» della Russia. «L’aeronautica ha perso qualche velivolo», ha rilevato il generale, «ma solo il 10% della flotta. La marina ha patito in modo significativo nel Mar Nero - ma da nessun’altra parte», se si esclude il coup de théâtre dell’altro giorno nel Baltico. Fatto sta che «l’attività navale russa nel mondo è a un picco significativo».Le vere perdite si sono verificate tra le «forze di terra», con «2.000 carri armati» distrutti e «315.000 soldati morti o feriti». Tuttavia, Mosca «sta ricostituendo quella forza molto più velocemente di quanto suggerissero le nostre stime iniziali». E il suo esercito si è allargato del 15%. La nazione ha aumentato la produzione di razzi di precisione a lungo raggio e «ha iniziato a comprare missili balistici, missili cruise e droni a lunga gittata da Paesi terzi che, all’inizio, erano rimasti fuori da questa battaglia». Un altro aspetto sul quale dovremmo riflettere: per mesi, ci siamo raccontati la frottola dello zar isolato, a corto di rifornimenti e mercati di sbocco.Ecco il punto: «La Russia continua a mostrare un’economia resiliente e un’abilità di resistere alle sanzioni e ai controlli sulle esportazioni». A differenza di quanto aveva previsto il Fondo monetario, che per il 2023 intravedeva un crollo del 2,1%, il Pil è invece aumentato del 3%. Quest’anno dovrebbe crescere di un ulteriore 2,4. L’abilità nell’aggirare le sanzioni ha permesso a Mosca di «acquisire componenti chiave» e, quindi, di «investire in sistemi d’arma di fascia alta e raffinati, per colmare i vantaggi strategici degli Usa».Altro che Russia in ginocchio. Affidarci a rappresentazioni caricaturali della situazione dello zar ci ha portato dove siamo oggi: con Crimea e Donbass occupati, migliaia di ucraini massacrati, la coscrizione feroce decisa da Volodymyr Zelensky, una resistenza senza munizioni, linee di difesa fragili e terribili azzardi, tipo quelli di Emmanuel Macron in versione baby Napoleone.È lecito auspicare possibile una trattativa seria, anziché una conferenza di pace in Svizzera, da cui sarebbe assente chi sta avendo la meglio sul campo. Ma voi cosa fareste, se foste Putin? Cerchereste un compromesso, adesso che state vincendo la guerra? <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-nato-rischiamo-lincidente-nucleare-2667759448.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-francia-rompe-con-il-cremlino-mentre-fa-incetta-del-gas-di-putin" data-post-id="2667759448" data-published-at="1712995505" data-use-pagination="False"> La Francia rompe con il Cremlino mentre fa incetta del gas di Putin La Francia «non ha più interesse a discutere con la Russia» come dichiarato dal capo della diplomazia francese, Stèphane Sèjournè, e Mosca decide di convocare l’ambasciatore francese. «L’ambasciatore francese è stato informato del carattere inaccettabile di tali dichiarazioni, che non hanno nulla a che fare con la realtà», ha affermato in un comunicato il ministero degli Esteri russo, denunciando «un’azione consapevole e deliberata di Parigi, volta a minare questa possibilità di ogni dialogo tra i due Paesi». Pare essere l’inizio di uno strappo diplomatico piuttosto grave tra l’Eliseo e il Cremlino. Eppure come riporta Politico, i francesi mentre al mondo mostrano durezza, continuano a fare affari importanti con i russi. La Francia quest’anno ha infatti pagato alla Russia già oltre 600 milioni di euro per il gas naturale liquefatto, dato cresciuto più che in qualsiasi altro Paese dell’Ue rispetto allo scorso anno. Se è vero che non esistono sanzioni sul gnl è anche vero che pare quantomeno poco coerente associare le ultime dichiarazioni allo scambio commerciale tra i due Paesi.Nel frattempo, il presidente russo Vladimir Putin ieri ha incontrato il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko che è intervenuto proprio sull’atteggiamento francese. «I francesi difenderanno l’Ucraina? Sono solo parole. Nessun francese andrà lì e nessuno li difenderà». Putin in questa occasione è tornato anche a parlare del vertice di pace organizzato dalla Svizzera cui Mosca non parteciperà. L’ha definito «un fenomeno da baraccone», aggiungendo: «Non siamo invitati, ma allo stesso tempo dicono che senza di noi è impossibile decidere qualsiasi cosa». Il titolare degli Esteri russo Sergej Lavrov l’ha definito una «strada verso il nulla». Secondo il Cremlino infatti per arrivare ad un accordo di pace bisognerebbe riprendere l’intesa negoziata a Istanbul poco dopo lo scoppio della guerra e farne la base per una futura soluzione del conflitto. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, di contro, ha colto l’occasione del vertice di Vilnius, dove ha firmato un accordo bilaterale per la sicurezza con la Lituania, per invitare il neopresidente ungherese, Tamas Sulyok, a partecipare al tavolo di Ginevra. Zelensky ha anche domandato all’Ungheria di partecipare alla dichiarazione di sostegno all’Ucraina del G7 di Vilnius del luglio scorso e ha suggerito di avviare un accordo bilaterale di sicurezza tra i due Paesi. Ungheria che finora ha sempre rifiutato di partecipare a iniziative che prevedano l’invio di armi all’Ucraina, giustificando la scelta con il rischio di escalation del conflitto nell’area.Escalation che sul campo si sta avvicinando in ogni caso. «Nelle ultime 24 ore, le truppe russe hanno effettuato 279 attacchi contro 8 insediamenti nella regione di Zaporizhzhia», ha detto il capo dell’amministrazione militare regionale Ivan Fedorov. Mentre a Sud, nel distretto di Kryvyi Rih, i frammenti di un drone russo di tipo Shahed abbattuto dalle forze ucraine hanno colpito delle infrastrutture critiche dove poi è scoppiato un incendio. Ieri mattina ben 399 insediamenti sono rimasti senza elettricità in seguito all’ultima serie di raid russi. Rendere l’Ucraina inabitabile è esattamente la strategia adottata dai soldati di Putin che si difende così: «Nel settore energetico, sfortunatamente, abbiamo recentemente osservato una serie di attacchi ai nostri impianti energetici e siamo stati costretti a rispondere».
Bill Gates (Ansa)
Solo pochi fanatici si ostinano a sostenere le strategie che ci hanno impoverito senza risultati sull’ambiente. Però le politiche green restano. E gli 838 milioni versati dall’Italia nel 2023 sono diventati 3,5 miliardi nel 2024.
A segnare il cambiamento di rotta, qualche giorno fa, è stato Bill Gates, niente meno. In vista della Cop30, il grande meeting internazionale sul clima, ha presentato un memorandum che suggerisce - se non un ridimensionamento di tutto il discorso green - almeno un cambio di strategia. «Il cambiamento climatico è un problema serio, ma non segnerà la fine della civiltà», ha detto Gates. «L’innovazione scientifica lo arginerà, ed è giunto il momento di una svolta strategica nella lotta globale al cambiamento climatico: dal limitare l’aumento delle temperature alla lotta alla povertà e alla prevenzione delle malattie». L’uscita ha prodotto una serie di reazioni irritate soprattutto fra i sostenitori dell’Apocalisse verde, però ha anche in qualche modo liberato tutti coloro che mal sopportavano i fanatismi sul riscaldamento globale ma non avevano il fegato di ammetterlo. Uscito allo scoperto Gates, ora tutti possono finalmente ammettere che il modo in cui si è discusso e soprattutto si è agito riguardo alla «crisi climatica» è sbagliato e dannoso.
Elly Schlein (Ansa)
Avete presente Massimo D’Alema quando confessò di voler vedere Silvio Berlusconi chiedere l’elemosina in via del Corso? Non era solo desiderare che fosse ridotto sul lastrico un avversario politico, ma c’era anche l’avversione nei confronti di chi aveva fatto i soldi.
Beh, in un trentennio sono cambia ti i protagonisti, ma la sinistra non è cambiata e continua a odiare la ricchezza che non sia la propria. Così adesso, sepolto il Cavaliere, se la prende con il ceto medio, i nuovi ricchi, a cui sogna di togliere gli sgravi decisi dal governo Meloni. Da anni si parla dell’appiattimento reddituale di quella che un tempo era la classe intermedia, ma è bastato che l’esecutivo parlasse di concedere aiuti a chi guadagna 50.000 euro lordi l’anno perché dal Pd alla Cgil alzassero le barricate. E dire che poche settimane fa la pubblicazione di un’analisi delle denunce dei redditi aveva portato a conclusioni a dir poco sor prendenti. Dei 42,6 milioni di dichiaranti, 31 milioni si fanno carico del 23,13 dell’Irpef, mentre gli altri 11,6 milioni pagano il resto, ovvero il 76,87 per cento.
In sintesi, il 43 per cento degli italiani non paga l’imposta, mentre chi guadagna più di 60.000 euro lordi l’anno paga per due. Di fronte a questi numeri qualsiasi persona di buon senso capirebbe che è necessario alleggerire la pressione fiscale sul ceto medio, evitando di tartassarlo. Qualsiasi, ma non i vertici della sinistra. Pd, Avs e Cgil dunque si agitano compatti contro gli sgravi previsti dal la finanziaria, sostenendo che il taglio dell’Irpef è un regalo ai più ricchi. Premesso che per i redditi alti, cioè quello 0,2 per cento che in Italia dichiara più di 200.000 euro lordi l’anno, non ci sarà alcun vantaggio, gli altri, quelli che non sono in bolletta e guadagnano più di 2.000 euro netti al mese, pare davvero difficile considerarli ricchi. Certo, non so no ridotti alla canna del gas, ma nelle città (e quasi sempre le persone con maggiori entrate vivono nei capoluoghi) si fa fatica ad arrivare a fine mese con uno stipendio che per metà e forse più se ne va per l’affitto. Negli ultimi anni le finanziarie del governo Meloni hanno favorito le fasce di reddito basse e medie. Ora è la volta di chi guadagna un po’di più, ma non molto di più, e che ha visto in questi anni il proprio potere d’acquisto eroso dall’inflazione. Ma a sinistra non se la prendono solo con i redditi oltre i 50.000 euro. Vogliono anche colpire il patrimonio e così rispolverano una tassa che punisca le grandi ricchezze e le proprietà immobiliari. Premesso che le due cose non vanno di pari passo: si può anche possedere un appartamento del valore di un paio di milioni ma, avendolo ereditato dai geni tori, non avere i soldi per ristrutturarlo e dunque nemmeno per pagare ogni anno una tassa.
Dunque, possedere un alloggio in centro, dove si vive, non sempre è indice di patrimonio da ricchi. E poi chi ha una seconda casa paga già u n’imposta sul valore immobiliare detenuto ed è l’I mu, che nel 2024 ha consentito allo Stato di incassare l’astronomica cifra di 17 miliardi di euro, il livello più alto raggiunto negli ultimi cinque anni. Milionari e miliardari, quelli veri e non immaginati dai compagni, certo non hanno il problema di pagare una tassa sui palazzi che possiedono, ma non hanno neppure alcuna difficoltà a ingaggiare i migliori fiscali sti per sottrarsi alle pretese del fisco e, nel caso in cui neppure i professionisti sia no in grado di metterli al riparo dall’Agenzia delle entrate, possono sempre traslocare, spostando i propri soldi altrove. Come è noto, la finanza non ha confini e l’apertura dei mercati consente di portare le proprie attività dove è più conveniente. Quando proprio il Pd, all’e poca guidato da Matteo Renzi, decise di introdurre una flat tax per i Paperoni stranieri, migliaia di nababbi presero la residenza da noi. E se domani l’imposta venisse abolita probabilmente andrebbero altrove, seguiti quasi certamente dai ricconi italiani. Del resto, la Svizzera è vicina e, come insegna Carlo De Benedetti, è sempre pronta ad accogliere chi emigra con le tasche piene di soldi. Inoltre uno studio ha recentemente documentato che l’introduzione negli Usa di una patrimoniale per ogni dollaro incassato farebbe calare il Pil di 1 euro e 20 centesimi, con una perdita secca del 20 per cento. Risultato, la nuova lotta di classe di Elly Schlein e compagni rischia di colpire solo il ceto medio, cancellando gli sgravi fiscali e inasprendo le imposte patrimoniali. Quando Mario Monti, con al fianco la professoressa dalla lacrima facile, fece i compiti a casa per conto di Sarkozy e Merkel , l’Italia entrò in de pressione, ma oggi una patrimoniale potrebbe essere il colpo di grazia.
Continua a leggereRiduci
Il toro iconico di Wall Street a New York (iStock)
Democratici spaccati sul via libera alla ripresa delle attività Usa. E i mercati ringraziano. In evidenza Piazza Affari: + 2,28%.
Il più lungo shutdown della storia americana - oltre 40 giorni - si sta avviando a conclusione. O almeno così sembra. Domenica sera, il Senato statunitense ha approvato, con 60 voti a favore e 40 contrari, una mozione procedurale volta a spianare la strada a un accordo di compromesso che, se confermato, dovrebbe prorogare il finanziamento delle agenzie governative fino al 30 gennaio. A schierarsi con i repubblicani sono stati sette senatori dem e un indipendente affiliato all’Asinello. In base all’intesa, verranno riattivati vari programmi sociali (tra cui l’assistenza alimentare per le persone a basso reddito), saranno bloccati i licenziamenti del personale federale e saranno garantiti gli arretrati ai dipendenti che erano stati lasciati a casa a causa del congelamento delle agenzie governative. Resta tuttavia sul tavolo il nodo dei sussidi previsti ai sensi dell’Obamacare. L’accordo prevede infatti che se ne discuterà a dicembre, ma non garantisce che la loro estensione sarà approvata: un’estensione che, ricordiamolo, era considerata un punto cruciale per gran parte del Partito democratico.
2025-11-10
Indivia belga, l’insalata ideale nei mesi freddi per integrare acqua e fibre e combattere lo stress
iStock
In autunno e in inverno siamo portati (sbagliando) a bere di meno: questa verdura è ottima per idratarsi. E per chi ha l’intestino un po’ pigro è un toccasana.
Si chiama indivia belga, ma ormai potremmo conferirle la cittadinanza italiana onoraria visto che è una delle insalate immancabili nel banco del fresco del supermercato e presente 365 giorni su 365, essendo una verdura a foglie di stagione tutto l’anno. Il nome non è un non senso: è stata coltivata e commercializzata per la prima volta in Belgio, nel XIX secolo, partendo dalla cicoria di Magdeburgo. Per questo motivo è anche chiamata lattuga belga, radicchio belga oppure cicoria di Bruxelles, essendo Bruxelles in Belgio, oltre che cicoria witloof: witloof in fiammingo significa foglia bianca e tale specificazione fa riferimento al colore estremamente chiaro delle sue foglie, un giallino così delicato da sfociare nel bianco, dovuto a un procedimento che si chiama forzatura. Cos’è questa forzatura?






