2019-10-13
La Merkel tenta di salvare la faccia ma la bomba turca l’ha innescata lei
La Germania blocca la vendita di armi a Erdogan in risposta all'invasione della Siria. Un'azione tardiva per far dimenticare la verità: sono stati i tedeschi a imporci di stendere il tappeto rosso davanti al satrapo. Il conflitto rimette in gioco i jihadisti. A fianco di Ankara schierate milizie islamiste. Un'autobomba esplode vicino al carcere che ospita 2.000 terroristi. Roma e Parigi muovono fregate a protezione dei pozzi. Lo speciale comprende due articoli. Resta incerta, sfibrata, disorganica la reazione europea all'invasione turca del Nord della Siria. Pesa la ben nota cattiva coscienza di un'Ue che non ha fatto praticamente nulla per risolvere il pantano siriano; pesa la responsabilità storica di aver sempre mortificato l'aspirazione curda ad un proprio stato; e pesa l'attitudine ipocrita a prendersela solo con Donald Trump. Le cui mosse - va detto - sono state certamente discutibili, in questo caso, per quanto corrispondenti agli impegni che aveva assunto in campagna elettorale (porre progressivamente termine alle presenze militari Usa nelle «guerre senza fine»): ma non si vede che titoli abbia per contestargliele un'Ue che si è largamente disinteressata alla vicenda, e che - più in generale - è del tutto impreparata a gestire qualunque crisi, in assenza di un decisivo coinvolgimento americano. Parlano i numeri. In una coalizione anti Isis che teoricamente coinvolgerebbe 77 paesi, su 22.000 bombardamenti aerei, ben 17.500 sono stati condotti dalle sole forze aeree Usa. Ma ora occorre fare i conti con la realtà: Trump -piaccia o no - è stanco dell'idea che gli Usa debbano agire da poliziotto del mondo. E si badi bene: cose analoghe vengono sostenute da molti dei suoi oppositori democratici, Bernie Sanders in testa. Perfino Barack Obama, il cui arretramento generale in politica estera generò un vuoto dal quale nacque la gran parte delle situazioni di caos tuttora aperte in diversi angoli del pianeta, manifestò nel 2016 irritazione verso quelli che chiamò testualmente i free riders europei, cioè gli scrocconi, quelli che usufruivano della protezione Nato senza pagare abbastanza. Un feroce ma lucidissimo commento di Fraser Nelson sul londinese Telegraph ha messo in fila le figuracce recenti degli apparati militari europei: due mesi fa, 53 elicotteri d'attacco tedeschi sono stati dichiarati non idonei all'azione, e in Francia solo 160 dei 460 elicotteri militari sono effettivamente utilizzabili. Ma - dentro questa generale fragilità europea - c'è qualcuno che è ancora più responsabile degli altri: è la Germania di Angela Merkel, madrina dei cedimenti passati e presenti verso la Turchia di Recep Erdogan. Fu la Germania, in occasione della maxi crisi siriana del 2015, a proclamare l'apertura delle frontiere senza limiti, con la Cancelliera desiderosa - allora - di presentarsi come una versione teutonica della Statua della libertà, salvo poi essere costretta a fare precipitosamente retromarcia. Fu la Germania a imporre nel 2016 il mega accordo europeo (ben 6 miliardi per Ankara) che avrebbe dovuto - secondo le illusioni di Berlino e Bruxelles - risolvere la questione dei profughi, e invece consegnò definitivamente a Erdogan l'arma del ricatto. Fu la Germania - con tanto di autorizzazione della Merkel - a consentire un processo contro il popolarissimo comico tedesco Jan Boehmermann, colpevole di aver ironizzato in tv su Erdogan. Ed è stata ancora la Germania (stiamo parlando di pochi giorni fa) a inviare in Turchia il suo ministro degli Interni Horst Seehofer, insieme con il commissario Ue all'immigrazione, il greco Dimitri Avramopoulos, per negoziare la prosecuzione del patto per la gestione dei migranti. E che fa Erdogan, per tutta risposta? Come ogni ricattatore (politico) degno di questo nome, alza ancora la posta: chiede altri soldi, e minaccia esplicitamente di dare via libera a 3,6 milioni di immigrati siriani, di fatto scatenando il caos e il panico in Europa, se l'Ue dovesse continuare a considerare in modo ostile l'azione turca, trattandola alla stregua di una occupazione. Insomma, ancora una volta (come sull'export, come sugli Airbus, come sull'austerità, come sui parametri economici), è stata la Germania a dirigere l'orchestra europea, a produrre cacofonia e decisioni sbagliate, salvo coinvolgere tutti gli altri nelle conseguenze nefaste di quelle scelte. Ieri, per lavarsi la coscienza, anche Berlino si è aggiunta alla lista di paesi (Norvegia, Finlandia, Svezia, Olanda) che già avevano deciso il proprio stop all'esportazione di armi verso la Turchia. Ma sembra solo un modo per salvare la faccia tardivamente, anche perché il divieto - a rischio di aggiramento in mille modi possibili - non avrà alcun effetto sull'esito dell'offensiva attualmente condotta dalle forze turche. E in generale, la sensazione è che, in vista dei vertici europei della settimana che si apre (lunedì l'incontro dei ministri degli Esteri e giovedì il Consiglio europeo), sarà ancora Berlino a proporre mediazioni, toni smussati, compromessi. Inutile girarci intorno: pesa, in primo luogo, l'enorme numero di turchi che già si trovano in Germania, e che rappresentano inevitabilmente un fattore politico. E pesa altrettanto la nuova minaccia di Erdogan sui profughi. L'opinione pubblica tedesca è preoccupatissima per quel genere di immigrazione, anche quando riguarda profughi veri, rifugiati politici e di guerra, e la Merkel si muove di conseguenza. A Berlino, finora, tanti si sono illusi che blandire Erdogan e staccare assegni a suo favore fosse sufficiente. Ma c'è motivo per credere che quelle scelte siano state parte del problema, non della soluzione. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-merkel-tenta-di-salvare-la-faccia-ma-la-bomba-turca-lha-innescata-lei-2640946455.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-conflitto-rimette-in-gioco-i-jihadisti" data-post-id="2640946455" data-published-at="1758063068" data-use-pagination="False"> Il conflitto rimette in gioco i jihadisti Il Nord della Siria è in fiamme. Ieri, nel quarto giorno dall'inizio dell'offensiva chiamata «Fonte di pace» dal governo di Ankara, le forze turche hanno dichiarato di aver conquistato la città curda di Ras Al Ain, nel Nordest della Siria. La notizia è stata diffusa dall'agenzia ufficiale Anadolu, ma subito dopo è arrivata smentita dalle forze curde delle Fds: «Ras Al Ain sta ancora resistendo e i combattimenti sono tuttora in corso», ha detto un funzionario delle forze democratiche siriane a guida curda. La situazione nella zona è resa ulteriormente rovente dall'autobomba esplosa ad Al Hassakah nel distretto di Ghuwaran, vicino a una prigione dove sono detenuti 2.000 combattenti dello Stato islamico. Le Forze democratiche siriane sono subito intervenute per evitare la fuga dei detenuti. Il portavoce delle forze curde Mustafa Bali ha attribuito la responsabilità dell'attacco all'Isis, che aveva già colpito venerdì con un'autobomba a Qamishli, provocando la morte di tre civili. Il ritorno in grande stile dell'elemento jihadista sullo scacchiere mediorientale è uno dei fattori esplosivi del conflitto in atto. Nel filo turco National syrian army, ad esempio, sarebbe intruppato anche Ahrar Al Sharqiya, un gruppo di ribelli siriani fondato da fuoriusciti di Al Nusra (cioè Al Qaeda) e in sospetti legami con l'Isis. E questo nonostante il fatto che una delle ragioni dell'attacco, secondo Recep Tayyip Erdogan, sarebbe proprio la prevenzione di un «corridoio terroristico» nella regione. Anche se, va detto, la preoccupazione occidentale per la questione appare decisamente ipocrita, dopo che la natura islamista e fanatica di questi gruppi è stata per molto tempo sottovalutata, quando faceva comodo dipingere a tinte «democratiche» l'opposizione a Bashar Al Assad. Non è mancato un piccolo giallo relativo al bombardamento per errore di un checkpoint americano da parte dei turchi. Il ministero della Difesa turco ha smentito, ma poi è arrivata la conferma del Pentagono, secondo cui «le truppe americane si sono trovate sotto il fuoco dell'artiglieria» turca a Kobane, nel Nord della Siria. Sul fronte delle vittime, mentre Ankara annuncia che «il numero totale di terroristi neutralizzati ha raggiunto i 415», l'Osservatorio siriano per i diritti umani (fonte peraltro a sua volta controversa) riferisce che almeno 10 civili sono stati uccisi nei bombardamenti turchi delle ultime ore, per un totale di una sessantina di vittime civile dall'inizio delle ostilità. Per quanto riguarda invece il lavoro diplomatico, il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shukri, ha ricevuto al Cairo una delegazione di alto livello dei curdi siriani e ha condannato la «palese aggressione» della Turchia contro la sovranità siriana. La Lega araba sta valutando l'ipotesi di sanzioni contro Ankara In Europa, la Germania ha deciso di fermare le vendita di armi alla Turchia, come già fatto da Olanda, Norvegia e Finlandia, mentre David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, ha detto che la possibilità di varare sanzioni alla Turchia «è oggetto di discussione e di riflessione anche in queste ore». Il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, ha commentato: «L'Europa deve parlare con una voce sola: non può farsi ricattare». Sia Di Maio che il segretario del Pd Nicola Zingaretti hanno chiesto invece al governo di valutare una mossa simile a quella di Berlino. Vladimir Putin, dal canto suo, ha affermato che tutte le truppe straniere presenti «illegalmente», cioè senza il consenso di Assad, in Siria devono andare via. Il ministro della Difesa greco Nikos Panagiotopoulos, intanto, ha fatto sapere che Italia e Francia manderanno delle fregate nel blocco 7 della Zee di Cipro, ovvero la Zona economica esclusiva, cioè l'area di mare, adiacente le acque territoriali, in cui uno Stato costiero ha diritti sovrani per la gestione delle risorse naturali. Si tratta chiaramente di una mossa a difesa delle trivellazioni di Eni e Total.