2018-11-01
La moka Bialetti schiacciata dall’usa e getta
True
Il marchio storico del made in Italy rischia di chiudere a causa del boom del caffè in capsule. Ne usiamo 7 miliardi l'anno, scaricate nell'ambiente.La Ue vieta le tazzine di plastica, ma sui filtri che alimentano il business di una multinazionale non dice nulla.Le auto diesel messe al bando, ma c'è il non trascurabile problema di non sapere come fare a smaltire le batterie.Lo speciale contiene tre articoli.Ero di corvée e ho dovuto ripassare con mia figlia - prima media di una statale niente male - i compiti di tecnologia. Tema: i rifiuti. Leggendo il libro mi sono accorto che ai ragazzini spieghiamo la raccolta differenziata, il riciclo, l'energia pulita. È una sorta di peana dell'ecologically correct, un inno ai buoni sentimenti di chi non sporca, smaltisce bene e un po' di terrorismo psicologico sulle sciagure bibliche che attendono il pianeta se tu cittadino metti la plastica nell'umido. Della serie: paga la Tari che è giusto, fai risparmiare il Comune che poi a sprecare ci pensa lui. Non una parola sul modello di sviluppo consumistico, sull'attentato dell'usa e getta. Perché è la modernità che piace alla gauche caviar; ha consentito agli ecologisti di professione alla Al Gore, alla Clinton, alla Chicco Testa (si parva licet) di farsi belli e ricchi e di sentirsi pure onesti e non si può mettere in discussione. Sono gli animatori di quel milieu, come George Soros, che tifa e sostiene l'immigrazione - o meglio la deportazione - poi però investono nelle miniere di Coltan in Africa dove gli indigeni lavorano come schiavi e che serve ad alimentare le batterie degli smartphone, ma anche della Tesla di Elon Musk salutato come il messia del modo pulito e poi sgamato a truccare le carte. La Tesla è la macchina elettrica del futuro, la supercar supposta pulita (tranne che nei conti) in forza della quale i diesel dovrebbero essere messi al rogo. Peccato che si sia scoperto che alla fine la trazione elettrica inquina di più di quella fossile e che ci sia quel piccolo problemino che non si sa come smaltire i pannelli fotovoltaici. Ma ormai abbiamo costruito un mondo dove non contano i dati di fatto, ma solo le apparenze e le appartenenze. Ho spiegato a Carlotta come stanno le cose e mi ha sorpreso quando mi ha detto: «È per questo che tu insisti a fare il caffè con la moka?». Sì, Totta: è anche per questo. Così mi sono inventato il paradosso dell'Omino coi Baffi. Leggo che la Bialetti - uno dei marchi storici del made in Italy e che a suo modo firmò un'evoluzione tecnologica buona con la mutazione della caffettiera alla napoletana - ha i bilanci in profondissimo rosso. I certificatori non li hanno firmati, i debiti ammontano a 68 milioni e i ricavi del primo semestre sono scesi di un altro 12% poco sopra i 67 milioni. Di questo passo, dopo 85 anni la gloriosa azienda di Alfonso Bialetti - un emigrato italiano in Svizzera che lavorava in una fabbrica di alluminio e osservando la lavatrice della moglie ebbe l'intuizione della moka- rischia di chiudere. Ma a condannarla non è la mala gestio; no, a condannarla è la schizofrenia dei nostri giorni. Sono state le cialde e le capsule a spazzarla via. In Italia il mercato del cosiddetto caffè porzionato è in incremento del 5% all'anno da dieci anni: nel 2017 abbiamo consumato 6,1 miliardi di queste confezioni di caffè con un fatturato pari a1,5 miliardi. Se ci aggiungiamo anche quelli dei distributori automatici ce ne sono altri 2,7 miliardi. Immettiamo nell'ambiente almeno 7 miliardi di capsule all'anno! E non conviene neppure. Un caffè fatto con la moka costa 12 centesimi, uno con la cialda che è biodegradabile ne costa 18, uno in capsula ne costa 41. A preferire le capsule sono i più giovani. Cioè quelli che come mia figlia stiamo educando al riciclo, al pianeta in emergenza se non lo rispettiamo. Ma le capsule del caffè non sono riciclabili. Quelle di plastica alimentano le cosiddette microplastiche, quelle in alluminio non sono recuperabili perché piene di caffè che se invece si fa con la moka diventa un ottimo fertilizzante.Questo è il paradosso dell'Omino coi Baffi, era il cartone testimonial della Bialetti nonché logo dell'azienda che ripeteva: sembra facile un buon caffè. Un'azienda che produce consumi a bassissimo impatto - perché bisogna considerare anche che l'allumino delle caffettiere è tutto riciclato - viene espulsa dal mercato da chi in nome della modernità scarica sul pianeta i suoi profitti, nel momento in cui tutti strillano al disastro prossimo venturo. Senza considerare che per produrre una capsula serve tanta energia e anche per farsi il caffè. Mentre con la moka basta un filo di metano. Ma nei libri di scuola non c'è scritto che la cultura dell'usa e getta è il primo nemico dell'ambiente. E non lo hanno scritto neppure nel rapporto sul clima pubblicato in questi giorni dove - i professionisti dell'ecologia - ci hanno spiegato che abbiamo perso circa il 60% della biodiversità, che i mari da qui al 2050 si alzeranno di 80 centimetri e c'è quasi 1 miliardo di persone a rischio inondazione, che il buco nell'ozono si fa sempre più grande e via con gli allarmi più catastrofici. Magari è pure tutto vero, perché i disastri di queste ultime ore ci fanno paura. E però di rasarsi dal barbiere nessuno ne ha voglia, di aspettare il tempo necessario per farsi un buon caffè nessuno ne ha più desiderio e anzi sei fuori moda se usi la moka, lavare piatti e bicchieri a mano sembra roba da trogloditi e la frenesia dei nostri giorni ci consegna alla partica del consumo senza freni.È uno dei tanti paradossi della surmodernità, ma anche un modo per fregarci. Perché mentre fanno affari vendendoci l'usa e getta e convincendoci che così è cool, poi ci caricano di tasse per ripristinare l'ambiente e fanno altri affari per pulire a spese nostre dove hanno sporcato, com'è accaduto con le buste della verdura al supermercato. L'esempio lo dà l'Europa che mette al bando piatti, bicchieri e cannucce di plastica, ma ben si guarda dal toccare la filosofia dell'usa e getta perché vorrebbe dire ridare dignità agli artigiani, cambiare i modelli di sviluppo, magari rivedere anche le stime del Pil e scoprire che un paese come l'Italia è più competitivo della Cina. A Carlotta ho provato a spiegarlo e mi ha risposto: «Ora controllo se a mensa ci danno ancora i piatti di plastica o hanno avvolto la verdura nel cellophane, poi lo dico alla prof». Brava: così si fa. Anche se sul libro non c'è scritto. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-moka-bialetti-schiacciata-dallusa-e-getta-2616899111.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="oh-no-sulla-capsula-non-si-puo" data-post-id="2616899111" data-published-at="1757846154" data-use-pagination="False"> Oh no, sulla capsula non si può L'Unione Europea ha deciso di dire basta alla plastica. Per la verità non a tutta. Dal 2021 saranno messi al bando piattini, posate, tazzine, cannucce di plastica e stop dunque a monouso. Ma c'è plastica e plastica e c'è usa e getta e usa e getta. Perché la dove sono in gioco i destini di alcune multinazionali, ad esempio quelle che producono i rasoi, gli spazzolini, i flaconcini monouso, no su quelle proprio non si può. Perché sono in gioco numeri giganteschi. Tanto per avere un'idea mentre le organizzazioni pagate dai contribuenti di tutto il mondo, quelle che fanno capo all'Onu, continuano a gridare che siamo prossimi alla fine del mondo (l'ultimo apporto sul clima e l'ambiente è terrificante nelle sue conclusioni) nel mondo la produzione di plastica è in costante aumento. Tutti ormai sappiamo del grande "continente" che galleggia tar California e Hawaii e che contiene 80.000 tonnellate di plastica, tutti sappiamo che in giro per gli oceani di questi atolli di polietilene ce ne sono altri cinque giganteschi, e tutti sappiamo che le microplastiche stanno inquinando la dieta dei pesci e che attraverso la catena alimentare arrivano anche nel nostro corpo. In Mediterraneo di isole di plastica non ce ne sono, ma stando agli esperti anche il mare nostrum non se la passa bene. Dunque ce ne sarebbe d'avanzo per dire stop. E invece l'Unione europea se la prende comoda e solo con i piattini e cotton fioc, perché il resto è in mano a chi conta davvero. Volete sapere quanto? Presto detto. In Europa si producono circa 60 milioni di tonnellate di plastica e nell'Europa a 28 questa produzione vale all'incirca 350 miliardi di euro, dà lavoro a un milione e mezzo di addetti impiegati in 60.000 aziende. Pensate che si possa fermare questo motore? No, ma soprattutto non si può pensare di fermare la produzione asiatica che peraltro sforna le plastiche più inquinanti. I paesi del levante sono i leader nelle termoplastiche e nei poliuretani: metà della produzione mondiale è roba loro (280 milioni di tonnellate) con la Cina che ne sforna quasi un terzo e l'Europa solo il 19%. Ma di questi dati nessuno parla. Nessuno che si preoccupi di sapere se il mercato dell'usa e getta è in espansione o no e se non debba essere cambiato il modello di sviluppo. Una cosa è sicura, l'Europa sempre così pronta a bacchettare l'Italia è indietro ani luce ostaggio com'è delle multinazionali. Basti dire che l'Europa ricicla solo il 31% della plastica, mentre l'Italia ha volumi assai più virtuosi. Eppure tutto questo non basta a fermare gli appetiti di chi continua a speculare sula plastica. Un caso emblematico è quello delle capsule del caffè. Sono non riciclabili, sono uno dei materiali più difficilmente smaltibili. Ebbene in Italia ne consumiamo 7 miliardi all'anno. E c'è una multinazionale la Nestlè (fattura 700 miliardi di dollari 'anno) che ha fato della capsula di caffè uno su must. Il marchio lo conoscono tutti (soprattutto le signore visto che il testimonial si chiama George Clooney), e quel marchio realizza il 94% del suo fatturato in Italia. Anni fa la Nestlè si lanciò in una guerra legale contro i nostri torrefattori che avevano prodotto capsule compatibili con la macchina della Nestlè. La causa l'ha persa, ma della compatibilità delle capsule non si è più occupato nessuno. Eppure è un tema centrale. Tanto centrale che ad esempio la Lavazza - ma non solo il gruppo torinese per la verità - sta studiando come realizzare capsule per il caffè biodegradabili, al pari della cialde. E questo ci porta a considerare come sta messa l'Italia con i rifiuti usa e getta. Nonostante le immagini di qualche anno fa di Napoli sommersa dai rifiuti e le desolanti inquadrature di Roma dove l'immondizia straborda dai cassonetti, l'Italia è il più virtuoso tra i paesi europei. In Italia produciamo in media 487 chili di rifiuti a testa all'anno. Di questi 140 sono dovuti a merce usa e getta e a vedere i dati si capisce che tanto più alto è il tenore di vita e tanto più ridotti sono i nuclei familiari e tanto maggiore è la produzione di rifiuti. Così in testa alla classifica dei produttori di rifiuti troviamo l'Emilia Romagna con 642 kg di rifiuti, la Toscana 608 kg, la Liguria 555,3 Kg. Nei 16 comuni che hanno più di 200.000 abitanti si arriva ad una media di 544 chili per abitante. Comunque sempre meno di quanto produce l'Europa che sta sopra abbondantemente alla mezza tonnellata per abitante considerando però che gli ultimi paesi entrati nell'unione non arrivano a 350 chili. Vuol dire che i soliti alfieri del rigore quando si tratta di stare dentro i parametri scomodi fanno come più piace a loro, Germania in testa. Perché l'Italia è il primo paese nel riciclo dei rifiuti. Recuperiamo oltre il 76,9% di quanto produciamo e siamo anche i più virtuosi nel riciclo dei rifiuti speciali ne ricicliamo oltre il 70 % e primi anche nel riutilizzo degli scarti di lavorazioni (vicini a quota 79%). Ma c'è un però tutto questo gran riciclare si scontra poi con la destinazione delle materie prime seconde ricavate. Perché la cultura dell'usa e getta sulla quale campano i signori della plastica e non solo (vedi caffè in capsule) fa premio sule virtù di chi non vuole il gran rifiuto. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-moka-bialetti-schiacciata-dallusa-e-getta-2616899111.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="diesel-al-bando-ma-lauto-elettrica-inquina-di-piu" data-post-id="2616899111" data-published-at="1757846154" data-use-pagination="False"> Diesel al bando, ma l’auto elettrica inquina di più Sono i paradossi del verde. Sergio Marchionne lo aveva detto: «A conti fatti vedrete he le auto elettriche inquinano di più di quelle tradizionali». Ma la moda green non conosce ostacoli. A Milano stano vietando i diesel Euro 4 e alla fine il diesel sarà messo in soffitta. È una preoccupazione solo ecologica? Il dubbio viene. Ci sono i colossi dell'auto che hanno capito che la spinta propulsiva del mercato si sta esaurendo. Le prestazioni, i bassi consumi, l'interconnessione: tutto è ormai dato per "scontato". Bisogna rilanciare l'auto che rischia di essere considerata un prodotto maturo e inventarsi qualcosa di nuovo. Le auto a idrogeno, come quelle ad acqua sono di là da venire anche se per la verità il vapore esisteva prima del motore a scoppio come forza motrice e hai visto mai che tornando indietro non si vada un po' più avanti? Del resto si sta pensando di utilizzare di nuovo la vela per i collegamenti marittimi, certo non saranno i clipper della Compagna delle Indie, ma si è scoperto che sfruttando la forza del vento con delle maxiturbine si possono far correre sulle onde le petroliere! Ma per quanto riguarda le auto pare che la ricerca sia al palo. Bisogna inventare qualcosa di spendibile come nuovo, anche se per esempio qualcuno si ricorderà che alla Fiat i primi contributi per sviluppare le auto elettriche furono dati già ai tempi dell'acquisizione dell'Alfa Romeo e correvano i primi ani 90 . Ed ecco che l'elettrico ad ogni costo sembra il nuovo eldorado. Eppure sono moltissimi gli esperti che sostengono che facendo un bilancio globale le vetture alimentate a volt sono più inquinanti di quelle tradizionali. A dirlo sono proprio i sostenitori del verde ad ogni costo. Anni fa Greenpeace sosteneva che una vecchia Golf nel ciclo di vita inquinava meno di un'auto elettrica. Un recente studio del Journal of industrial ecology ha dimostrato che solo in una decina di paesi al mondo l'auto elettrica dà un vero vantaggio verde. Perché? Perché molto dipende da come è prodotta l'energia elettrica che le alimenta. In Italia a conti fatti tra un'auto elettrica e un diesel di ultima generazione come emissioni di CO2 globali il conto è pari. L'auto elettrica ha solo un vantaggio: sposta la concentrazione di smog fuori dalle città. Ma ha però un grande svantaggio: lo smaltimento delle batterie che sono infinitamente più inquinanti dei vecchi motori. Proprio dallo studio del Juornal of industrial ecology si ricava che considerando tutta la CO2 emessa nella produzione di un'auto e nella sua "vita" in Italia il valore delle emissioni di un'auto elettrica è 170 g/km di CO2, in Germania si arriva a 179, la Gran Bretagna a 189 e gli Stati Uniti arrivano a 202 g/km considerando che in America si usa ancora molto carbone per produrre energia elettrica. Ma la conclusione dello studio è drastica: tutti i livelli delle elettriche attualmente son molto più alti delle emissioni di diesel e benzina, le cose possono cambiare solo quando si avrà una totale produzione di energia da fonti rinnovabili. Ma intanto in Borsa le azioni di chi punta all'elettrico volano. Che il green sia una moda - un po' come quella di chi compre al supermercato il biologico e se o porta a casa in confezioni di plastica - molto redditizia per i professionisti dell'antinquinamento lo dimostra anche l'attacco frontale che è stato fatto agli allevamenti di bestiame e dunque al consumo di carne. Come al solito per vincere queste battaglie che spesso hanno solo fini speculativi vengono tirati in allo i valori etici. Ebbene è dimostrato che l'incidenza degli allevamenti sul effetto serra è una leggenda metropolitana. Se si prende in considerazione l'Italia l'allevamento di tutti gli animali corrisponde a meno del 10% delle emissioni di Co2 ed è in costante diminuzione visto che noi alleviamo 5 milioni di capi contro i 10 milioni di venti anni fa. Non solo una zootecnia responsabile ha un impatto sull'ambiente infinitamente più basso di un'agricoltura senza animali che utilizza fertilizzanti chimici. Eppure l'Oms continua a dire che il74% dei gas serra sono colpa della vacche e dei maiali. Certo se uno deve vendere la soia transgenica da qualche parte per convincere l'umanità deve pure partire!