
Sergej Lavrov svela l’ipocrisia francese: «Parigi ci ha contattato in privato più volte, senza coinvolgere Zelensky». Crolla il sostegno delle opinioni pubbliche europee all’Ucraina: in Italia solo il 15% per il conflitto a oltranza.Altro che pace decisa dagli ucraini. L’Occidente li arma, li sovvenziona e deciderà anche quando e a quali condizioni dovranno finire le ostilità. Accadrà perché è già accaduto che Kiev finisse, suo malgrado, sul tavolo delle trattative.Ieri, lo ha rivelato Vladimir Putin: Joe Biden, nel 2021, cioè prima che iniziasse l’«operazione speciale», provò a sedurlo garantendogli il rinvio dell’adesione dell’Ucraina alla Nato «di 10-15 anni, perché non era ancora pronta».Anche il suo ministro degli Esteri, Sergej Lavrov, ha svelato qualche altarino. Parlando delle prospettive per un cessate il fuoco - che «a questo punto», ha lamentato, «non porterebbe a nulla, mentre sono necessari degli accordi affidabili» - ha raccontato che la Francia «ha contattato più volte» gli invasori «attraverso canali riservati, offrendo di stabilire un dialogo sull’Ucraina, senza coinvolgere Kiev».Parigi ha reagito con stizza alle «dichiarazioni intempestive» di Lavrov. Ma non ha smentito. Può darsi che Emmanuel Macron, reduce dagli smacchi nel Sahel e debole in patria, avesse sperato di anticipare Donald Trump in qualità di demiurgo del futuro ordine nell’Est Europa. Usando bastone e carota: pubblicamente, la minaccia di spedire truppe al fronte; in segreto, la profferta di una mediazione. «I nostri colleghi francesi», ha commentato il ministro di Mosca, «si sforzano di adottare una posizione proattiva su varie questioni, cosa che accogliamo con favore. Tuttavia, non sono sicuro dei risultati di tali iniziative o se questo intento sia genuino. Ad esempio», ha spiegato appunto Lavrov, «le nostre controparti francesi ci hanno contattato più volte tramite canali privati, proponendo di assistere e facilitare il dialogo sulla questione ucraina. È interessante notare», ha poi affondato, «che queste proposte spesso hanno escluso l’Ucraina stessa, apparentemente contraddicendo il principio spesso ripetuto dall’Occidente, secondo cui “nulla sull’Ucraina dovrebbe essere deciso senza l’Ucraina”». Gli uomini di mondo non si meravigliano. La doppiezza è il registro abituale della diplomazia. Meglio un velo di insincerità, comunque, dei giochi pericolosi dell’amministrazione americana: pur di intralciare i piani del presidente eletto, Biden ha fatto cadere il divieto di colpire la Federazione con i missili a lungo raggio; in reazione al raid russo di Natale, che ha definito «oltraggioso», ha esortato il Pentagono a intensificare le consegne di armamenti alla resistenza; e risulta difficile credere che fosse all’oscuro della trama per assassinare, a Mosca, il generale Igor Kirillov. Uno smacco che a Putin ha bruciato più dei lanci di Atacms. A proposito: giusto ieri, gli aggressori hanno dichiarato di aver abbattuto un F-16 di fabbricazione Usa nella regione occupata di Zaporizhzhia. Lavrov è tornato a esplorare la pista dei negoziati. È importante, ha sottolineato, che Trump «comprenda le ragioni che hanno portato alla guerra in Ucraina». Ha pure confermato che la squadra del tycoon sta inviando dei segnali. Su un aspetto, tuttavia, i russi si mostrano irremovibili: dovranno essere gli Stati Uniti a fare il primo passo, anche se Mosca non pone «precondizioni» per le trattative. Semmai, chiede «che venga messo in pratica ciò che è stato concordato in precedenza», tipo sull’espansione a Est della Nato.Putin ha però tirato fuori un coniglio dal cilindro, indicando un interlocutore diverso dal prossimo inquilino della Casa Bianca: il premier slovacco, Robert Fico, che ha appena ricevuto al Cremlino e che sarebbe pronto a ospitare i colloqui di pace. Con Trump, al momento, sembra esserci disaccordo su un dettaglio: lo zar, almeno a parole, non vuole soltanto congelare la guerra; vuole chiuderla. L’autocrate del Cremlino si sta rigiocando il jolly del gas: può passare attraverso l’Ucraina, ha precisato, purché senza diktat da Volodymyr Zelensky. Secondo lui, fermando i flussi dal 31 dicembre, gli ucraini stanno «punendo l’Europa». Alla quale è chiarissimo che il vento è cambiato. La sensibilità dell’opinione pubblica l’ha fotografata ancora una volta, ieri, un sondaggio di YouGov: negli ultimi 12 mesi, la disponibilità ad aiutare Kiev fino alla vittoria è crollata nel Vecchio continente, segnatamente in Italia, Francia, Germania, Spagna, Regno Unito, un po’ meno in Svezia e Danimarca. Contemporaneamente, è aumentato il favore per le ipotesi di una risoluzione diversa da quella che prevede lo scontro armato.A gennaio scorso, in Inghilterra, il 50% della popolazione era pronta a sostenere la causa di Zelensky a oltranza; ora, la percentuale si è ridotta al 36. Il tracollo più clamoroso è quello che si registra nel Belpaese: mentre Sergio Mattarella parla di supportare la resistenza finché sarà necessario, gli italiani che concordano con lui sono passati dal 55% al 15% attuale. Sarebbe il caso di trarne le conseguenze. Perché nella Realpolitik globale, il rinnegamento dei valori è pane quotidiano. Ma la democrazia no. Quella non può ridursi a una fregnaccia.
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Parla Gaetano Trivelli, uno dei leader del team Recap, il gruppo che dà la caccia ai trafficanti che cercano di fuggire dalla legge.
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Su un testo riservato appare il nome del partito creato da Grillo. Dietro a questi finanziamenti una vera internazionale di sinistra.
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Nel 1937 l’archeologo francese Fernand Benoit fece una scoperta clamorosa. Durante gli scavi archeologici nei pressi dell’acquedotto romano di Arles, la sua città, riportò alla luce un sito straordinario. Lungo un crinale ripido e roccioso, scoprì quello che probabilmente è stato il primo impianto industriale della storia, un complesso che anticipò di oltre un millennio la prima rivoluzione industriale, quella della forza idraulica.
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Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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