La svalutazione riguarda sia le divise forti, sia quelle dei Paesi in via di sviluppo. Il fenomeno sostiene le esportazioni, ma rende più caro l’import (soprattutto di energia) e spinge ancor più in alto l’inflazione.
La svalutazione riguarda sia le divise forti, sia quelle dei Paesi in via di sviluppo. Il fenomeno sostiene le esportazioni, ma rende più caro l’import (soprattutto di energia) e spinge ancor più in alto l’inflazione.L’inflazione nell’area euro ha toccato l’8,9% a luglio nei 19 Stati membri. In Italia si è attestata al 7,9%, ma con punte del 9,1% (livello raggiunto prima solo nel settembre 1984) per i beni alimentari. La situazione è accompagnata da un euro debole contro dollaro, sceso sino a 0,9955 il 14 luglio, livelli che non si toccavano dal novembre 2002. Molti potranno considerare che un euro debole può essere un’occasione per gli esportatori che possono usufruire di un aumento della domanda per i loro beni che diventano relativamente più economici, ma è un gatto che si morde la coda: rende anche più costose le importazioni (soprattutto di energia), aumentando le pressioni inflazionistiche, e diminuisce il potere di acquisto degli europei. Da inizio anno l’euro ha perso il 14,5% rispetto al dollaro Usa (-23% dal gennaio 2021) ma anche il 14% contro il rand sudafricano, oltre l’11% contro il dollaro australiano, quello canadese e contro lo yen e l’8% nei confronti di franco svizzero e yuan cinese. Un’altra moneta debole del mercato Forex è la sterlina, scesa sotto quota 1,18 contro il dollaro, ma che da inizio anno riesce a rosicchiare il 4% contro la moneta unica. E se verso il rublo, la valuta più forte del mercato, l’euro ha perso addirittura più del 60% in pochi mesi «grazie» al varo delle sanzioni a Mosca rivelatosi un imbarazzante harakiri, scoprire che anche il birr etiope si è rafforzato contro l’euro di oltre il 10% fa riflettere. Ben 14 piccole economie dell’area euro hanno registrato un’inflazione superiore alla media, fino al 22% dell’Estonia (solo cinque economie dell’area dell’euro sono al di sotto della media), con prospettive di crescita in peggioramento per tutto il Vecchio continente. Il che espone la moneta unica a pressioni crescenti che potrebbero portare anche a decisioni quali la limitazione dei movimenti di capitali fuori dall’Europa o il passaggio a un default programmato o a scadenze «perpetue» sulle obbligazioni in circolazione. Ipotesi che la Spagna ha già ventilato oltre un anno fa in sede europea. Sfortunatamente, la Bce ha adottato misure di stimolo per quasi un decennio e ora tenta di incolpare la pandemia o la guerra per il risultato fallimentare ottenuto. Il piano elaborato da Francoforte prevede la conclusione del programma di acquisto di asset e - dopo il rialzo del tasso di interesse di mezzo punto percentuale effettuato a luglio - un ulteriore aumento dei tassi a settembre, ottobre e dicembre. Ma con l’inflazione che si avvicina pericolosamente alla doppia cifra, l’aumento del costo del denaro avrà ripercussioni dirette sulla vita di cittadini e imprese. Innanzitutto, prestiti e mutui saranno più cari: l’aumento dei tassi della Banca centrale influenza il livello generale dei tassi d’interesse e il livello generale del costo del denaro. Il parametro di riferimento per i mutui a tasso variabile è l’Euribor. Ricordiamo che nel 2013 la Commissione europea ha multato per 1,7 miliardi sei banche accusate di aver creato un cartello per manipolare sia l’Euribor sia il Libor fra il 2005 e il 2008: manipolazione che aveva portato i clienti, anche quelli delle banche non coinvolte in modo diretto, a pagare interessi più alti su mutui, derivati e altri prodotti finanziari. È opportuno ricordare che la Bce opera in territorio di tassi di interesse negativi dal 2014, all’epoca della presidenza di Mario Draghi, senza essere riuscita in otto anni ad affrontare la vasta crisi del debito europeo. La politica di tassi di interesse perpetui da bassi a negativi è una vecchia teoria basata sul presupposto che se rendi economico prendere in prestito i capitali, le persone correranno a indebitarsi per acquistare di tutto. La pratica ha invece dimostrato che con economie in rallentamento non ti indebiti, neanche a tasso zero. Nonostante il fallimento di questa politica, la Banca centrale europea ora guidata da Christine Lagarde ha continuato ad acquistare la maggior parte del debito sovrano europeo e oggi è il più grande creditore individuale dei Paesi dell’euro, debitori scarsamente solvibili.
Elly Schlein (Ansa)
Nicola Fratoianni lo chiama per nome, Elly Schlein vi vede una «speranza», Stefano Patuanelli rilancia la patrimoniale.
Brutte notizie per Gaetano Manfredi, Silvia Salis, Ernesto Maria Ruffini e tutti gli altri aspiranti (o presunti tali) federatori del centrosinistra: il campo largo italiano ha trovato il suo nuovo leader. Si chiama Zohran Mamdani, ha 34 anni, è il nuovo sindaco di New York, che del resto si trova sullo stesso parallelo di Napoli. La sua vittoria ha mandato in solluchero i leader (o sedicenti tali) della sinistra italiana, che vedono nel successo di Mamdani, non si riesce bene a capire per quale motivo, «una scintilla di speranza» (Alessandro Alfieri, senatore Pd). Ora, possiamo capire che l’odio (si può dire odio?) della sinistra italiana per Donald Trump giustifichi il piacere di vedere sconfitto il tycoon, ma a leggere le dichiarazioni di ieri sembra che il giovane neo sindaco di New York le elezioni le abbia vinte in Italia.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 6 novembre con Carlo Cambi
Zohran Mamdani (Ansa)
Il pro Pal Mamdani vuole alzare le tasse per congelare sfratti e affitti, rendere gratuiti i mezzi pubblici, gestire i prezzi degli alimentari. Per i nostri capetti progressisti a caccia di un vero leader è un modello.
La sinistra ha un nuovo leader. Si chiama Zohran Mamdani e, anche se non parla una sola parola d’italiano, i compagni lo considerano il nuovo faro del progressismo nazionale. Prima di lui a dire il vero ci sono stati Bill Clinton, Tony Blair, José Luis Rodriguez Zapatero, Luis Inàcio Lula da Silva, Barack Obama e perfino Emmanuel Macron, ovvero la crème della sinistra globale, tutti presi a modello per risollevare le sorti del Pd e dei suoi alleati con prime, seconde e anche terze vie. Adesso, passati di moda i predecessori dell’internazionale socialista, è il turno del trentaquattrenne Mamdani.
Antonio Forlini, presidente di UnaItalia, spiega il successo delle carni bianche, le più consumate nel nostro Paese






